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La fatica: amica o nemica del danzatore?

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COME IMPARARE A RICONOSCERE I SEGNI DI AFFATICAMENTO CRONICO PER CERCARE DI PREVENIRE I TRAUMI

L’idea di parlare di “fatica” e di “riposo” in questo articolo è nata pochi giorni fa durante una lezione di Anatomia applicata alla Danza quando mi sono trovata, come sempre in questo periodo dell’anno, a discutere con i miei studenti il problema dell’aumento dei traumi e degli incidenti tra i danzatori, proprio a ridosso delle situazioni per loro più impegnative (spettacoli, concorsi, esami, audizioni, ecc.).

 Cominciamo col dire che la stretta correlazione tra affaticamento/superlavoro ed insorgenza di traumi è stata ampiamente descritta nel mondo della danza: già in una tabella pubblicata da Brison e Dick nel 1996, ad esempio, circa il 60% dei 658 danzatori inglesi intervistati pensava che la fatica fosse la causa principale dell’insorgenza di patologie del loro apparato muscolo-scheletrico. Questo dato, importante a livello statistico sia per il numero elevato di danzatori coinvolti nello studio che per le diverse tipologie di danzatori intervistati, andava a confermare una tendenza già evidenziata qualche anno prima in un altro studio riguardante un gruppo di danzatori classici svedesi (Ramel e Moritz, 1994).

Questa sensazione, dunque, che il danzatore vive “a pelle” e che gli fa percepire come la stanchezza e l’affaticamento possano influire negativamente sulla qualità della sua performance, contrasta con la tradizionale idea di molti esperti del settore secondo la quale ”il danzatore non può permettersi di stare fermo neanche un giorno perché il suo corpo ne potrebbe risentire negativamente”. Chi ha torto e chi ha ragione? Esiste una spiegazione basata su evidenze non aneddotiche che possa mettere d’accordo le due posizioni? Le risposte, a mio avviso, vanno ricercate  partendo dall’osservazione dei più semplici principi di fisiologia del movimento e di come l’intero corpo umano si adatta ai cambiamenti legati alla pratica di attività motorie.

La sensazione di fatica rappresenta la naturale risposta del nostro corpo all’attività fisica: viene percepita a livello dell’apparato muscolo-scheletrico come una sensazione “pesantezza e  rigidità” dei muscoli che, nei casi più estremi,  sembrano incapaci di rispondere alla stimolazione nervosa; tra le cause della sua comparsa possiamo citare l’accumulo di acido lattico (il prodotto finale del metabolismo degli zuccheri) nel muscolo stesso fino al punto di impedirne la contrazione, la perdita di acqua, l’eccessivo aumento della temperatura corporea, la riduzione delle scorte energetiche, ecc. La stanchezza, tuttavia, viene percepita anche a livello mentale come una ridotta capacità di fissare l’attenzione sull’attività motoria svolta con una conseguente riduzione della funzione di controllo del movimento. I sintomi appena descritti identificano la condizione che molti Autori definiscono come fatica acuta, che scompare completamente dopo una notte di riposo e che non ha ripercussioni sul rendimento generale dell’atleta e/o del danzatore.

Tale tipo di fatica va sicuramente distinto dalla condizione chiamata fatica cronica: esistono innumerevoli definizioni di questa condizione, ancora oggi controversa ma, sintetizzando semplicemente  le più significative, potremmo definire il sovrallenamento come quella situazione di stress che colpisce il danzatore riducendone le prestazioni e modificando la sua condizione fisica e mentale generale anche dopo un adeguato periodo di riposo. Questo significa che il danzatore comincia ad accusare una sorta di malessere generale che si può presentare con apatia oppure con irratibilità, svogliatezza, disinteresse per il lavoro; a questi disturbi generali si associano spesso scarso appetito, disturbi del sonno e la presenza di un dolore muscolare sordo e continuo che impedisce di eseguire i movimenti di danza nel modo appropriato.

Alla base dei sintomi sopra descritti è evidente un interessamento del Sistema Nervoso Vegetativo che, in risposta ad uno stress eccessivo, può arrivare fino a coinvolgere anche l’Apparto Endocrino ed il Sistema Immunitario, esprimendo nella sua completezza e complessità quella che viene appunto definita Sindrome da Overtraining.  Esistono esami clinici e misurazioni di specifici parametri funzionali che permettono la conferma di un sospetto diagnostico ma, nella maggior parte dei casi, un Insegnante di Danza attento e preparato può cogliere i primi segni di eccessivo affaticamento del danzatore prima che la sintomatologia sia conclamata o, comunque, prima che questa condizione favorisca la comparsa di traumi più o meno gravi. Un danzatore affetto da affaticamento cronico facilmente “si distrae”, soprattutto alla fine di una lezione e/o di una prova: la mancanza di controllo può favorire la comparsa di traumi distorsivi (cavilgia, ginocchio, ecc.), di fratture (base o diafisi del V metatarso), di lesioni muscolari (stiramenti o strappi)      ed anche di lussazioni (rotula e spalla).

Alla luce di quanto fin qui descritto è utile che gli Insegnanti di Danza, i Genitori e gli Studenti stessi riflettano sull’importanza di organizzare una giusta programmazione dell’attività fisica durante l’intero anno di lavoro: il riposo non deve essere visto come una “perdita di tempo”, ma come il momento in cui il corpo del danzatore “si rigenera” e fissa i cambiamenti prodotti dall’allenamento. I tempi di recupero, infatti, variano a seconda del tipo di allenamento svolto e sono diversi nei diversi organi ma esistono delle semplici regole pratiche che i danzatori dovrebbero imparare a rispettare con attenzione: evitare di aggiungere fatica a fatica (se ci si sente troppo stanchi meglio saltare una lezione/prova), riferire tempestivamente al proprio medico curante eventuali sintomi persistenti indicandi stress (vedi sopra), mai affrontare una lezione o una prova senza aver eseguito un corretto riscaldamento e non interrompere bruscamente l’attività fisica ma cercare di eseguire un lavoro di defatigamento atto a favorire lo smaltimento veloce delle tossine accumulate, se possibile avvalersi dell’aiuto di un massaggiatore e/o di un fisioterapista.

Dal punto di vista organizzativo, i danzatori possono essere aiutati se il carico di lavoro non viene incrementato in modo brusco ed improvviso, le lezioni e le prove vengono distribuite nella giornata separandole con congrui periodi di pausa e, soprattutto, se si consente loro (nei limiti del possibile) di ridurre o sospendere l’attività, per il periodo necessario, alla prima comparsa dei sintomi sopra descritti.

Per concludere vorrei dedicare un attimo di riflessione anche allo stile di vita del danzatore che, già normalmente poco salutare, diventa quasi assurdo nei periodi di massima tensione: dimenticarsi di mangiare e di bere, dormire poco e fumare molto sono sicuramente abitudini che non aiutano il corpo a recuperare tempestivamente energia e vitalità.

 

Dott.ssa Luana Poggini

www.giornaledelladanza.com

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