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Il Bardo tra danza e teatro: Angela Torriani Evangelisti ci racconta Shakespeare Dead Dreams

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Come annunciato qualche mese fa, debutta sul palcoscenico del Teatro Cantiere Florida di Firenze Shakespeare Dead Dreams, nuova produzione di Versiliadanza, che torna a collaborare, dopo 7th sense, con il giovane regista armeno Vahan Badalyan.
Versiliadanza è in residenza presso il teatro fiorentino, e dopo aver visto debuttare il Don Quijote della Compagnia Petrillo Danza, torna a presentare un proprio lavoro, invitando a collaborare di nuovo il direttore dello “Small Theatre – NCA”; conosciuto dal pubblico italiano con Diary of a Madman nel 2007, poi tornato con 7th Sense, una messa in scena di sette quadri principali ispirati al Book of Lamentations di Gregorio di Narek, poeta e filosofo armeno del X secolo, dalla cui opera è nata una coreografia che è una ricerca sull’enigma umano e sul senso di colpa.

Shakespeare Dead Dreams, che debutta il 29 aprile alle 21.00, invece, è un lavoro che coniuga teatro e danza ispirandosi a quattro personaggi delle tragedie di Shakespeare: Otello, Amleto, Macbeth e Re Lear. Abbiamo quindi intervistato Angela Torriani Evangelisti, per avere qualche dettaglio in più su questa nuova produzione.

Quando nasce l’idea di indagare Shakespeare in danza?

Lavoriamo con Small Theatre dal 2007, ma è dall’anno scorso che abbiamo iniziato a lavorare su Shakespeare. Questo perché entrambi avevamo fatto lavori sul linguaggio del drammaturgo inglese e quindi abbiamo deciso di provare a condividere un nuovo percorso con la regia di Vahan e la mia coreografia. Precedentemente avevamo lavorato insieme sulla figura dell’intellettuale armeno Gregorio di Narek, ma abbiamo deciso di cambiare anche per staccarci da questo discorso e rivolgerci a una figura più conosciuta.

Come lavora sui testi? Come lavorate per trasformare la parola in danza?

C’è una parte di lavoro testuale, ma a livello di danza cerchiamo di trasporre il linguaggio in modo molto teatrale: personalmente ho sempre lavorato partendo da testi. Il lavoro coreografico è d’azione, non è solo incatenare i passi, ed è sempre molto teatrale. All’interno dello spettacolo ci sarà una parte visiva, e poi una parte più attoriale…ma forse questo meglio non svelarlo subito…

Quindi con i ballerini come lavora?

Lavoriamo su dei temi, su delle parole chiave scelte con il regista Vahan; poi ci sono aggiunte più coreografiche, non legate al testo ma date dall’atmosfera: ad esempio possiamo decidere per una citazione barocca perché l’atmosfera la richiede e si costruisce un pezzo di quella ispirazione. Abbiamo lavorato anche di improvvisazione, anche perché siamo partiti dai sonetti e dalle sue tre figure principali che tanto ci intrigano: la figura femminile, quella del maestro e del giovane. Insomma, lavoriamo su questi input e alla fine insieme decidiamo cosa inserire nella coreografia.

Perché questi quattro personaggi?

Perché si parla di amore, passione, gelosia, morte; sono temi forti. I drammi portano sempre caratteristiche umane all’eccesso, e Shakespeare ci porta forse anche al nostro recente lavoro sugli affetti (Mit Affekt, ndr), che ci interessano proprio perché rappresentati in modo così esplicito.

Come ha lavorato con Vahan?

Vahan è un regista di teatro, ma fa un teatro molto fisico. Conoscendoci da molti anni, quando andiamo in Armenia lavoriamo con i ragazzi sul corpo e i movimenti. In fondo, io ho sempre lavorato con la parola e Vahan con il movimento, quindi abbiamo trovato un modo molto semplice per collaborare.

Quali spunti interessanti offre la scena armena? Quali punti di contatto e quali differenze?

In generale, molti sono i punti di contatto tra la scena armena e italiana, ma il lavoro armeno sul teatro è ancora molto tradizionale: in Italia possiamo vedere degli allestimenti di Shakespeare molto contemporanei, in Armenia il teatro è ancora legato all’immagine, ai costumi; e questo per chi fa un lavoro più essenziale, anche se in danza, è una sfida interessante, perché è un ritorno a un primo teatro cui in Italia si comincia a essere meno abituati. In loro ritrovo un lavoro poetico sull’immagine, ed è bellissimo, sia perché si torna al primo teatro che abbiamo conosciuto, sia perché i teatri sono sempre pieni, e gli spettatori sono curiosi.

Per quanto riguarda l’approccio ai temi shakespeariani, l’approccio è uniforme, perché siamo tutti danzatori o legati a un teatro danzato, l’unica differenza sta nella ricerca dell’essenzialità da una parte e della teatralità dall’altra, ma è un semplice discorso di percorsi diversi.   

Una sfida che vi attende a breve?

Porteremo il nostro recente Mit Affekt in Polonia a giugno, e poi porteremo avanti i progetti di giovani coreografi, come il progetto di Diana sul narcisismo, creato con Marta Bevilaqua di Arearea, che debutterà a novembre. Ci sono in cantiere altre collaborazioni con D’Anna, che il 21 maggio debutterà a Fabbrica Europa con Resistere. Poi…un sacco di progetti!

E alla nostra ormai classica domanda, “cos’è la danza?”, risponde: “una volta citai la frase che definiva la danza una dichiarazione d’amore; ma ora aggiungo che è l’unico linguaggio con cui posso esprimermi, perciò la danza è una dichiarazione, sì, ma di tante cose”.

E per chi volesse approfondire la cultura e la realtà armena, in occasione dello spettacolo, mercoledì 22 aprile dalle ore 18.00, la Mediateca di Fondazione Sistema Toscana (via San Gallo 25r) ospiterà Incontro con l’Armenia.

ORARI&INFO:

Shakespeare Dead Dreams,

29 aprile, ore 21.00

Teatro Cantiere Florida,

Via Pisana 111, Firenze.

www.teatroflorida.it

 

Greta Pieropan

www.giornaledelladanza.com

Foto: Versiliadanza

 

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