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Camille Granet “La coreografa dei corpi” giovane promessa del Balletto di Siena [INTERVISTA ESCLUSIVA]

Camille Granet di nazionalità francese, nasce a Dax nel 1989. Inizia la sua formazione artistica studiando danza classica e moderno-contemporanea a Tolosa prima al conservatorio regionale e poi con il VM dancestudio diretto da Vinciane Ghyssens (Prima Ballerina al Ballet Royal des Flandres, English National Ballet e al Northern Ballet Theater) e Matthew Madsen (Coreografo e Primo Ballerino con il Houston Ballet, Ballet Royal des Flandres, Northern Ballet Theater, Opéra de Wiesbaden e al Ballet du Capitole).

Inizierà il suo percorso nella coreografia, scoperta e al fianco del maestro Marco Batti,  con varie collaborazioni e creazioni all’interno della scuola professionale Ateneo della Danza di Siena e Ex.Pe. Experimental performance e per altre realtà formative: “Ladri nella Legge“ insieme a Roberta Ferrara, “T.T. / Thousand Teseo”, “ Primitive Carnaval”, “Ricorditi di me” per i danzatori studenti di Ex.Pe. Experimental Performance. “Tous Ensemble” per “ED equilibrio dinamico ensemble”, diretto da Roberta Ferrara; collaborerà anche con il direttore della compagnia Balletto di Siena Marco Batti per la produzione della compagnia “Il lago dei Cigni” (rilettura contemporanea). Nel 2019 crea “L’ultimo vestito é senza tasche” con il Balletto di Siena per il Festival Excelsior organizzato da Marco Batti. Vince il premio di miglior coreografia al Festival Dantesco 2021 con il passo a due “mia testa, mio cuore” e “Lacrima Famelica”.

 

Parlami di te, come avviene il tuo incontro con la danza?

In realtà non è stata una cosa cercata, fu mia madre che mi portò ad una lezione di danza classica all’età di sei anni. Non avevo mai pensato prima di poter fare danza essendo comunque molto piccola. Mia madre aveva studiato danza e cercò di avvicinare sia me che mia sorella a quest’arte, come alla fine si fa con ogni bimba. A differenza di mia sorella che ha preferito sport come la boxe completamente distanti dalla danza, io sono rimasta con il cuore legato a questo mondo. Ho iniziato a studiare a Bourges, poi mio padre dovette spostarsi per lavoro a Tolosa e qui ho studiato per due anni al Conservatoire Régional de Toulouse per poi entrare alla scuola privata VM dance studio, sempre a Tolosa, diretto da Matthew Madsen e Vinciane Ghyssens presso cui ho studiato dall’età di 12 anni: sono stati loro che mi hanno formata come danzatrice. A loro devo tanto, soprattutto il mio modo di vedere ed approcciarmi alla danza e alle persone che mi circondano.

Lavori sia come danzatore che come coreografo, sapresti descrivere le sensazioni diverse di questi due ruoli…

Danzare per me è più personale, eseguo la visione di un’altra persona, ricevo qualcosa e cerco di soddisfare la richiesta del coreografo portandola al meglio e tentando di trasmetter ciò che mi viene indicato. Mi sono formata e ho danzato per tanti anni ma in realtà sentivo che mi mancava qualcosa e quel qualcosa era coreografare che ho trovato sempre più interessante. Coreografare per me è donare qualcosa di mio, è riuscire a far trasparire un mio pensiero, una mia emozione attraverso altri corpi e per fare questo devo creare sempre delle forti connessioni con i danzatori. Vivo le emozioni in modo completamente diverso, anche a livello di stress lo sento maggiore nel vedere un mio lavoro piuttosto che quando danzavo perché quando coreografo mi metto a nudo completamente. Non preparo mai nulla prima di iniziare un lavoro, mi viene tutto molto naturale senza calcolare nulla e mi rendo conto solo a lavoro terminato che effettivamente le coreografie riflettono qualcosa che mi appartiene o legato al momento che sto vivendo, dalla mia fragilità alla mia caparbietà e ostinazione rivedendomi, poi, nei miei ragazzi. Per la grande sintonia che si crea, cerco di valorizzare ognuno di loro rispettando la loro personalità, il loro essere e il loro estro, ma dando loro un comun denominatore che, alla fin dei conti, son io. Per me coreografare diventa spesso un raccontami senza voler raccontarmi volutamente. Questo mettermi a nudo cerco di farlo trasparire nell’onestà del movimento perché sono convinta che attraverso i movimenti dei danzatori e la piece coreutica si possa leggere la parte più intima di qualcuno. Ed è questo che mi piace di più, mi sento molto più a mio agio nel creare e donarmi in questo modo, attraverso la coreografia, cercando di regalare qualcosa di profondo e non banale, ricco di emozioni, sperando di arrivare al cuore delle persone.

Come giovane coreografa, da cosa parti per le tue opere?

