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Storia e Cultura

I fouetté: virtuosismo, tecnica e potenza femminile

Nel vasto universo della danza classica, pochi passi riescono a catturare l’immaginazione del pubblico quanto i fouetté. Iconici, vertiginosi e carichi di tensione scenica, i fouetté non sono solo un’esibizione di abilità tecnica: rappresentano la sfida tra forza e grazia, tra rigore accademico e spettacolarità. Originari della tecnica accademica russa, i fouetté hanno conquistato un posto d’onore nel repertorio ballettistico, diventando una sorta di “firma” del grande assolo femminile. Il termine fouetté in francese significa “frustato” o “frustata” e descrive perfettamente la dinamica del movimento. L’effetto visivo è quello di una ballerina che gira vorticosamente su sé stessa, mantenendo il perfetto equilibrio mentre la gamba esterna “frusta” l’aria ad ogni rotazione. Il più celebre esempio di fouetté è senza dubbio quello contenuto nel Grand Pas de Deux del Lago dei Cigni, atto III, in cui Odile esegue 32 fouetté consecutivi — un vero e proprio banco di prova per ogni ballerina professionista. Un fouetté corretto non è soltanto questione di rotazione. Esso richiede: Solida forza del centro per mantenere l’asse del corpo dritto e stabile; Precisione della gamba di supporto, che deve restare perfettamente tesa e forte per sostenere il peso e la forza centrifuga; Coordinazione tra braccia e gamba ...

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L’ultima esibizione di Vaslav Nijinsky a Sankt Moritz

Era il 19 gennaio 1919. In una stanza d’albergo a Sankt Moritz, tra le montagne innevate dell’Engadina, Vaslav Nijinsky, il più grande danzatore della sua epoca, danzò per l’ultima volta. Ma non su un palcoscenico, non in costume, non davanti a un pubblico teatrale. Il suo corpo, che aveva stregato l’Europa con salti impossibili e uno sguardo che toccava il divino, si muoveva ora davanti a pochi intimi, mentre scivolava inesorabilmente verso la follia. Quella non fu una performance nel senso convenzionale. Fu un rituale tragico, un grido corporeo che preannunciava la fine della sua carriera, e forse anche la fine del confine tra arte e delirio. Nel 1917, Nijinsky si era ritirato dalle scene. Dopo anni di gloria con i Balletti Russi di Sergej Djagilev, una tormentata relazione personale e artistica con il mecenate russo, e un matrimonio improvviso con Romola de Pulszky, il danzatore era caduto in un lento crollo psichico. La guerra, l’esilio, l’isolamento, la fine del sodalizio con Djagilev, le pressioni della celebrità si intrecciarono in un quadro fragile. Sankt Moritz, scelto come rifugio per la salute mentale, divenne invece lo scenario del suo addio. Quella sera di gennaio, invitato da amici e pochi ospiti, Nijinsky ...

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Trattati di danza: quando il corpo scrive la storia

Oggi, i trattati di danza storici sono strumenti imprescindibili per studiosi, danzatori e coreografi che si occupano di ricostruzione filologica e interpretazione del repertorio antico. Essi testimoniano come il corpo, attraverso il gesto danzato, sia stato plasmato da ideali estetici, morali e sociali. Ogni passo, ogni posa, non è solo tecnica, ma rappresenta un’idea di mondo, una visione dell’uomo e del suo posto nella società. La danza è stata, per secoli, il linguaggio invisibile del potere, della grazia e dell’educazione. E i trattati di danza? I suoi archivi segreti. Non solo manuali di passi, ma veri e propri codici del corpo, capaci di raccontare epoche intere attraverso il movimento. Nel Quattrocento, le corti italiane trasformano la danza in arte codificata. Domenico da Piacenza, con il suo De arte saltandi, scrive il primo trattato noto. Più che passi, insegna comportamento: come muoversi con grazia in società. I suoi allievi – Guglielmo Ebreo e Cornazzano – ne ampliano il messaggio, creando una vera grammatica coreutica rinascimentale. Nel 1589, in Francia, Thoinot Arbeau pubblica l’Orchésographie. È un trattato, sì, ma anche un dialogo tra maestro e discepolo, dove danze popolari e di corte si intrecciano con musica e ritmo. Una guida che parla ...

