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Elsa Piperno e Joseph Fontano icone di una “nuova danza” si raccontano in esclusiva al gd.com

DUETTO IN NERO spettacolo foto Falsini RK-27A

Oggi dopo molti anni dal 1972, cosa resta di allora e cosa è cambiato?

P.Di quegli anni restano le conquiste che, io e pochi altri visionari abbiamo fatto. Cose che oggi si danno per scontate ma, che noi abbiamo introdotto ed imposto con grande fatica e mi riferisco per citarne alcune: al linoleum nei teatri, all’illuminazione sul palco con i tagli ed il controluce, agli interventi nelle scuole pubbliche, alle conferenze -dimostrative, agli spettacoli nei musei e nelle biblioteche, nelle piazze,nei teatri d’avanguardia, nei grandi teatri ed infine l’acquisizione della parola danza nei vari cartelloni che prima recitavano solo,cinema, musica, teatro. Il cambiamento più eclatante è sicuramente una maggiore diffusione della danza, ma quest’arte purtroppo non si è molto rafforzata nella cultura italiana a causa principalmente delle divisioni, dei personalismi e protagonismi che minano la sua immagine e non le consentono di crescere. Il risultato il più delle volte è che alla maggiore quantità non corrisponde una migliore qualità.

F. A mio parere resta molto degli anni settanta. Resta ciò che è stato seminato dal lavoro svolto dalla compagnia Teatrodanza Contemporanea di Roma e dal Centro Professionale di Danza Contemporanea. In questo periodo storico, dove non c’era nulla di professionale  per la danza contemporanea, ho visto nascere non solo a Roma ma anche a livello nazionale un “movimento” che avrebbe stravolto la cultura italiana affinché potesse accogliere quest’arte coreutica che oggi presenta mille sfumature. Restano tante persone, tanti professionisti che hanno studiato e che a loro volta hanno lasciato un segno tangibile nella cultura della danza in Italia e all’estero. Restano non solo danzatori, insegnanti o coreografi, ma anche giornalisti, critici, storici, compositori di musica e  registi. Non credo che tutto  questa resta solo nell’immaginario collettivo, restano tracce materiali che hanno fatto si che il lavoro svolto da me e da Elsa insieme a queste persone restasse vivo fino ad oggi. Quello che so è che nel 1971 non esisteva nulla di concreto nell’ambito della danza contemporanea. Oggi è cambiata la tempistica delle produzioni e dello studio della danza. Se allora si studiava per il desiderio, il piacere e la curiosità di conoscere il nuovo, oggi si studia per un titolo, un diploma o per un certificato di partecipazione. Oggi le produzioni nascono e muoiono in brevissimo tempo, a volte in soli 2 mesi e a volte anche meno, mentre mi ricordo di avere avuto negli anni settanta anche periodi lunghi di 6 mesi per poter creare un nuovo lavoro e di avere danzato più di 150 spettacoli in un annI.

 Cosa ha significato per te il centro e la compagnia “Teatrodanza Contemporanea”?

P. Ha significato, tra le altre innumerevoli cose, la realizzazione di un sogno, che era quello di poter costruire ed operare nella difficile, e piena di pregiudizi, società italiana una realtà autenticamente professionale per la danza moderna che contribuisse a sviluppare e dare “casa” ai molti talenti allora esistenti.

F. Il Centro Professionale di Danza Contemporanea è stato fondamentale per la formazione e la crescita artistica di varie generazioni di danzatori, uno stile di vita e un modo nuovo di vedere il teatro danza in Italia. Il CPDC è stato un grande vivaio dove sono nati tantissimi talenti. Per me il Centro ha significato la stabilità, il proseguire di un progetto.  La compagnia “Teatrodanza” nasce come la prima operazione culturale nel suo genere. Un format professionale destinato a influenzare quasi tutte le compagnie nate dopo di noi. Questo evento culturale ha visto la Compagnia impegnata in spettacoli in tutto il mondo. E’ stato per me un veicolo per poter seminare il mio credo coreografico e di poter creare dei proseliti.

