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Storia e Cultura

Storia della danza. Alla riscoperta dei balletti dimenticati. Di Flavia Pappacena

  Paul et Virginie di Pierre Gardel (Parigi, Opéra, 24 giugno 1806)   Paul et Virginie (Paolo e Virginia), è un “ballet pantomime” composto da Pierre Gardel su musica di Rodolphe Kreutzer. Diviso in tre atti e 27 scene, il balletto è ispirato all’omonimo romanzo di Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre, che, pubblicato nel 1787, aveva riscosso grande successo divenendo una delle più riuscite interpretazioni letterarie del mito del “buon selvaggio”. Il balletto, ambientato nelle isole africane Mauritius, ha come protagonisti due ragazzi francesi nati e cresciuti nell’isola. Sia i ragazzi che le madri, a contatto con la semplicità e l’innocenza della popolazione indigena, profondono su coloro con cui entrano in contatto un altruismo caritatevole in grado di contagiare anche gli animi più duri e di annullare tutte le differenze sociali imposte dalla cultura occidentale. Questo aspetto è evidenziato anche nelle danze quali il Bamboula accompagnato da tamtam e triangolo, cui partecipano indistintamente gli indigeni e i ragazzi europei. Secondo le prassi più diffuse nel Settecento e nel primo Ottocento, nella riduzione in balletto la storia di Paolo e Virginia subì alcune modifiche ideate per offrire spettacolarità e gioiosità al balletto. Tra queste, il lieto finale in cui la tragica morte ...

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Il 13 aprile del 1921 nasceva il grande danzatore e coreografo Ugo Dell'Ara

Il 13 aprile del 1921 nasceva il grande danzatore e coreografo Ugo Dell’Ara

Ugo Dell’Ara è morto il 18 gennaio 2009 all’età di 88 anni. Era nato a Roma il 13 Aprile del  1921, ed era entrato adolescente nella scuola del Teatro Reale dell’Opera assieme alla sorella Lia, che avrebbe avuto più tardi una importante carriera di ballerina e di coreografa. Fu allievo delle sorelle Teresa e Placida Battaggi e di Ettore Caorsi. Pochi mesi prima di diplomarsi, a soli 18 anni debuttò il 25 febbraio del 1939 nella Giara di Aurel Milloss accanto alla star del teatro, Attilia Radice. Assieme ad Adriano Vitale, Teofilo Giglio e Guido Lauri, Dell’Ara fece parte di quella nuova e valente leva maschile che, accanto alla Radice e a più giovani ballerine, permise a Milloss di mettere in scena stagioni che sono rimaste leggendarie nella storia del principale teatro romano della lirica e della danza. Alto, vigoroso, fu un danzatore straordinario. La non comune sensibilità artistica si coniugava in lui colla precisione tecnica, garantendogli una presenza scenica sempre da protagonista. Scritturato come primo ballerino al Teatro alla Scala di Milano nel 1946, fu l’acclamato protagonista della Follia di Orlando di Milloss (1947) e poi di vari balletti, tra cui Mario e il mago di Léonide Massine. Nel ...

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Il 6 gennaio del 1993 moriva Rudolf Nureyev

Rudolf Nureyev, non è stato soltanto il più grande ballerino del novecento, ma anche l’artefice di una profonda trasformazione della danza classica, ma, fuori scena, l’icona di un modo di vivere ribelle, libero e anticonformista. Ha segnato profondamente il costume a metà del 900 mentre il mondo occidentale usciva dai pregiudizi e dall’ipocrisia del dopoguerra. Sicché oggi chiunque calchi un palcoscenico non può dimenticare il segno da lui lasciato, con il quale deve inevitabilmente confrontarsi. La Morte di Rudolf Nureyev, il 6 gennaio del 1993, ha creato nel mondo della danza un vuoto immenso, che difficilmente sarà colmato. E’ stato spesso definito un “genio della danza” e anche “l’erede naturale di Nijinsky”, il grande danzatore russo degli inizi del XX secolo e innovatore della coreografia. Nureyev, in effetti, esaltò la figura del ballerino maschio, così come aveva fatto Nijinsky mezzo secolo prima. Nel balletto classico, l’uomo aveva un rilievo secondario, rispetto alla ballerina; la sua funzione era semplicemente quella di esaltare la bravura della donna, facendola volare più in alto possibile. Nureyev non accettò questa differenza tra i ruoli, con lui la danza e la tecnica maschile acquistarono una nuova e diversa fisionomia, un’importanza pari, se non superiore, a quella della ...