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L’origine delle Sbarre nella danza classica

Le sbarre da danza, oggi elemento imprescindibile nelle sale di balletto, nascono da un’esigenza semplice: offrire supporto al corpo durante gli esercizi tecnici. Ma la loro origine affonda le radici nella storia della danza accademica. Nei primi secoli della danza classica – in particolare nel XVII secolo, alla corte di Luigi XIV – i ballerini si esercitavano appoggiandosi a mobili, caminetti o corrimano. Non esistevano ancora sbarre dedicate: si usava ciò che era disponibile nei palazzi. Con l’istituzione delle prime scuole di danza, come l’Académie Royale de Danse di Parigi, si iniziarono a fissare corrimano alle pareti delle sale. Fu questo l’inizio delle sbarre vere e proprie: listelli di legno alla giusta altezza per sostenere il lavoro tecnico. Nel XIX secolo, con la nascita dei metodi accademici (Vaganova, Cecchetti, ecc.), la sbarra divenne parte strutturata dell’allenamento quotidiano. Gli esercizi alla sbarra – plié, tendu, jeté – servono a preparare il corpo al lavoro più complesso senza supporto. Oggi esistono sbarre fisse, portatili, regolabili, in legno o metallo. Sono usate da allievi e professionisti, perché rappresentano più di un semplice strumento: sono il punto di partenza di ogni lezione, il simbolo della disciplina e della costanza nella danza. Michele Olivieri www.giornaledelladanza.com ©️ ...

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Il Museo della Danza a Cuba: un tempio del movimento

Nel cuore pulsante dell’Avana, nel quartiere Vedado, si erge un luogo dove la storia non è fatta di silenzio e polvere, ma di passi, costumi e passioni: il Museo della Danza di Cuba. Non è un semplice contenitore di oggetti, ma un archivio vivo della memoria artistica di un Paese che ha fatto del corpo in movimento un emblema identitario. Fondato nel 1998 per volere di Alicia Alonso, étoile e leggenda del balletto mondiale, il museo nasce con un intento chiaro: conservare, proteggere e raccontare l’evoluzione della danza cubana, dalle sue radici coloniali fino alle più audaci espressioni contemporanee. L’edificio stesso è una dichiarazione d’intenti: un’elegante villa in stile eclettico degli anni Venti, che accoglie il visitatore in un’atmosfera sospesa tra storia e poesia. Varcare la soglia significa entrare in un palcoscenico invisibile, dove ogni sala è una scena. Il percorso espositivo si snoda in diverse sale tematiche, ognuna dedicata a un periodo, a uno stile o a una figura chiave della danza cubana. Si comincia con la Sala del XIX secolo, dove sono esposti abiti, litografie e documenti d’epoca che testimoniano l’influenza europea sulla danza a Cuba, per poi passare al periodo romantico e all’irrompere della tradizione russa con ...

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Carlotta Zambelli: l’Étoile italiana che incantò Parigi

Nel firmamento della danza classica, poche stelle brillano con la grazia e la longevità di Carlotta Zambelli, ballerina italiana che, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, conquistò i teatri più prestigiosi d’Europa e lasciò un’impronta indelebile nell’evoluzione del balletto moderno. Carlotta Zambelli nacque a Milano il 4 novembre 1875, si formò alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Fu presto notata per le sue qualità tecniche eccezionali: un’eleganza naturale, un perfetto controllo del corpo e una sensibilità interpretativa fuori dal comune. La svolta avvenne nel 1894, quando venne invitata a danzare a Parigi. Da quel momento, la capitale francese sarebbe diventata la sua seconda casa e il luogo dove avrebbe raggiunto la consacrazione artistica. Nel 1894, Carlotta Zambelli debuttò all’Opéra Garnier di Parigi in un ruolo solitamente riservato alle grandi étoile francesi. La sua interpretazione, sostenuta da una tecnica impeccabile e da un’eleganza naturale, incantò il pubblico parigino, ancora abituato a una danza più accademica e meno virtuosistica rispetto a quella italiana. Zambelli si distinse per la sua straordinaria capacità di unire la forza tecnica italiana – in particolare nei virtuosismi come i fouettés – alla raffinatezza espressiva della scuola francese. Fu la prima ballerina ...

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Léon Bakst e la rivoluzione del costume per i Balletti Russi

All’inizio del XX secolo, il mondo del teatro e della danza fu travolto da una nuova visione estetica che fuse l’arte, il mito e l’oriente in un unico spettacolo sensoriale. Al centro di questa rivoluzione c’era Léon Bakst, pittore, scenografo e costumista russo, la cui immaginazione visiva contribuì in modo decisivo al successo e all’impatto dei leggendari Balletti Russi di Sergej Djagilev. Bakst non creava semplici abiti di scena: i suoi costumi erano estensioni del mondo emotivo e simbolico dei personaggi, vere e proprie opere d’arte indossabili. Contrariamente al realismo teatrale del XIX secolo, i suoi disegni abbandonavano ogni velleità naturalistica per abbracciare il fantastico, l’esotico e l’onirico. Le sue creazioni erano caratterizzate da: Colori accesi e saturi, spesso accostati in maniera ardita. Linee fluide o geometriche, a seconda del contesto narrativo.Materiali preziosi come sete, broccati, ricami dorati e perle. Influenze orientali, greche, persiane e indiane, rilette attraverso la lente dell’Art Nouveau. Il risultato era un mondo scenico dove i costumi non seguivano la danza: la ispiravano. Il costume dorato del celebre danzatore Vaslav Nijinsky, nei panni dello Schiavo d’Oro, rimane uno degli esempi più iconici della storia del costume teatrale. I costumi di Bakst non rimasero confinati al palcoscenico. ...