Quale episodio ricordi con più affetto di quel periodo?

P. Stranamente i miei ricordi più teneri sono legati ai bambini a cui per altro non ho mai insegnato. Non sono una madre biologica ma d’arte sì ed è forse per questo che ho sempre aiutato tutte le donne a non rinunciare alla maternità cercando di agevolarle in ogni maniera. Era frequente nelle mie lezioni a via del Gesù vedere delle carrozzine o bambini che gattonavano in fondo alla sala nel tentativo di seguirla insieme alla madre o ancora seduti a terra che pasticciavano con colori e fogli dai quali molte volte scaturiva il mio ritratto,sempre caratterizzato da lunghissimi capelli neri ed occhi enormi.

F.Gli episodi sono tanti, intanto quello di essere stato invitato al festival di Spoleto, l’Opera di Parigi, Scapino Ballet, di aver potuto fare tournée in molte parti del mondo compreso New York. Però un periodo che non potrò mai dimenticare e’ stata la stagione della compagnia al Teatro dell’opera di Roma, che stranamente coincide con il 18 ottobre, la stessa data dello spettacolo che presenteremo a Roma al Teatro Greco.

Una coppia che ha segnato la storia della danza contemporanea, ne sei consapevole?

P. Sì ne sono consapevole e molto fiera e anche determinata a non far passare le teorie di quelli che,per fortuna sono pochi, vorrebbero cancellare la nostra esperienza e si ostinano a dire che la danza contemporanea è arrivata in Italia negli anni 80.

F. A dire la verità no. O ancora meglio, oggi posso rendermi conto di ciò che e’stato svolto da me e da Elsa. Fino a poco tempo fa non era mio interesse fermarmi, guardare indietro e fare la somma di un lungo periodo di lavoro come quello vissuto artisticamente con Elsa, la compagnia e il centro. Mentre lavoravo non mi rendevo conto che ogni azione sarebbe stata definitiva e fondamentale per le nuove generazioni che stavano crescendo  sotto la nostra guida. Io avevo sete di creare, di fare e di conquistare il mondo. Oggi il mio credo è quella di volere lasciare una traccia di me è del mio lavoro, allora non avevo una strategia oltre al mio lavoro e la passione per la danza. Attualmente in Italia c’è tanta danza, e  molta mediocrità . La danza contemporanea in Italia sembra essere omologata e io ho sempre lottato contro le etichette. So adesso di avere svolto un cammino e un lavoro che ha cambiato il modo di vedere la danza in Italia e di aver tolto dalla clandestinità un arte degna di essere presentata in ogni teatro e spazio performativo.

Pregi e difetti di Piperno/Fontano?

P. Una caratteristica di Fontano? Non credo sia un difetto per un artista, certo è che l’ambizione non gli manca e che farebbe qualunque cosa per conquistare la meta prefissa. E poi è uno stakanovista! Sul lavoro ha una resistenza che ho sempre ammirato, non risparmia le sue energie nel perseguire il risultato migliore possibile. Per quanto mi riguarda sono una perfezionista e questo mi impedisce a volte di realizzare desideri e progetti, d’altro canto credo di essere una persona generosa sia nella vita che nella danza.

F. Elsa ha il pregio di sapere analizzare le situazioni e di centrarle. Il suo più grande difetto è la possessività che a volte dimostra nei confronti dei suoi danzatori e allievi. Però questo, è dato sicuramente dall’attaccamento che lei nutre verso di loro e che di sicuro li aiuta a crescere e sentire sicuri.

Che cos’è per te il movimento?

P. Il movimento è l’essenza stessa della vita, dal macrocosmo al microcosmo tutto quello che vive si muove.

F. Il movimento per me è’ qualcosa che è intrinseco nell’essere umano e in ogni essere vivente. Non ci sono limiti di cos’è un movimento, che sia giusto o sbagliato. Il movimento crea punte e linee, crea cerchi, il movimento e’ l’azione d’eccellenza che si esprime attraverso un linguaggio non verbale.

