Abbiamo visto, nel precedente articolo, come le posizioni base dei piedi nella danza classica vengano ottenute grazie al movimento di rotazione esterna della testa del femore all’interno dell’acetabolo e come la maggiore o minore capacità di compiere questo movimento sia legata, in massima parte, all’ampiezza dell’angolo di antiversione del femore. In tutti quei casi in cui il danzatore non riesce a raggiungere agevolmente le posizioni con i piedi rivolti verso l’esterno, perché la sua capacità di ruotare le anche in fuori è insufficiente, egli impara ben presto a mettere in atto tutta una serie di meccanismi di compenso che portano al disallineamento del ginocchio rispetto al piede: l’insieme di questi compensi prende il nome di rotazione esterna forzata o overturn. In questo caso l’en dehors viene costruito dal basso verso l’alto (e non viceversa come sarebbe corretto): il piede viene posto forzatamente a 90° rispetto alla posizione naturale sfruttando l’attrito con il pavimento (spesso aumentato dall’uso della pece) ma soprattutto utilizzando la possibilità di rotazione esterna del ginocchio nella posizione flessa, per cui la tibia ruota in fuori rispetto al femore. “Sistemati” così i piedi nella posizione desiderata, stendendo gradualmente le ginocchia, il danzatore esegue un sorta di “movimento a vite” di queste articolazioni che porta le rotule a guardare in avanti mentre i piedi restano rivolti in fuori e si “aggrappano” al pavimento per mantenere il grado di “rotazione” raggiunto. A questo punto, solitamente, il piede si atteggia in eversione cioè nella posizione che nelle aule di danza viene descritta come “piante in avanti”: il peso del corpo si scarica prevalentemente sul primo dito, l’arco plantare longitudinale mediale cede ed il calcagno devia in valgismo.
L’utilizzo di questo “trucco”, che permette di ottenere la chiusura forzata della quinta posizione e l’allineamento dei piedi lungo l’asse trasversale nella prima posizione, è largamente utilizzato nelle aule di danza e, non a caso, è considerato essere uno dei più importanti fattori di rischio per la comparsa di numerose patologie ortopediche nei danzatori classici (Grossman et al., 2005; Clippinger, 2007; Dance Magazine, luglio 2012; www.iadms.org;). Basta infatti soffermarsi ad osservare la posizione ottenuta per capire come l’overturn possa portare, a lungo andare, a patologie da sovraccarico non solo del ginocchio (sindromi meniscali, sofferenza della cartilagine della rotula, tendinite del tendine rotuleo, ecc.) e del piede (allce valgo, fascite plantare, tendinite del tendine d’Achille, ecc.), ma anche della colonna lombare (lombalgia) e delle anche (artrosi precoce).
Cosa accade, dunque, se un bambino desidera intraprendere lo studio della danza classica ma la mobilità delle sue anche non gli consente di disporre i piedi a 180° tra di loro e quindi presenta, strutturalmente, uno scarso en dehors fisiologico? Per rispondere in modo esauriente a questa domanda, dobbiamo innanzi tutto chiarire che esistono differenze importanti riguardo al tipo di scuola che il bambino intende frequentare. Se parlimo dello studio della danza classica in scuole ad indirizzo professionale, all’atto della prova di ammissione, viene sempre eseguito un’esame fisico accurato che porta ad evidenziare le eventuali difficoltà del soggetto ad eseguire il movimento in questione: i risultati ottenuti durante i test di valutazione funzionale rappresentano, nella maggior parte dei casi, un ostacolo per il conseguimento dell’idoenità a frequentare questo tipo di scuola. In un contesto professionale, infatti, è il corpo dei giovani danzatori che deve essere naturalmente dotato ed adatto a “plasmarsi” secondo le esigenze della tecnica, affichè lo studente possa iniziare in sicurezza il lungo e faticoso percorso di ricerca di quella eleganza e purezza del gesto che caratterizza i danzatori professionisti di tutti i tempi.
