Michele, vorrei partire da questa tua esperienza con Grazia, il vostro percorso insieme finora…
L’esperienza con Grazia è stata quasi indotta dal destino, perché io sono approdato ad Amici e mi è stato chiesto di valutare tra lei e Borana. Io ho detto quello che pensavo, nel senso che, senza sminuire nessuno, sicuramente Grazia ha un margine di lavoro molto ampio. È una ragazza che si è dimostrata subito intelligente, ha una base di lavoro di un certo tipo e lavorare con lei mi ha stimolato molto. Poi c’è stata un’intesa corretta, giusta, lei si è comportata veramente bene, era come se pendesse dalle mie labbra, quindi ha svolto bene il ruolo da allieva e mi ha dato soddisfazione, non perché fosse costretta a farlo, ma perché ci ha creduto ed ha costruito un percorso all’interno di Amici non facile, perché è senza dubbio una trasmissione valida, ma non idonea al miglioramento a 360 gradi di un ballerino classico, è molto difficile, però ci siamo riusciti e dunque è anche merito dell’intelligenza del programma alla fine.
Grazia, per te che, quando hai iniziato Amici, avevi una formazione accademica presso il Teatro San Carlo di Napoli ed avevi appena ricevuto il Premio Léonide Massine per l’Arte della Danza, come hai vissuto il passaggio dal teatro alla televisione?
Inizialmente il passaggio è stato un po’ traumatico, perché si sa che chi proviene dal teatro ha delle esigenze diverse, tempi totalmente diversi. Ad esempio, in teatro una variazione si prepara come minimo in un mese, lì era tutto accelerato, a volte non c’era il tempo di provare le cose, oppure c’era una difficoltà di spazi, quindi inizialmente mi sentivo spaesata, dal classico passavo al moderno, dal moderno passavo all’hip hop, poi rimettevo le punte. I primi giorni dunque sono stati traumatici, poi, man mano, ho iniziato a prendere il ritmo. Comunque, fortunatamente, avevamo sempre la nostra lezione di classico la mattina e studiavamo le variazioni, questo era fondamentale. Come esperienza è stata importante in quanto mi ha portata fuori dal mondo del teatro “chiuso”, perché, diciamo la verità, il mondo del teatro in Italia comunque è abbastanza ristretto, siamo rimasti un po’ indietro secondo me. In televisione inizi a cambiare, ad esempio io che ho studiato sempre classico in vita mia, lì ho iniziato a provare nuovi stili e mi sono divertita in questo, anche se all’inizio mi stavo un po’ allontanando da quella che era la mia materia.
E adesso continuerai in televisione?
No, adesso no, dopo aver conosciuto il Maestro Villanova farò un percorso diverso. Non è che il mio no significa che non voglio più fare televisione, se la televisione mi permetterà di continuare questo mio percorso sì, continuerò a farla se ce ne saranno le occasioni, ma non cambiando totalmente, nel senso che io non diventerò mai una ballerina televisiva, con tutto il rispetto per le ballerine televisive. Intendo dire che, se riesco a mantenere il mio ruolo di ballerina classica, ben venga la televisione, che anzi aiuta e potrebbe aiutare anche ad avvicinare le persone del mondo televisivo al teatro.
Michele, la tua concezione della danza a 360 gradi?
Qui si apre un discorso molto particolare, io trovo che la danza stia vivendo un momento molto negativo, perché non c’è una struttura intorno ad essa che aiuti il suo sviluppo e soprattutto che aiuti a farla vivere di concerto con la vita normale, quindi rinnovata con un linguaggio nuovo. È rimasta troppo attaccata a dogmi strani, costruiti, che stanno allontanando il pubblico. Io ho sempre detto che un buon spettacolo è quello che diverte il pubblico profano, non quello che diverte il pubblico di nicchia. Come diceva Grazia, questa ermeticità della danza classica non è un bene, perché arte vuol dire divulgare, trasmettere dei messaggi. In questo momento trovo ci sia una situazione molto particolare. Intanto nessuno pensa a creare nuove produzioni nei teatri, ad incentivare nuovi coreografi, nuovi percorsi, nuovi scenografi, nuovi costumisti, nuovi spettacoli in una concezione diversa. Non si può restare legati allo spettacolo di quattro atti che, pur restando interessante come tradizione, può risultare un po’ noioso. Adesso sappiamo benissimo che non è più come nell’Ottocento. Nell’Ottocento non c’era niente a casa, non c’era l’illuminazione, non c’erano i frigoriferi, non c’era la televisione, non c’era il telefono, non c’era Internet, stare a teatro il più a lungo possibile era tanto di guadagnato. Agli spettacoli alcune cose le si guardava, poi si costruivano rapporti interpersonali, c’era chi mangiava, chi conosceva, chi rimorchiava, era un momento sociale, adesso non è più così. Adesso lo spettacolo dovrebbe innovarsi, ma nessuno lo fa. Il teatro è diventato una sorta di museo ammuffito ormai, c’è gente che fa molta fatica ad andare a teatro, soprattutto i giovani. Ad esempio, se prendiamo degli adolescenti e vogliamo cominciare ad educarli al teatro, cosa proponiamo loro? Il teatro, nascosto dietro questa parvenza di grande raffinatezza, può reggere il confronto con un concerto rock? Non regge il confronto e non sono due cose diverse, è sempre spettacolo, comunque è arte, da una parte c’è un messaggio dall’altra ce n’è un altro, però, così come si è evoluto il concerto rock, così si dovrebbe evolvere anche la danza, altrimenti perdiamo il pubblico e, perdendo