Che cos’è per te la danza?

P. La danza è una droga benefica che cura il corpo e lo spirito. La danza è “in tutti e per tutti”……. per tutti coloro che la usano come medicina,come svago,per ritrovare il proprio equilibrio,per divertirsi,per approfondire la conoscenza di stessi e del mondo che ci circonda e anche per sperimentare l’estrema felicità della comunicazione non verbale. Quest’arte ha mille sfaccettature ma anche delle leggi ben precise, è quando si arriva alla professione che il numero necessariamente si assottiglia e come in tutte le arti quelli che raggiungono le vette sono pochi.

F. Nella mia carriera avrò risposto a questa domanda centinaia di volte, ma in verità non so ancora cos’è la danza per me. Mi sveglio ogni giorno e ricerco la danza. La danza è dentro di me, è il mio respiro e sarà la mia morte. Ho trovato la danza nella pittura, nella musica, nel teatro, nel cinema, nelle pietre, nell’aria che respiro, e nell’amore.

Quanto e in che modo è cambiata la danza dagli anni ’70, rispetto ad oggi?

P. Anche la danza compatibilmente alle grandi trasformazioni che sono avvenute nella società degli anni 70 è molto cambiata.Questi cambiamenti non riguardano solo la danza moderna bensì anche la danza classica che continua ad essere la roccaforte del nostro paese. Vedo, un virtuosismo esasperato da una parte e molta confusione dall’altra. Si parla di contaminazioni che creano nuove tecniche senza sapere, o riuscire a distinguere, i linguaggi formativi e quindi “tecniche” dagli stili che invece fanno parte della sfera creativa coreografica. La maggiore diffusione della danza è prevalentemente determinata dall’alta percentuale della danza commerciale che riesce ad avere maggiore visibilità ed audience grazie alla televisione ed alcuni personaggi che ne detengono il monopolio. Mi rattrista dire che è raro che uno spettacolo di oggi mi dia emozioni però non perdo la speranza e continuo a credere nei giovani anche se penso che il genio del secolo 2000 debba ancora nascere.

F. La danza negli ultimi anni è cambiata notevolmente. Si ricerca sempre di più il modo per tornare alle proprie origini e di usare vari “stili”, o meglio “contaminare” con un linguaggio variegato dei diversi mondi coreutici, etnici e di urban dance. Non è che negli anni ’70 non avveniva questo, anzi c’era più collaborazione tra teatro, pittura, musica e danza. Cioè erano i protagonisti stessi di queste arti che tra loro ricercavano una strada per esprimersi in modo unificato. Grazie a questa  azione che allora veniva vista come “avanguardia”, oggi la danza usa indipendente ogni forma d’arte dello spettacolo dal vivo come un proprio mezzo di espressione. C’è da dire che con l’evento dell’apparato audio visivo la danza ha acquistato una nuova dimensione. Noi usavamo diapositive e filmati, oggi grazie alla nuove tecnologie si ha a disposizione ben altro.

Tu sei sempre la/o stessa/o?

P. Tutto muta e si trasforma, e se così non fosse sarebbe contro natura ed io invece mi sento molto parte della natura. Per rimanere in tema mi sento come un albero che con gli anni rinforza ed allunga le sue radici che sono nascoste e protette nel profondo della terra mentre all’esterno, la parte visibile, è invece esposta ai cambi di stagione ed alle intemperie che la modificano in un ciclo vitale inarrestabile.

F. Io certamente “NON” sono lo stesso. Sono contento di aver avuto la possibilità di continuare il mio cammino artistico in vari campi nel mondo coreutico. La mia visione della danza non è cambiata, anzi credo nella costante evoluzione di quest’arte, della libertà di espressione e della capacità di ognuno di poter scegliere la propria strada artistica senza essere etichettato in uno stile piuttosto che un altro.