Se invece parliamo dello studio della danza ad indirizzo amatoriale, il discorso diventa più complesso e deve prendere in considerazione innumerevoli fattori. Innanzi tutto, tenendo conto che lo studio della danza classica a livello amatoriale dovrebbe essere, a mio avviso, aperto a tutti coloro che lo desiderano, diventa fondamentale che l‘Insegante di Danza sia in grado di valutare, con alcune semplici manovre, l’ampiezza del movimento di rotazione esterna delle anche dei suoi studenti. Tra i vari metodi di misurazione proposti in letteratura, credo che il più semplice da utilizzare ed il più funzionale sia il test di rotazione passiva delle anche in posizione prona: il bambino è sdraiato con la pancia sul pavimento ed è completamente rilassato mentre l’insegnante, dopo aver flesso a 90° il ginocchio dell’arto sul quale si intende effettuare la misurazione, porta l’arto inferiore in dentro ed in fuori, come se la gamba fosse l’ago di una bilancia. Rispetto ad altri tipi di misurazioni proposte, questo test ha il vantaggio di essere specifico per la misurazione dell’en dehors senza l’interferenza di altri movimenti dell’anca, come accade ad esempio se si pone il soggetto in decubito supino con gli arti inferiori “a farfalla” che misura contemporaneamente anche l’abilità di abduzione e che, dunque, non è sufficientemente preciso. Va comunque sottolineato che con il test di rotazione passiva delle anche in posizione prona è possibile misurare semplicemente la potenziale abilità del soggetto a compiere il movimento di rotazione esterna dell’anca ovvero l’eventuale presenza di limitazioni “scheletriche” che ne riducano l’ampiezza, fermo restando che per imparare ad eseguire correttamente il movimento di en dehors è necessario uno studio tecnico mirato, sotto la guida di insegnanti attenti e competenti.
La validità fondamentale di questa manovra, tuttavia, è proprio quella di essere un semplice test di misurazione capace di fornire informazioni utili per impostare un lavoro tecnico “personalizzato” nel rispetto delle caratteristiche di ogni singolo allievo: se la danza viene studiata a livello amatoriale, infatti, in presenza di difficoltà a compiere il movimento di en dehors, l’Insegnante di Danza dovrà fornire indicazioni tecniche differenziate ai bambini in modo da evitare al massimo l’utilizzo della posizione di rotazione esterna forzata dell’arto inferiore. Qualsiasi studente che si appresti ad eseguire le posizioni di base dei piedi, dunque, dovrà essere in grado di mantenere il corretto allineamento tra testa del femore, rotula e secondo dito del piede, indipendentemente dall’ampiezza dell’angolo che i piedi riescono a formare tra di loro: per evitare che l’apparato muscolo-scheletrico soffra a causa del costante uso della rotazione esterna forzata, è meglio che i piedi non siano disposti forzatamente a 90° ma che rispettino la direzione indicata dalla rotula che corrisponde all’ampiezza della rotazione esterna dell’anca possibile in ogni individuo. L’uso dell’en dehors fisiologico, dunque, deve diventare uno dei temi portanti della lezione di danza, senza che il soggetto meno “ruotato” si debba sentire in alcun modo sminuito nella sua abilità e nel suo impegno: stiamo infatti parlando di una caratteristica fisica legata, in massima parte, ad un problema strutturale scheletrico che non è in alcun modo modificabile dalla volontà personale.
Da quanto detto finora, appare evidente che, per evitare la comparsa di patologie da sovraccarico, ogni danzatore deve imparare da subito a rispettare il proprio en dehors fisiologico ma, riallacciandomi a quanto detto nel precedente articolo, mi sembra importante ribadire che tutti, attraverso un lavoro analisi delle proprie caratteristiche fisiche, possono arrivare a migliorare la propria capacità di compiere questo movimento: la consapevolezza dei propri limiti e la ricerca della fluidità e dell’efficacia della rotazione esterna delle anche rivestono un ruolo fondamentale in questo processo. È importante ricordare che i principi base dell’impostazione della tecnica della danza classica, quali il mantenimento del bacino in posizione neutra ed il controllo del “centro” del corpo rappresentano le condizioni necessarie affichè gli arti inferiori possano lavorare in allineamento: soltanto grazie a questi presupposti, infatti, gli acetaboli si orientano nella miglior posizione possibile per permettere il movimento di rotazione delle teste del femore al loro interno e, soprattutto, soltanto attivando la muscolatura profonda del tronco si crea quell’effetto di “alleggerimento” della parte superiore del corpo rispetto agli arti inferiori che “crea spazio” nelle anche, favorendone la mobilità. La posizione neutra del bacino, inoltre, permette una più facile attivazione dei muscoli rotatori profondi dell’anca, primi ed insostituibili motori del movimento di en dehors (vedi articolo precedente).
A conclusione di queste brevi riflessioni sull’overturn, mi sembra doveroso rimarcare che questa modalità errata di utilizzare gli arti inferiori dovrebbe essere costantemente evitata in tutte le classi di danza e che ai giovani studenti andrebbe insegnato, fin dai primi anni di studio, che lavorare “contro” il proprio corpo non solo può essere controproducente e dannoso ma diventa anche frustrante perché a fronte di molto sforzo, i miglioramenti reali conseguiti saranno comunque minimi e, a conti fatti, le patologie da sovraccarico rappresenteranno spesso l’unico risultato evidente di questo tipo di studio “forzato”.
Dott.ssa Luana Poggini