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Alla riscoperta di balletti dimenticati. Di Flavia Pappacena

  Le Violon du diable di Arthur Saint-Léon (1849)   La stampa qui riportata focalizza uno dei momenti salienti del balletto di Arthur Saint-Léon (1815-1870) Le Violon du diable, andato in scena all’Opéra di Parigi il 19 gennaio 1849 con musica di Cesare Pugni. Si tratta della scena della seduzione (fascination) in cui un violinista (Saint-Léon), aiutato dal Demonio nei panni del medico Matheus (Giovanni Coralli), ammalia con la sua musica Hélène (Fanny Cerrito), figlia del conte di Vardeck, che non si interessa a lui in quanto socialmente inferiore. La scena in questione si svolge nell’albergo di un piccolo villaggio bretone in cui sono alloggiati vari personaggi tra cui, oltre al violinista, a Hélène e Matheus/Demonio, il monaco benedettino Anselmo. Innamoratasi del giovane per il potere demoniaco del violino, la fanciulla fugge con lui, ma poi cessa di amarlo quando il violino perde il suo potere per una vendetta del Demonio. A questo punto interviene il Monaco che, vinto il maligno con il potere della croce, dona al giovane un altro violino, ma questa volta benedetto, con cui la giovane ritrova l’amore. Tuttavia rimane ancora un ostacolo alle nozze dei giovani: la resistenza del conte fermamente ancorato alla prassi dell’omogamia ...

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“Lo Schiaccianoci” un classico intramontabile

  Centoventidue anni fa, precisamente il 18 dicembre 1892, il Mariinskij Theater di San Pietroburgo mise in scena un‘opera destinata ad entrare nella storia del balletto: si tratta de Lo Schiaccianoci, interpretato per la prima volta da Antonietta Dell’Era e Pavel Gerdt, sulle coreografie di Lev Ivanov e musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij. La trama è ambientata in casa del ricco signor Stralhbaun, durante una festa organizzata per celebrare la vigilia di Natale. Tra addobbi e danze caratteristiche, il vecchio amico di famiglia Drosselmeyer intrattiene gli ospiti con giochi di prestigio, regali e pupazzi meccanici da lui stesso costruiti. Clara, figlia degli Stralhbaun, riceve in dono uno schiaccianoci con le fattezze di soldatino. Entusiasta, alla fine della serata si addormenta abbracciata al suo schiaccianoci, immaginando un mondo fantastico che di lì a poco prenderà vita sotto i suoi occhi. Dopo aver combattuto contro il Re dei Topi e il suo esercito, inizia un viaggio nel Regno dei Dolci, in cui le leccornie diventano personaggi e ballano per allietare Clara e Fritz, lo schiaccianoci trasformatosi in uno splendido principe. Ma tutto è solo un sogno: Clara, si desta accanto all’albero di Natale con in braccio il suo dono inanimato, a rimanerle ...

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Storia della danza. Alla riscoperta di balletti dimenticati di Flavia Pappacena

  Il “Balletto delle suore” in Robert le diable (1831)   È opinione comune che La Sylphide di Filippo Taglioni (Opéra 1832), primo balletto romantico francese, abbia un precedente nel “Balletto delle suore” che andò in scena all’Opéra nel 1831 all’interno (atto III, scena VI) dell’opera Robert le diable di Giacomo Meyerbeer (libretto di Eugène Scribe e Germain Delavigne). Il “Balletto delle suore” è infatti definito il primo caso di ballet blanc della storia del balletto francese. Ma cos’è questo “Balletto delle suore”? Quale è l’identità di queste monache? Il “Ballet des nonnes damnées” (Balletto delle suore dannate) – titolo originale – non è propriamente un balletto, ma un breve intermezzo integrato nella trama dell’opera in cui suore dannate, invocate dal Demonio, escono dai loro sepolcri situati nel chiostro del convento di Santa Rosalia a Palermo per indurre Robert a profanare la tomba della Santa e rubare un ramoscello magico stretto tra le mani della statua. Si tratta di un soggetto nel gusto del romanzo gotico allora di tendenza (si pensi a Frankenstein di Mary Shelley e a The Vampire di John William Polidori), che si cibava di spettri, tombe, chiostri abbandonati, sinistre atmosfere lunari. E l’elemento inquietante era l’abito ...

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“Tra storia e tecnica della danza” di Flavia Pappacena

La nascita delle “punte” della danza accademica Le “punte” sono generalmente considerate una delle espressioni più significative del balletto romantico per quella immagine in bilico tra realtà e sogno che riuscirono ad attribuire alle figure femminili. Tuttavia, se le punte trovano l’espressione più intensa e suggestiva nel balletto romantico di soggetto fantastico, la loro origine va rintracciata nel periodo delle grandi riforme della fine del Settecento, quando il costume e la calzatura del balletto si adeguano alla moda “alla greca” in voga durante la Rivoluzione francese, e quando tecnica, stile e coreografia del balletto francese subiscono radicali mutamenti estetici e profonde contaminazioni da vari ambiti, tra i quali le tecniche acrobatiche dei danzatori “grotteschi” italiani. Iniziamo dalla riforma del costume e della calzatura. Negli anni Ottanta del Settecento la moda francese manifesta in modo sempre più evidente la sua attenzione verso il “gusto greco” che si stava diffondendo in tutte le arti sotto l’influenza degli scavi di Ercolano e Pompei e dietro la spinta del pensiero neoclassico. La stessa regina di Francia, Maria Antonietta, aveva adottato per il suo abbigliamento privato la cosiddetta chemise à la reine, un abito fatto di mussola bianca fermata alla vita da un grande nastro ...