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Ala e Lolli: il balletto incompiuto tra Prokof’ev e Diaghilev

All’inizio del Novecento, quando le avanguardie scuotevano le fondamenta dell’arte, anche la musica cominciava a parlare con voci nuove, primordiali, selvagge. In questo spirito nasce Ala e Lolli, un balletto che non vide mai la luce del palcoscenico, ma che lasciò una scia potente nel mondo sinfonico. Il soggetto di Ala e Lolli, scritto dal poeta Sergej Gorodeckij, ci porta in un tempo arcaico, dove gli Sciti adorano due divinità opposte: Veless, dio del Sole, e Ala, spirito femminile delle foreste. Ma l’equilibrio viene infranto: il mago oscuro Ciuibog, incarnazione delle forze notturne, rapisce Ala. Il giovane gigante Lolli, figlio della terra e protettore innocente, si lancia alla sua salvezza. La battaglia tra ombra e luce è feroce, fino a che Veless, incarnando l’aurora, scende sulla terra per sconfiggere l’oscurità con il fuoco solare. Nel 1914, Sergej Prokof’ev, giovanissimo ma già audace, accoglie la proposta del celebre impresario Sergej Diaghilev: comporre la musica per questo balletto mitologico. Ma qualcosa non convince. Diaghilev – che aveva portato al trionfo Stravinskij con Le Sacre du printemps – giudica le bozze di Prokof’ev troppo grezze, poco “russe”, e alla fine respinge il progetto. Prokof’ev, deluso ma non sconfitto, non abbandona però del tutto ...

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Tersicore: la Musa della Danza e l’armonia del movimento

Nel pantheon delle Muse della mitologia greca, ciascuna divinità incarna un aspetto dell’arte o della scienza, ma poche evocano un’immagine tanto dinamica e viva quanto Tersicore, la musa della danza e del canto corale. Nell’iconografia classica, Tersicore è spesso rappresentata come una giovane donna aggraziata, con una lira o una cetra in mano — simboli che rimandano al legame tra danza, musica e poesia — mentre si muove in una posa sinuosa, quasi colta nell’atto di un passo armonioso. Non si tratta soltanto di danza intesa come divertimento o esibizione, ma della danza come atto sacro, come ponte tra il corpo e lo spirito, tra il terreno e il divino. Il legame tra danza e parola si riflette ancora oggi in molte tradizioni performative: dal balletto classico, che narra storie attraverso il gesto, fino alla danza contemporanea, che esplora i limiti del linguaggio corporeo. In ognuna di esse si può sentire l’eco di Tersicore, musa silenziosa ma onnipresente che oggi ci ricorda l’importanza di rallentare, ascoltare il ritmo interno, e lasciare che il corpo parli. In ogni coreografia che tocca il cuore, in ogni passo che racconta una storia, Tersicore si manifesta silenziosa ma viva. Perché danzare, in fondo, è ...

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Audrey Hepburn: il Mito nato dalla Danza

Il mondo la ricorda come icona di stile, volto indimenticabile del cinema del dopoguerra, simbolo di eleganza sobria e bellezza non convenzionale. Ma prima di Colazione da Tiffany, prima delle copertine e degli abiti Givenchy, Audrey Hepburn era una ragazza che sognava un futuro sulle punte. La danza classica fu la sua prima vocazione, la sua disciplina fondante, e forse il segreto nascosto dietro la grazia che l’ha resa eterna. Nata nel 1929 a Bruxelles da madre olandese e padre britannico, Audrey Kathleen Ruston visse la sua adolescenza sotto l’occupazione nazista nei Paesi Bassi. Fu in quel contesto tragico che si accese la sua passione per la danza. Studiò a Arnhem sotto la guida di Winja Marova e, durante gli anni più duri della guerra, partecipò a spettacoli clandestini per raccogliere fondi per la Resistenza. La danza, in quegli anni, fu per lei una forma di resistenza e salvezza, una pratica quotidiana che univa corpo e speranza. In quell’esperienza, Audrey imparò qualcosa che non avrebbe mai dimenticato: l’arte non è un lusso, ma un bisogno umano essenziale. Finita la guerra, Audrey si trasferì a Londra per studiare danza classica alla Rambert Ballet School, una delle più prestigiose accademie britanniche. Era ...

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