Oggi di nuovo insieme?

P. Come in tutti i sodalizi abbiamo avuto alti e bassi, che visti i nostri caratteri sono stati ” altissimi e bassissimi” ma io credo che su come concepiamo la danza io e Joseph non ci siamo mai lasciati. Nonostante delle divergenze anche profonde quello che ci siamo reciprocamente donato è troppo bello perchè sia cancellato. In quegli anni visualizzavo me e Joseph come Giano bifronte, ognuno guardava le spalle dell’altro. Questa è stata la nostra forza che ha scoraggiato più di una volta chi voleva ostacolare il nostro cammino.

F. Sono felice di poter condividere con Elsa questo momento storico, di aver creduto nella sua capacità artistica e creativa e viceversa. Il nostro cammino e’ stato lungo e intenso, ma soprattutto in una fiducia reciproca. Abbiamo sempre saputo che il nostro destino da un certo punto in poi sarebbe stato Piperno-Fontano. Quindi eccoci nuovamente sul palco. Ho sempre apprezzato il lavoro professionale di Elsa e spero che quest’evento lanci una pietra miliare per la danza italiana e che i giovani possano apprezzare il nostro lavoro svolto con grande passione e professionalità.

E’ stato bello riaprire le valigie dei ricordi a distanza di molti anni?

P. In realtà i miei ricordi non hanno una connotazione nostalgica. Nella danza, quella che sono stata ed ho fatto sin da bambina, è sempre presente in me e si rinnova nella quotidianità attraverso il rapporto di quasi mezzo secolo ininterrotto con i miei allievi. E’ a loro che trasferisco non solo la mia conoscenza squisitamente tecnica, ma sopratutto le mie esperienze di vita, e quelle con il Centro e Teatrodanza sono sicuramente tra le più importanti.

F. Avevo molto paura di affrontare questo progetto. Ero intimidito da me stesso. Sembra strano, però questo era una nuova partenza per me. Non era facile reperire tutto il materiale che serviva per poter ricreare alcune coreografie di quegli anni. Dovevo capire quali coreografie potevano essere rappresentative del mio lavoro. Ho creato una moltitudine di coreografie tali da mantenere una compagnia per più di 18 anni. Detto ciò una volta aperta la valigia non c’era più via di ritorno. Ho scoperto che i lavori del passato stimolavano i danzatori che lavoravano con me. Ho rivisitato percorsi, dinamiche, movimenti, gesti e teatralità che sono stati all’origine del mio percorso coreografico. Tanto che mi ha stimolato al tal punto da voler creare un nuovo lavoro rinnovando me stesso, oltre a ricreare due coreografie che hanno segnato la storia della danza italiana. Per me è stato un caleidoscopio di emozioni.

Parlaci di questo progetto in scena al Teatro Greco?

P. Qui entra in gioco Marina Michetti, una coetanea, un’altra combattente. Era da qualche anno che con lei si parlava di questa aberrazione, tutta nordica, di voler negare una realtà ampiamente documentata di quando,dove e chi avesse introdotto la danza moderna americana in Italia. La Michetti forte di 25 anni di esperienza alla direzione di uno dei maggiori festival di danza in Italia ha così concepito questo progetto che si avvale della collaborazione dell’Accademia Nazionale di Danza al quale non potevo che aderire con molto entusiasmo.

F. Il progetto promosso dall’Associazione Invito alla Danza “Formidabili quegli anni” andrà in scena con gli allievi dell’Accademia nazionale di danza. Io ho ricreato due coreografie, la prima è un lavoro di gruppo  “Sala B” su musiche composte appositamente  da Eugenio Bennato già descritta da Leonetta Bentivoglio come “un piccolo capolavoro di leggerezza”, e poi il mio assolo “Solitudine”  su musiche di Erik Satie, il mio cavallo di battaglia creato nel 1972.

Anticipazioni?

