Mariafrancesca Garritano, conosciuta nel mondo virtuale come Mary Garret, è una ballerina e una scrittrice. Inizia a studiare danza classica nella sua città natale, Cosenza, presso il C.I.D, prima di entrare a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano, dove riceve la nomina di Ballerina Solista. Il debutto da scrittrice arriva con la pubblicazione del suo primo libro “La verità, vi prego, sulla danza!”, con il quale inizia il suo percorso di denuncia dell’anoressia nella danza; si fa ascoltare, tutti ne parlano, soprattutto i media e, nasce il “Caso Garritano”, recentemente approdato in Parlamento Europeo. Mary Garret è una ballerina e una scrittrice, un’accoppiata vincente per vivere le emozioni della danza sulla pelle e poi comunicarle con la penna e questo Mariafrancesca lo fa con coraggio e determinazione.
Mary Garret inizi a studiare danza classica presso il C.I.D di Cosenza, prima di frequentare il 7mo corso della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala e di entrare a far parte del Corpo di Ballo nel 1998. Quale delle due esperienze ricordi con più affetto e quale è stata più decisiva per la tua formazione e carriera da ballerina?
Con più affetto, si legge anche nel libro quando racconto i miei ricordi, senz’ altro l’esperienza fatta nella mia città natale, dove ho trascorso tanti anni tra persone che, ancora oggi, fanno parte della mia vita. In quella stessa scuola poi, ho avuto modo di fare esperienze importanti, come prepararmi per il concorso di Varna a soli 14 anni, cosa che mi ha permesso di confrontarmi subito con il repertorio classico e l’ambiente competitivo dei concorsi internazionali. Nella Scuola della Scala ho frequentato per soli 2 anni, e sicuramente calcare il palcoscenico più importante d’Italia ha rappresentato un bel traguardo ed un nuovo punto di partenza, però proprio a quegli anni sono legati i ricordi di momenti in cui ho minato molto il mio stato di salute che, se avessi potuto tutelare con maggiore consapevolezza, non mi avrebbe creato i problemi fisici di cui ho sofferto successivamente. Di fatto io sono quello che sono per tutte le cose del mio passato e del mio presente ed è un bene averle vissute così come le ho vissute in entrambi quei luoghi.
Nel 2010 arriva il tuo debutto da scrittrice con il tuo primo libro “La verità, vi prego, sulla danza!”, punto di partenza del tuo percorso di denuncia della presenza dell’anoressia nella danza, che ha avuto molta risonanza mediatica tanto da essere stato definito “Caso Garritano”. Perché e quando nasce in Mariafrancesca il bisogno di raccontare e denunciare una problematica così importante? Ci racconti qualche esperienza diretta?
Il Libro è nato per gioco: ironizzavo spesso sulla presenza di libri che parlano sempre della “Vita Perfetta del Danzatore”, quando tutti sappiamo che è una vita imperfetta simile a quella di chiunque altro. Non ho fatto altro che umanizzare i danzatori e la danza, che nasce con l’uomo, e nel farlo ho scelto di raccontare il mio punto di vista che, a quanto pare, è condiviso da molti, silenziosi o meno, ma sicuramente più di quelli che io stessa immaginavo! La cosa interessante dell’aver denunciato la presenza dei disturbi alimentari nella danza, anche in Italia, sono state le reazioni che ne sono scaturite, perché in effetti non ho detto nulla di nuovo e scandaloso. Si parla di questi temi nell’ ambiente, da molto tempo ormai: negli anni 80 uscì in Italia “Competere con la Silfide”, testo senz’altro noto per te, un po’ meno per i ballerini di oggi, me compresa, e dopo averlo letto ho capito perchè non è un testo consigliato nelle accedemie o scuole di danza! Poi nel 2000 in Inghilterra è stato affrontato l’argomento, dopo anni di studi nelle scuole di danza e dopo un vero e proprio scandalo, pare, sulla presenza dei DCA dovuti ai metodi di insegnamento, tanto che la Royal Ballet Academy sembra avere una polizza di assicurazione per gli ED. Certo una polizza assicurativa non risolve il problema, visto che ad essere stati presi in esame erano i metodi di insegnamento, ma hanno dato un segnale, e stiamo parlando di molti anni fa. Di tutta risposta in Italia, nel 2012, si nega. E’ evidente che la salute dei danzatori non è presa a cuore e da molte persone direi!
L’anoressia è diffusa nel mondo tersicoreo: questo è un dato di fatto. É stato constatato, infatti, che le ballerine rischiano l’anoressia dalle 3 alle 6 volte di più rispetto a tutte le altre adolescenti. Mary Garret, la danza è quindi colpevole di anoressia?
