Quella del 3 novembre alla Scala è stata la serata dell’atteso debutto di Massimo Murru nel ruolo di Onegin, dopo la prestazione assolutamente folgorante di Roberto Bolle. È da dire che per questo Onegin i cast sono stati davvero ottimi e i debutti eccellenti: non capita tutti i giorni l’occasione di poter mettere a confronto due danzatori come Bolle e Murru in un ruolo così impegnativo. Le diversità delle due étoiles maschili del Piermarini sono note, ed è noto anche che entrambi sono ottimi interpreti. Particolarmente interessante era quindi l’occasione di confrontare gli approcci dei due al ruolo di Onegin. Il fisico da danseur noble e l’allure che gli è propria, lungi dal penalizzare Roberto Bolle in questo ruolo, ne hanno invece costituito i punti di forza, che hanno reso ancor più credibile il suo personaggio: un Onegin irresistibilmente virile, pieno di fascino e di sensualità ma egoista, immaturo e superficiale, perfetta incarnazione dello sciupafemmine bello e impossibile, che causa tragedie con la sua leggerezza, salvo poi pentirsi in extremis e implorare un amore che non gli verrà più concesso.
Massimo Murru ha di contro incarnato un Onegin introspettivo, intimamente tormentato, concentrato su se stesso, il cui egoismo non è semplice superficialità ma figlio di uno spleen vicino alla depressione. Interpretazione tutta interiore la sua, giocata sulle sfumature psicologiche, sul carattere evocativo dei gesti, degli sguardi, delle posizioni. Forse meno convincente, il suo Onegin, quando alla festa di compleanno di Tatiana flirta ostentatamente con Olga fino a provocare il duello e la tragedia, dato che il suo personaggio non sembra possedere quella noia suprema e quel senso di superiorità che gli permettono di giocare con i sentimenti e con le persone come con le carte del suo solitario; ma tanto più spessore ha invece il suo Evgenij nel terzo atto, quando, disilluso e ancor più disperato della vita, tenta angosciosamente di inseguire quel sogno d’amore della giovinezza ormai perduto per sempre.
Eris Nezha, al quale forse manca ancora solo un pizzico di maturità e spessore interpretativo, ha comunque ben figurato nel ruolo di Lenskij, affiancato da una brava e fresca Deborah Gismondi in Olga. Una menzione meritano anche Sabina Galasso e Adeline Souletie, nelle vesti rispettivamente della vedova Larina e della nutrice, due ruoli minori che hanno cesellato con maestria e mimica mai banale.
E che dire, infine, della meravigliosa Tatiana di Emanuela Montanari? La ballerina scaligera ha dato credibilità al suo personaggio fin dal primo apparire in scena. Memorabile la sua scena del sogno, quando danza con Evgenij uscito dallo specchio un intenso pas de deux con tutta l’autentica, risoluta passione che può appartenere solo al primo amore della giovinezza. Ma altrettanto indimenticabili sono stati tutti i momenti della sua interpretazione: dalla disperazione di fronte al rifiuto di Onegin, al turbamento dell’incontro con l’amato dopo dieci anni, infine alla lotta interiore e al turbine di emozioni del finale del terzo atto; tutto nella sua Tatiana è stato intensamente e credibilmente “presentato” al pubblico, rendendola pienamente degna di figurare accanto alle “grandi Tatiane” come Fracci, Ferri o Haydée.
Alessia Guadalupi