il pubblico perdiamo la cultura, perdendo la cultura perdiamo la supervisione nei confronti di coloro che sono preposti a fare delle cose e alla fine di fatto non le fanno. Quindi, accade che si fa vivere il teatro soltanto per mantenere strette le poltrone, invece l’arte è per il pubblico, per i talenti e per aumentare gli investimenti. Tendenzialmente è vero che il Governo ha tagliato fondi per la cultura, ma è anche vero che magari con i pochi fondi che sono rimasti, se ci si dà da fare, si possono fare tante cose interessanti, assumere giovani, far partire progetti, è una tragedia che ciò non accada, non ha senso, perché, come ho sempre detto, l’arte è come una religione, se ne ha sempre bisogno, altrimenti non avrebbe ragione di esistere. L’arte è effimera, aiuta lo spirito, fa crescere, fa sognare, se non è così perché teniamo aperti i teatri? Solo per mantenere delle poltrone che, fra l’altro, numericamente aumentano sempre più? Nessuno schioda questi personaggi, è come se si fossero arroccati e invece bisognerebbe proporre cose nuove, ma non è capace di farlo nessuno o perché non c’è volontà politica o perché non si vuole rischiare, oppure perché girano troppi pochi soldi e quindi non importa nulla a nessuno, non so quale sia la vera ragione, però sta di fatto che è arrivato il momento di farsi una domanda seria: dove vogliamo andare con quest’arte? Questo discorso forse è più profondo e serio di quanto non immaginiamo, ma non serio in quanto si parla di balletto classico, perché le cose serie sono altre nella vita, la salute, i rapporti interpersonali, gli affetti, le amicizie, il rispetto fra le persone, queste sono le cose serie, la danza è solamente danza, punto e basta. Sono dell’avviso che le cose bisogna farle bene o è meglio non farle, cambiare. Ormai la danza è diventata una roba di nicchia, se ne discute in salotti con parvenze radical-chic e invece l’arte è di tutti.
Ma secondo te il mezzo per veicolare questo messaggio d’apertura, qual è?
Tanto per cominciare, bisogna smettere di essere così esterofili, perché non posso credere che accada che in un teatro come quello in cui ho lavorato io per tanto tempo, il Teatro alla Scala, in questo momento le maggiori cariche sono ricoperte da stranieri, ma è possibile che non ci sia un italiano o qualcuno dall’interno che sia considerato in grado di ricoprire quei ruoli? Si prendono sempre persone da fuori. Ad esempio io che ho trascorso trent’anni alla Scala e ci ho lavorato anche come insegnante ora ne sono fuori e sono contento in realtà, perché credo che in questo momento il grande tesoro, il vero patrimonio artistico non stia più in questi grandi blasoni, grandi teatri e grandi istituzioni, ma nelle scuole private, che sono il vero raccoglitore di giovani talenti. Meglio monitorare e potenziare tradizionalmente in questo senso e al sud devo dire che questo è molto sentito. La Campania, la Calabria, la Sicilia sono regioni ricche di talenti e di situazioni molto interessanti, il problema è che manca il passaggio, il traghetto per approdare a qualcosa di più stimolante. C’è bisogno di cambiare proprio mentalità, i ballerini ormai sono reclusi in una sorta di storia di conformazione fisica, lo vediamo anche nel reality, alcuni insegnanti guardano solo i piedi, ma, quando si ingabbia delle persone così, vuol dire che non si ha la capacità di riconoscere e di modificare o plasmare il materiale che si ha fra le mani. Un ballerino va formato partendo dalla testa non dalle gambe, poi è naturale che deve avere il fisico per farlo, ma l’artista deve essere innanzitutto testa, perché quando avrà finito la sua carriera, più o meno importante ma dignitosa, potrà continuare a trasmettere la sua esperienza a sua volta. Io con trent’anni di esperienza in Scala quanto avrei da dire? Conosco ogni angolo di quel teatro, eppure spesso capita che arriva qualcuno a lavorare da fuori e non conosce niente. Ci mette quattro anni soltanto a capire quali sono gli organi del teatro e intanto sono passati quattro anni e questo vuol dire che sono invecchiati di quattro anni i ballerini, che sono passate quattro stagioni di ragazzi diplomati. La gente su queste cose non riflette. La continuità è importante, se prendiamo come esempio i calciatori, le squadre di calcio che noi tanto critichiamo, sono molto più avanti, sono molto più artisti di noi, perché un calciatore, quando ha finito di fare il calciatore, fa il dirigente della società calcistica, se lo tengono a fare il dirigente, il preparatore atletico, l’allenatore, l’aiuto allenatore, non è che chiamano uno da fuori. Di norma, un calciatore che ha fatto una grande carriera, che ha dimostrato di avere una testa, fa il dirigente in una squadra e invece in arte cosa facciamo? Gli esterofili! La continuità è importante, unitamente all’esperienza e ad un grande indirizzo artistico, coadiuvato magari da grossi personaggi. Ci vuole dunque una struttura solida che vada avanti, una macchina da guerra, coadiuvata da un pensiero artistico. La struttura deve essere garantita, è come una scuderia di Formula Uno, non importa chi sia il pilota, è la macchina che deve essere a posto. Non facciamo finta che l’arte sia una cosa futile, perché non lo è. Io ho sempre detto che, quando tagliamo l’arte, sappiamo quanto abbiamo risparmiato, ma non sappiamo quanto danno abbiamo fatto.