P. Non cose concrete ma solo desideri. Mi piacerebbe nell’immediato che questa esperienza non si esaurisse nell’arco di poche rappresentazioni. Vorrei che si prolungasse per alcuni mesi, per dar modo di mettere veramente a frutto il lavoro svolto dagli allievi che hanno partecipato attivamente ma anche per i tanti studenti di danza e non che di questa storia conoscono poco o niente.

F. Io personalmente sto improntando un libro sulle mie esperienze personali passate, e spero presto di poterlo pubblicare. Quest’anno è’ stato per me un anno pieno di creatività e di stimoli. Ho coreografato “Body”, sto per presentare due coreografie del passato e ho appena finito una nuova produzione  “Dream Boat” per il Balletto di Sardegna, fondata dalla mia carissima amica Paola Leoni. Sono stato invitato a partecipare a molte manifestazioni e spero di non perdere mai il mio ottimo senso di entusiasmo. Amo la mia vita e con chi la condivido che senza non avrei mai potuto fare questo mestiere. La danza è’ un arte, ma sopratutto è’ un modo di essere, disciplina, rigore e umiltà.

Pensi sia possibile ripetere la storia e riaprire oggi “Teatrodanza”?

P. Quella Teatrodanza,no,perchè quella compagnia non era avulsa da una realtà socio-politica-culturale di quegli anni. Le condizioni, se pur difficili, erano molto diverse, perchè le persone erano diverse, così proiettate verso un futuro che tutti speravamo di migliorare collaborando attivamente insieme. Oggi con grande coraggio e con l’esperienza potrei fare altro, in fondo mai dire mai……..

F. Credo fermamente che l’Italia ha la necessità di un centro e di una compagnia come fu il grande progetto “Teatrodanza”. Un punto di riferimento professionale e sopratutto un posto di incontro dove poter respirare aria internazionale di danza e d’arte in genere. Un posto che non ha dei limiti burocratici e ministeriali. Un posto off limits alla politica e alle lobby artistiche. Si, credo fermamente che si potrebbe ripetere e riaprire oggi la Compagnia Teatrodanza per dare sempre più spazio ai giovani così come allora. I giovani non hanno più un luogo, o spazi dove presentare i loro lavori per la ricerca coreografica. I nostri artisti vanno quasi tutti all’estero a dare lustro alla compagnie internazionali. Teatrodanza era in parte la risposta. Teatrodanza ha creato danzatori, coreografi, insegnanti, compositori, critici, scrittori, registi ecc. e non mi sembra poco.

Un ricordo bello su Piperno/Fontano?

P. Ricordi? Tanti, tantissimi ma uno, quello che racconterò, è talmente vivido che è come l’avessi vissuto ieri. Era il 21 maggio 1981 e avevamo uno spettacolo a Potenza. Tutta la compagnia era lì, io no, ero a Roma che stavo conducendo una estenuante trattativa con la direzione del Teatro dell’Opera, per quella che poi fu nell’ottobre seguente, una settimana di spettacoli esaltanti.           Ricordo era tardissimo, avevo il cuore in gola, non sapevo come avvertire Joseph che stavo arrivando ma alla fine arrivai. Fortunatamente lo spettacolo iniziava con una coreografia di gruppo ma subito dopo c’era “Duetto in nero” danzata da me e Joseph, una sua coreografia molto intensa e difficile che traeva spunto dalla poesia “Picasso” di Pier Paolo Pasolini “Che bisogna essere folli per essere chiari”. M’infilai il costume e senza trucco e senza aver potuto fare un pliè mi precipitai sul palcoscenico,in quell’istante comunicai la bella notizia a Joseph,i suoi occhi brillarono, credo che mai come in quel momento siamo stati così felici.

F. Il più bel ricordo che ho di Elsa e di averla incontrata nel lontano 1971 in via dell’orso a Roma, una persona che come me ha fatto della sua vita la danza.

Sara Zuccari

Direttore www.giornaledelladanza.com

Foto di Corrado Maria Falsini

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