Per me è fondamentale chi deve eseguire la mia coreografia ed è per questo che il mio punto di partenza è la sintonia che creo con i danzatori. Parto sempre da loro, dai loro corpi e soprattutto dalle loro personalità. Questo viene comunque influenzato anche dal periodo che vivo, che mi porta a prendere scelte creative che fanno evolvere, poi, la coreografia. A volte mi capita di ascoltare una musica che mi fa letteralmente vedere qualcosa e da lì inizia la magia. Ovviamente ogni inizio creativo è differente: tendenzialmente, come dicevo prima, non mi piace preparare o calcolare nulla, vado molto di pancia, a feeling, perché mi fido molto del mio istinto. A volte inizio creando su di me e modello poi sui danzatori, un po’ come quando si crea un vestito che facendolo indossare a qualcun altro lo si modifica: il vestito è tuo ma lo hai adattato a qualcun’ altro valorizzando la persona che lo indossa per far emergere il suo meglio.

Ti ho definita la coreografa dei corpi per il tuo lavoro minuzioso, ti ci rivedi?

Grazie mille per questa definizione, sono lusingata… effettivamente mi ci rivedo molto. Mi piace la cura dei dettagli perché sono questi che fanno davvero la differenza. È il dettaglio che rende unico qualcosa o qualcuno, che ne delinea i reali caratteri e che rende, inoltre, una persona leggibile e riconoscibile. Cerco sempre di studiare il movimento naturale dei danzatori per poter poi giocarci e sfruttare così al meglio il loro potenziale attraverso la mia scrittura di movimento e cercando, così, di modellare ciò che voglio esprimere su di loro e grazie a loro.

Quando hai scoperto che la coreografia era un mezzo per esprimere te stesso?

In realtà ho sempre avuto questo istinto di creare usando i corpi. Già da piccolina, ad esempio, mi piaceva creare piccole sequenze di movimenti per divertirci con le mie cugine in occasioni come matrimoni o feste in cui poi effettivamente ci esibivamo. Mi piaceva danzare, sì, ma ero sempre spinta nel creare ed inizialmente era del tutto inconsapevole. Quando Marco Batti mi ha dato la possibilità di iniziare ad insegnare all’Ateneo della Danza, mentre ero ancora una danzatrice del Balletto di Siena, ho preso piano piano consapevolezza che il coreografare mi regalava emozioni vere e tanta più soddisfazione rispetto al danzare. Non ringrazierò mai abbastanza Marco per avermi dato la possibilità e le opportunità di evolvermi e di avere la libertà di esprimermi al meglio attraverso i miei lavori. Mi ha dato tanta fiducia permettendomi, anche, di collaborare con lui. L’Ateneo della Danza e Marco sono stati da sempre per me un supporto importante e continuano ad esserlo.

Le tue fonti di ispirazione?

Molta della mia ispirazione arriva dalla mia esperienza come danzatrice, dal mio background. Mi piace molto conoscere e vedere il lavoro degli altri per potermi confrontare e soprattutto apprendere e cercare di superare i miei limiti. Cerco sempre di rimanere al passo con il tempo ed evolvermi perché il bello di questo mestiere è proprio la non staticità e la continua evoluzione. Sono una grande ammiratrice di Crystal Pite e Ohad Naharin che hanno stili molto differenti tra loro ma dai quali traggo comunque molta ispirazione perché sono due grandi figure dei nostri tempi, a mio parere.

Cos’è la danza per te?

La danza per me è parte integrante della mia vita, fa parte della mia identità: senza la danza non sarei la Camille che sono. È qualcosa che mi ha accompagnato da tutta la vita e che mi ha formato come persona. La danza mi ha letteralmente supportata ed aiutata anche nei momenti più bui. Non riuscirei a vedermi in nessun altro mondo se non in quello della danza.

Qual è il più grande sacrificio che hai fatto per inseguire il tuo sogno?

In realtà non ho mai sentito la danza come un sacrificio e, quindi, nemmeno tutto ciò che ho fatto per inseguire questo sogno l’ho sentito come un sacrificio. Probabilmente, se dovessi proprio dire qualcosa che un po’ si avvicini ad un sacrifico, direi la lontananza dalla famiglia ma ho sempre saputo che è parte integrante della vita che ho scelto ed inoltre ho la fortuna di avere accanto una famiglia che mi ha sempre sostenuta incondizionatamente. Mi ritengo fortunata perché ho trovato anche un compagno che ha sempre compreso il mio mondo ed il mio lavoro spronandomi a dare sempre il meglio. Tutto ciò che mi circonda, l’amore delle persone che amo e il loro sostegno nutrono il mio lavoro dandomi ancora più forza e motivazione.

I tuoi obiettivi nell’arte e nella vita?

In realtà vivo alla giornata, sperando sempre di potermi superare. Mi piace rimanere sorpresa dalle cose che mi accadono inaspettatamente e dalle quali traggo ispirazione. Spero di poter creare per varie compagnie e, soprattutto, che i miei lavori possano arrivare a tante persone. Spero soprattutto di continuare il mio cammino con l’onestà e l’umiltà che sono due valori importanti per me e di potermi confrontare con sempre più artisti perché colgo tutto ciò che mi viene donato da chiunque incroci la mia strada. Nella vita spero di continuare a sorridere come faccio oggi continuando ad avere accanto chi amo.

La cosa più importante per te

Non avere ripianti, vivere la vita al massimo con quello che ha da offrirmi e soprattutto sentirmi bene cercando di rimanere sempre me stessa. Nonostante so che forse è difficile da raggiungere, vorrei continuare a mantenere la felicità che c’è ora nella mia vita perché, sentendomi serena, riesco a far uscire la migliore versione di me stessa anche sul lavoro.

Sara Zuccari

© www.giornaledelladanza.com

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