Grazia, parlando di identità artistica, tu in cosa ti riconosci adesso? Dove ti senti ora nella tua carriera?
Io mi sento ovviamente cambiata, ho fatto il passaggio dalla scuola alla fase successiva, sento questo. Non mi sento ad un livello artistico altissimo, però penso di avere le capacità, soprattutto psicologiche, di arrivare ad un buon livello artistico.
E secondo te quali sono gli strumenti necessari per un ballerino per questo passaggio?
La conoscenza. Conoscere quello che si va a fare e non per sentito dire, approfondire ciò che viene detto, prendere tutto, le cose positive e anche quelle negative. Ad esempio, quando un maestro o un coreografo ti dice che qualcosa non va bene, provare a capire perché non va bene e dunque sfruttare anche i difetti per migliorare.
Michele, i vostri progetti insieme per il futuro?
Un maestro è per sempre. Poi, se un giorno mi dovessi accorgere che non ho più niente da dire ad una persona con cui lavoro, sarei il primo a consigliarle di cambiare percorso, ma questa è una forma d’arte in cui non si può essere autonomi, il fai da te qui non va bene, neanche a livelli stratosferici, c’è sempre bisogno di una guida, di un occhio esterno. C’è bisogno di una persona di cui avere fiducia, con cui condividere un pensiero, un’abnegazione, una coscienza e non ci sono né voli pindarici né esaltazioni, è paragonabile a due binari del treno, viaggiano paralleli. Grazia in questo momento si accinge al professionismo, anzi è già una professionista, ma deve concretizzare la sua conoscenza e portarla avanti, io sono dall’altra parte. Poi magari un giorno lei, se le interesserà, a sua volta trasmetterà ad altri, creando quella continuità di cui parlavo prima, l’arte è tramandare, come facevano i greci, di padre in figlio. A quell’epoca libri non ce n’erano, la stampa è stata inventata nel Seicento e molto tempo è passato prima che si divulgasse, tutto si basava sull’avere accanto qualcuno che dicesse cosa fare ed i greci hanno fatto cose straordinarie, basta guardare le opere d’arte antiche o l’architettura. Dunque, il progetto sarà che io continuerò a monitorare Grazia, ma il mio monitoraggio non è costante, semplicemente ogni tanto ci vediamo, ci confrontiamo, lei si riordina in qualche maniera, è così che si fa.
Grazia, una frase conclusiva…
Aprire gli occhi e non credere a tutto ciò che viene detto, perché non è sempre tutto vero.
Michele, invece il tuo messaggio conclusivo?
Il mio messaggio conclusivo da maestro è soprattutto rivolto ai genitori, di tenere sempre molto d’occhio i propri figli, non abbandonarli mai a false chimere, a blasoni, a scuole importanti, monitorarli sempre, occuparsi che siano sempre sereni ed integri, perché dietro a questi precoci professionismi si nascondono spesso delle problematiche molto gravi. Un adolescente, se non lo si monitora bene, ad un certo punto, se è toccato da fissazioni o cose strane nascoste dietro a queste manie di professionismo, rischia delle cose pesantissime, può essere minato per il resto della vita. Quindi i genitori devono ricordarsi che prima esistono i figli e dopo ciò che fanno. E magari in questo modo si riesce a cambiare un po’ anche la situazione di tante scuole che fanno carne trita di tutto ciò che ricevono. Senza questo controllo si rischia di non avere giovani talenti integri, perché il vero talento è il ragazzo o la ragazza che dice quello che pensa e non rimane schiavo di situazioni gestite da altri e soprattutto gestite male. Quello è un grande artista. Se vogliamo formare grandi artisti dobbiamo partire principalmente da questo. Come dico sempre, e lo disse anche la Celentano una volta, se si rispetta la forza di gravità, si segue il giusto principio, perché la forza di gravità lo insegna: testa, occhi, naso, polmoni, cuore e solo alla fine piedi. Non facciamo l’errore di partire dai piedi, anche perché poi non c’è la forza per arrivare alla testa.
Lorena Coppola