Mi è sempre piaciuto associare il gatto al movimento di danza e questo perché è innegabile che il corpo del felino ha in sé tutte quelle prerogative di flessuosità e di slancio acrobatico utili per ubbidire alle regole del ritmo e della danza. Per restare in argomento, citerò subito un passo: il “pas de chat” che è solito apparire frequentemente in ogni coreografia di tessuto classico-accademico. Quante coreografie della tradizione classica recano il “pas de chat”! A cominciare dal duettino della gatta e del gatto con gli stivali che sono soliti deliziarci, usciti come d’incanto da una delle pagine più famose di Charles Perrault che infiorano quel meraviglioso “divertissement”, detto anche “Le Nozze d’Aurora” nell’ultimo atto del balletto “La Bella addormentata” di Ciajcovskij-Petipa. A far ritornare sulle scene il gatto con gli stivali, alias “le chat botté”, ci pensò un grande coreografo del nostro tempo, quel Roland Petit, ahimè! scomparso l’estate scorsa dopo una vita piena, intensa dedicata con illimitato fervore creativo alla danza. “Le chat botté” fu creato la sera del 3 dicembre 1985 al Palais des Congrès di Parigi ed ebbe ad interprete Patrick Dupond, musica di Ciajcovskij, scenografia di Josef Svoboda, costumi di Franca Squarciapino.
Ripeto, la danza ha sempre rincorso i gatti e i gatti l’hanno percorsa in vari modi e in varie occasioni. Una “Chatte” tutta particolare e tutta parigina è apparsa molti anni fa nei programmi rivoluzionari dei Balletti Russi di Diaghilev. Una gatta che aveva connotati diversi dai soliti che siamo abituati vedere, inseritasi nelle avanguardie parigine di quel momento storico. A dire il vero la prima rappresentazione ebbe luogo a Montecarlo il 30 aprile 1927, libretto di Boris Kochno, l’assiduo segretario di Diaghilev, musica di Henri Sauguet, la coreografia di Georges Balanchine, scenografia e costumi di Naum Gabo e Antoine Pevsner, fratelli e collaboratori nel teatro coreografico di Diaghilev. La scena stravagante era di materiale plastico-trasparente che allora si chiamava mica e che oggi equivale al plexiglass, il fondale di tela cerata nera. Questi materiali riflettevano le luci del palcoscenico diffondendo all’intorno fasci luminosi abbaglianti. In quest’ambiente avveniristico si muoveva la gatta del nostro racconto di favola.
E, in effetti, era ricavato da una favola di Esopo. Un giovane si invaghisce di una gatta e chiede ad Afrodite di restituirgliela in donna. La dea d’amore acconsente ma per mettere alla prova la fedeltà della gatta-donna fa apparire un topo subito rincorso senza esitazione dalla gatta. Viene quindi trasformata nuovamente in gatta con grave disappunto del giovane che muore di dispiacere. Possibile che una gatta possa determinare tanto lutto? Più grave forse fu la fine di un altro balletto di Petit che mise a rumore le platee parigine nell’immediato ultimo dopoguerra: “ Les Demoiselles de la nuit”. L’avete capito: le signorine della notte sono le gatte e lo sappiamo che movimenti, comportamenti gatteschi sono abituali a certe seduttrici del mondo notturno. Il libretto fu steso da un poeta del racconto teatrale: Jean Anouilh, la musica fu composta da Jean Françaix.
Non abbiamo dimenticato quella rappresentazione al Théâtre Marigny di Parigi il 22 maggio 1948. E come dimenticare Margot Fonteyn nelle sembianze della gatta Agate della quale si innamora un giovane musicista capitato per caso in un appartamento abitato da soli gatti. Ella tenta di poter nutrire sentimenti umani per lo spasimante e diventarne anche compagna fedele ma poi prende il sopravvento il richiamo di un gatto con i suoi miagolii. Vorrebbe correre verso la libertà, sui tetti, più in alto. Il giovane cerca di afferrarla, perde l’equilibrio, precipita dai tetti, muore. La gatta decide di seguirlo. La scenografia, le maschere, i costumi erano di Léonor Fini, appassionata del mondo felino, un’artista che di gatti s’intendeva, ne aveva dipinti molti, ella stessa ne aveva le sembianze.
Ma se vogliamo restare in quel mondo, non possiamo dimenticare quanto la scrittrice e poeta Colette amò i gatti, si trasformò in gatta, ne vestì le forme come le vestirono tanti ballerini e toccò anche a noi proprio in un balletto, propriamente la “fantaisie lyrique” il cui libretto era stato scritto dalla stessa Colette per la musica di Ravel: “ L’enfant et les sortilèges”. Una gattina col suo gatto amorevole fa parte di queste scene poetiche. Un bambino li tratta anche male, tira loro la coda come, in un momento di ribellione, tratta male tutto il mondo che lo circonda. I due gatti fuggono sul cornicione di un muro del giardino della casa dell’enfant. Miagolano alla luna sulla musica ravelliana di un incanto vespertino e miagolano nei gesti.
Ricordo come il maestro Milloss, autore della coreografia, si sforzasse nel farmi assumere movimenti felini e infierisse sulla mia povera schiena recalcitrante affinché essa diventasse sempre più flessuosa e si piegasse ondulante come solo i gatti possono fare, “schiena elastica” come la definì Baudelaire, “dos élastique”…Altre volte tornai per mia fortuna a tessere un dialogo muto con i miei amici gatti. Per esempio quando mi toccò di interpretare il personaggio del Gatto con la compagna Volpe nel balletto “Pinocchio” (foto), un momento irresistibile nell’interpretazione di un passato lontano. Sempre più vicino è invece il presente con i gatti che incontro nella mia vita di ogni giorno. Indimenticabili le estati trascorse in un albergo di Positano ove i gatti di specie diverse erano molti. Una si chiamava “Nuvola”, grigia e soffice come una nuvola: veniva al tavolo della mia colazione mattutina. Le lasciavo cadere qualche briciola dei miei biscotti, né studiavo i movimenti danzanti, musicali, affascinanti e tornavano alla mente i versi famosi di Baudelaire: “Viens mon beau chat sur mon coeur amoureux; Retiens les griffes de ta patte, Et laisse-moi plonger dans tes beaux; Mêlés de métal et d’agate” “e che la mia mano s’innerva di piacere nel palpare il tuo corpo elettrico” e così anche le immagini fantastiche di un musical famoso che ho tanto amato “ Cats”.
Chatons, mici, amici miei, la Danza è in voi danzatori misteriosi e alteri, inconsapevoli e quindi autentici, più genuini, lontani dalla scena del teatro ma non della vita. A differenza dei vostri fratellastri che hanno difficoltà a trovare ospitalità su un palcoscenico (nel teatro dell’opera-lirica c’è un disprezzo per certi cantanti che qualche volta sono definiti “cani “ ma che si possono salvare attraverso i barboncini del balletto “La Bottega fantastica” di Rossini-Respighi-Massine).
Mici, amici miei, per quanto tempo ancora sarete complici dei miei sogni?
Alberto Testa
Lo scritto del Maestro Alberto Testa fa parte del catalogo della mostra “Sua maestà il gatto” curata da Cesare Nissirio. La mostra è in corso a Villa Fondi- Museo G. Vallet, in Piano di Sorrento sino al 20 maggio, dalle 10,00 alle 19,00.