(Intervista del 2 febbraio 2011)
Incantata, sarei rimasta ore ferma immobile, in religioso silenzio, ad ascoltare le sue magnifiche storie, i ricordi di un danzatore che ha vissuto la danza classica di un tempo, quando ancora la televisione non c’era e si intraprendeva una carriera soltanto perché spinti dal desiderio di diffondere l’arte. Guido Lauri è una persona anziana ma non vecchia, sa di aver la storia della danza italiana ma quasi limita all’essenziale la descrizione dei suoi successi: proprio questo suo essere quasi schivo alla popolarità lo rende un ballerino, coreografo e insegnante di danza ancor più speciale e fuori dai canoni a cui la società odierna si sta, purtroppo, adagiando. La sua carriera è veramente speciale e lunga. Danza, infatti, dalla fine degli anni venti quando, alla tenera età di sei anni, entra alla scuola del Teatro dell’Opera di Roma: un periodo storico importante che lui, con i studi e le sue coreografie, ha saputo rendere ancor più speciale. Studia la tecnica con Nicola Guerra, Teresa Battaggi, con i maestri della Russia degli Zar e, subito dopo il diploma, ottiene la qualifica di primo ballerino étoile. Interprete versatile, porta le sue innate doti in numerosi teatri italiani (Teatro alla Scala di Milano, il Teatro Regio di Torino, il Teatro La Fenice di Venezia, il Teatro Comunale di Bologna, il Maggio Musicale fiorentino, il Teatro San Carlo di Napoli, il Teatro Massimo di Palermo) e trascorre anche del tempo all’estero (New York, Buenos Aires, Lisbona). Un talento di cui il nostro paese deve essere fiero e di cui non bisogna dimenticarsi: se l’Italia ha un bagaglio così ricco di storia e qualità, lo dobbiamo anche a danzatori come Guido Lauri.
Maestro Lauri: Lei è entrato piccolissimo alla Scuola di danza del Teatro dell’Opera di Roma…che ricordo serba di quel periodo?
Eh si, ero proprio piccolo! Avevo soltanto sei anni e, a dir la verità, degli inizi non ho un bellissimo ricordo: non ero molto entusiasta di allenarmi e di studiare danza classica. Con il tempo, però, le cose sono cambiate radicalmente: nonostante le classi fossero molto dure – dovevamo arrivare già riscaldati e alle 8 del mattino iniziavamo con le lezioni di tecnica!- mi sono sempre più appassionato…ed ho reso della danza il mio mestiere, la mia passione, la mia vita! È pur vero che correvano altri tempi: nessuno si improvvisava ballerino classico, i ballerini dovevano avere doti fisiche specifiche, si ballava perché si amava la danza, non perché si voleva apparire. Purtroppo questo spirito si sta lentamente perdendo.
Ha danzato in tantissimi teatri italiani, all’estero ma soprattutto ha avuto il privilegio di ballare ed avere come sfondo fantastiche scenografie dipinte da grandissimi artisti, quali De Chirico, Guttuso e Picasso. Che emozioni ha provato?
È stato un onore perché anche grazie ad artisti così la danza è stata esaltata al massimo: ballare e sapere di avere alle spalle dipinti meravigliosi e di estimabile valore mi rendeva ancor più felice di svolgere il mio lavoro. Al contempo mi stimolava a trasmettere più emozioni, a dare sempre di più, proprio per poter valorizzare due arti così belle come la danza e la pittura. Sono sempre grato per tutte le possibilità che mi sono state offerte ma che, di concerto, sono riuscito a coltivare. Nonostante il periodo storico difficile, ho potuto sempre lavorare , portare la mia “vita” in tantissimi teatri e condividere i miei stati d’animo con tantissime persone.
Lei è padre di Tiziana Lauri, solista all’Opera di Roma: che cosa ha cercato di trasmetterle e che consigli le ha dato, prima che si avventurasse in un mondo così difficile ma altrettanto bellissimo?
Non ho mai detto parole particolari, ho sempre cercato di farle capire che la danza è una missione, una preghiera…dobbiamo sentirci sacerdoti di questa bellissima passione! Se si vuole danzare bene, bisogna essere pronti ed affrontare momenti belli e brutti, difficoltà, rinunce e qualche problema. A dir la verità, però, è un percorso di vita talmente bello che quasi ti spinge ad affrontare al meglio tutti i problemi senza sentirne il peso.
Lei, da danzatore, sa cosa vuole il pubblico quando va a teatro. Lei, invece, quando va a vedere uno spettacolo, a cosa vuole assistere quando si apre il sipario?
Voglio sentire qualcosa, voglio sentirmi tremare le gambe, avere un colpo al cuore, commuovermi! Ecco cosa mi piace ricevere da un corpo di ballo quando vado a teatro. Non vedo moltissimi comunicatori in giro, mio malgrado. Ora mancano le vere e proprie “stelle”, i danzatori che ti fanno battere al cuore all’impazzata quando arrivano sul palco o quando, magari, fanno anche uno dei passi più semplici! Nureyev non comunicava solo con il corpo e con i salti: offriva molto di più al suo pubblico proprio con l’espressione.
Cosa pensa del panorama della danza italiana?
Vedo tante compagnie composte da ballerini bravissimi, diplomati con ottimi voti ma senza quel qualcosa che li distingue! Come ho detto prima, non ci sono più i ballerini che, nel passato, potevano svolgere il ruolo di étoileproprio perché erano delle stelle. Ora i danzatori sono preparatissimi, ma peccano proprio in questo: non si distinguono tra gli altri.
Che qualità deve avere un ballerino per svolgere la professione al meglio, secondo Lei?
In primis, deve avere il fisco adatto: se non ci sono le qualità fisiche non si può fare nulla! Oltre alle doti “donate”, si deve studiare molto, applicarsi, non arrendersi mai ma soprattutto metterci il cuore, la mente e i sentimenti. Senza la passione non si va oltre, non ci si distingue!
È felice della Sua carriera?
Sono molto soddisfatto: ringrazio ogni giorno chi mi ha dato la possibilità di portare avanti la mia passione. La danza per me non è mai stato un lavoro: è stata e sempre sarà una missione, una preghiera, da serbare giorno dopo giorno e soprattutto da amare sempre come il primo giorno in cui l’ho incontrata e “assaporata”. La danza è tutto per me e mi auguro lo possa essere anche per le giovani generazioni di danzatori.
Valentina Clemente
Foto di Luxardo