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“Tra storia e tecnica della danza” di Flavia Pappacena

La Pirouette delle origini   In uno slancio di ammirazione e di ossequio nei confronti dell’Opéra di Parigi, Carlo Blasis (1795-1878) attribuisce l’invenzione della pirouette ai due grandi ballerini francesi Pierre Gardel (1758-1840) e Auguste Vestris (1760-1842), ma omette di precisare che nella metà del Settecento, nonostante i danzatori indossassero costumi ingombranti e scarpe con tacco, la tecnica maschile prevedeva già tre giri consecutivi su un piede. In effetti, la tecnica del giro si sviluppa soprattutto nell’ultimo ventennio del XVIII secolo e sarà proprio Auguste Vestris, figlio del grande Gaetano, a farsi promotore delle più spettacolari forme di pirouettes. Gli anni Ottanta sono un periodo molto vivo per il balletto francese, un periodo che prelude alla grande riforma che darà vita alle nuove sperimentazioni tecniche (la salita sulla punta dei piedi, lo slancio in alto del corpo nel salto e l’arabesque). La nuova generazione di danzatori, insofferente dei vincoli accademici e protesa verso il nuovo, accoglie con entusiasmo le spericolate proposte del giovane Auguste e se ne appropria sfidandosi in una gara di bravura e di azzardo. Ed è così che le pirouettes, vessillo della “nuova” danza dell’Opéra di Parigi, divengono la principale attrazione di un pubblico assetato di emozioni ...

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Rudolf von Laban e la danza libera

Il movimento rivela molte cose diverse. È il risultato della tensione verso un oggetto a cui si attribuisce valore, oppure di uno stato mentale. La sua forma e il suo ritmo mostrano la disposizione della persona che si muove in quella particolare situazione. Può caratterizzare uno stato d’animo momentaneo e una reazione fugace, così come dei tratti costanti di una personalità. (RUDOF VON LABAN)   Rudolf von Laban nasce a Pozsony (Bratislava) il 15 dicembre 1879. La sua infanzia è caratterizzata da numerosi spostamenti in tutta Europa dovuti alla carriera militare di suo padre, ufficiale dell’esercito austro-ungarico. Visitare molti paesi gli permette di crescere con un ampio orizzonte culturale. Sin da giovane rivela spiccate attitudini per il teatro ed organizza piccoli spettacoli di folklore. Nel 1897 crea un “mistero coreografico” intitolato Die Erde, accompagnato da cori parlati e cantati. In questo primo lavoro, ideato su musiche atonali di sua composizione, egli già determina la necessità di una danza assoluta (absoluter Tanz), indipendente dalla musica, dalla parola e da qualsiasi significato concreto. Esplora parallelamente anche altri contesti espressivi e nel 1898 realizza il dipinto Bewegunsstudie in öl, che precede i primi tentativi di pittura astratta di Kandiskij. Per volere del padre, ...

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Carla Fracci, ritratto di un mito dei nostri giorni

Carla Fracci è per tutti la personificazione danza. È il sogno di tutte le bambine che vogliono studiare danza classica. È una donna caratterizzata da dedizione assoluta alla danza: un mito vivente del balletto. Dietro al mito costruito di Carla, c’è la forza che lo ha creato: lei stessa. Non si è infatti costruita un personaggio, non è dovuta ricorrere a continue revisioni e adeguamenti dell’immagine, come tante persone di successo, perché non è un tipo, è lei. Il suo è un successo che non ha conosciuto periodi di crisi, ma solo una continua crescita. Eppure non è diva tradizionale; ha mantenuto la sua spontaneità e genuinità popolare; anche nella vita quotidiana, fuori dal teatro, ha la stessa eleganza, lo stesso equilibrio, la stessa nobiltà d’animo che solitamente esterna attraverso la danza: è come se fosse sempre “in punta di piedi”. Questo suo modo di essere e di porsi agli altri ha fatto nascere sin dall’inizio alla gente una spontanea adesione alla sua persona. La danza le ha offerto, nella società delle immagini, l’opportunità di diffondere di sé un’immagine gradevole e naturale, senza forzature, nella quale spiccano i suoi occhi scuri e profondi, un corpo esile e nobile, le lunghe ...

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