La danza non è colpevole di anoressia, ma l’ambiente della danza, fatto di esseri umani, è un ambiente che può indurre a questi problemi: la non conoscenza di alcune dinamiche, parole sbagliate, gesti sbagliati, metodi sbagliati, possono segnare profondamente alcuni soggetti che si dedicano a questa meravigliosa arte. Se poi si vuole fare finta di non capire allora è un altro discorso!
Quali rimedi, a tuo avviso, la danza dovrebbe adottare per limitare e prevenire questa patologia così allarmante?
Penso che aiuterebbe avere specialisti come psicologi, nutrizionisti, osteopati, oltre agli ortopedici ed i fisioterapisti che sono le sole figure a cui la maggior parte delle scuole, accademie e compagnie fa riferimento per un controllo non sempre costante. Solo queste figure competenti nei diversi settori possono monitorare il percorso di formazione dei danzatori e riconoscere i segnali di qualcosa che non funziona. Non basta un controllo annuale, qualora ci fosse, e dubito fortemente che staff di questo tipo siano presenze costanti nei luoghi dove l’arte della danza è praticata a livello professionale. I disturbi alimentari sono un argomento complesso e sono ancora poche le cose che si conoscono. L’interazione di queste figure potrebbe dare un notevole contributo anche a capire come i metodi di insegnamento possono e devono cambiare in alcuni contesti. Gli specialisti monitorerebbero i danzatori e coloro che interagiscono con i danzatori.
Nel 2011 arriva dal Teatro alla Scala di Milano la nomina di Ballerina Solista, poi, nel 2012, vieni licenziata dallo stesso Teatro alla Scala per la tua opera di denuncia dell’estesa presenza dell’anoressia nella danza. Negli occhi di Mariafrancesca leggiamo delusione, rabbia, rancore… ?
Le risposte a questa domanda sono molteplici e complesse… È probabile che un giorno tu dovrai recensire un libro in cui troverai da sola il termine che meglio descrive le mie sensazioni…
Il Parlamento Europeo ha ritenuto opportuno occuparsi del “Caso Garritano”. Ce ne parli?
La solidarietà ricevuta e la sensibilità di alcune istituzioni si è fatta sentire, prima a Roma, con un’ interrogazione al nostro parlamento, ed ora anche a livello europeo. Come dicevo, il problema all’estero è molto sentito ed è stato già affrontato in passato: solo in Italia sono 3 milioni le persone che soffrono di DCA e tra queste anche danzatori. Un anno fa è stato presentato un disegno di legge per istituire la Giornata Nazionale contro i disturbi alimentari ed è stata un’iniziativa dell’associazione “Mi nutro di Vita” (che mi ha nominata Socio Onorario a Dicembre), e che in America già esiste, e questo per dare dignità ad un fenomeno che dilaga e che non è ancora considerato tra le malattie che meritano di essere curate in tutte le sue forme. Il presidente di questa Associazione ha perso la figlia mentre era in lista d’attesa per entrare in uno dei pochissimi centri che cura queste patologie. A volte il tempismo nella diagnosi è fondamentale e fare informazione serve a migliorare anche questo.
La tua opera di denuncia ha raggiunto obiettivi importanti. Quali speri ancora di raggiungere in futuro?
È stato tutto inaspettato, ma se il rumore che si è creato può servire ad aiutare anche una sola persona, danzatrice o meno, a non cadere nella trappola dei disturbi alimentari, sarà stata la vittoria più grande e non credo si possa sperare di più.
Nel mondo della danza, mentre alcuni esponenti sono favorevoli, altri sono contrari al “Caso Garritano”. Secondo te, perché?
Il fatto che molti siano rimasti silenziosi, non significa che facciano parte di quelli contro, mentre coloro che si dichiarano apertamente contro, dimenticano che non aver incontrato il problema, come spesso hanno asserito, non significa che il problema non esista. Nella negazione totale si nascondono forse altri scopi o, peggio ancora, la non conoscenza dei fatti e questo non aiuta l’informazione che deve essere fatta per migliorare la situazione, laddove ce ne fosse bisogno. Del resto il disagio legato alle patologie da me menzionate, si alimenta del silenzio e della vergogna, e tutto questo negare banalizzando le mie dichiarazioni con frasi non adeguatamente argomentate, indica che la strada da fare è lunga e faticosa. All’estero ho avuto solo sostegno e consensi dal mondo della danza, la cosa dovrebbe far riflettere.
Leonilde Zuccari