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Mirco Visconti: “La danza è una continua ricerca personale e interiore”

Un forte senso di quiete e un irrefrenabile desiderio di introspezione e dialogo con noi stessi: sono queste le due sensazioni che mi sono rimaste nel cuore dopo aver incontrato Mirco Visconti, danzatore e giovane coreografo, costantemente alla ricerca.

Mirco è cresciuto studiando danza classica, ha poi proseguito con la contemporanea, si è dedicato agli studi dell’improvvisazione e alla disciplina della contact-improvisation, senza dimenticare l’arte teatrale: in questo lungo percorso, che ancora si sta tracciando e ben definendo, non ha mai smesso di farsi guidare dalla sua anima e dal suo desiderio di ricerca.

Molte volte, infatti, ci dimentichiamo di noi stessi e non ci guardiamo dentro: grazie alla danza, questo giovane coreografo continua a trasmettere un desiderio incommensurabile di introspezione e una forte necessità di riportare su tutti i palchi la semplicità e l’amore per la danza, che non deve necessariamente rispondere a canoni ben definiti. Alla fine, infatti, è bene che noi tutti ricordiamo una cosa fondamentale: le cose belle sono proprio le più semplici. E questo si può scoprire anche e soprattutto grazie ad una disciplina così bella, forse contorta ma nel contempo semplice com’è la danza, in tutte le sue forme ed espressioni.

La tua metamorfosi di danzatore: inizi con la danza classica, continui con la contemporanea, studi all’atelier Rudra Béjart , scopri e paradossalmente ti innamori delle tecniche di contact-improvisation. A cosa devi questi continui cambiamenti?

Ho iniziato da piccolo gli studi della danza classica ma già dentro di me sentivo di voler fare altro, di esplorare me stesso e di confrontarmi con altre discipline. Mi sono costantemente messo in discussione e ho sempre cercato di ascoltarmi, di ascoltare la mia anima: non ho mai voluto chiudermi in schemi ben definiti e precisi, non sarei mai stato me stesso. Ho guardato dentro di me, ho prestato attenzione alla mia interiorità, a tutti i miei canali espressivi e ho sempre cercato di andare oltre, di volere per me e per chi danzava accanto a me qualcosa di diverso, ma sentito e profondo. Ho sempre messo al primo posto l’introspezione e la ricerca: senza queste componenti non mi sarei mai accorto del meraviglioso mondo di danze e culture che ci circonda.

Credi, quindi, che il mondo interiore racchiuso in ciascuno di noi sia stato dimenticato con troppa facilità?

Sì, troppo velocemente. Molto spesso non ci si ferma a pensare, a riflettere e soprattutto a capire cosa vogliamo veramente da noi stessi e dalla nostra vita. Non riusciamo ad accorgerci di tutto quello che è a nostra disposizione e soprattutto vogliamo sempre le cose più difficili, quelle che ai nostri occhi sembrano essere pressoché irraggiungibili. Io, nel mio piccolo, nel mio approccio alla danza non dimentico mai di guardare dentro di me, di ascoltare la mia anima e di osservare il mio corpo. È fondamentale cercare ciò che, apparentemente, è invisibile ai nostri occhi: non dobbiamo mai smettere di ricercare le cose più semplici, i passi meno complicati e soprattutto quello che ci fa stare bene.

Parallelamente alla carriera di danzatore porti avanti un percorso da coreografo e da insegnante. Credi sia difficile trasmettere a chi danza il valore e l’importanza della ricerca?

La danza è una disciplina e una passione bellissima proprio perché si può trasmettere agli altri: è un processo di fondamentale importanza poter dare a chi studia con te l’opportunità di condividere mondi e sensazioni diversi. Purtroppo, però, non è sempre tutto così semplice: non mi stancherò mai di dire che ci si deve mettere in discussione quando si vuole trasmettere un messaggio, anche perché non sempre chi ti ascolta è pronto ad accoglierlo. È anche difficile scoprire la parte interiore di ciascuno di noi e ascoltare il nostro inconscio, senza però dimenticare che proprio quest’ultimo è legato al movimento stesso. Bisogna sempre trovare il giusto mezzo e mai dimenticare che siamo diversi e che ciascuno di noi ha il proprio canale di espressione. Io metto alla base delle mie lezioni proprio la necessità di guardarsi dentro e farsi guidare dalle proprie sensazioni: un po’ alla volta spero di trasmettere ciò che io amo di più, ovvero ricercare, ricercare, ricercare.

Riesci a conciliare questi ruoli, così diversi ma al contempo così simili?

Sì, anche se ammetto che poter essere coreografo mi permette di toccare l’inconscio delle persone che guardano una mia pièce. È bello sapere che chi ti guarda trova un po’ se stesso in ciò che si rappresenta e che, magari, ti porta a fare delle riflessioni.

Hai studiato a Losanna, all’atelier Rudra Béjart. Come ti sei trovato ma soprattutto che cosa ti ha lasciato un’esperienza così importante?

L’esperienza di Losanna mi ha dato l’opportunità di studiare tecniche di danza diversa: non ho approfondito lo studio della disciplina contemporanea soltanto, bensì di numerose altre forme d’arti. Ho conosciuto il teatro, che dal quel momento non ho più lasciato, ho studiato danze indiane e tantissime altre forme espressive, che non hanno fatto altro che incrementare il mio desiderio di andare oltre e di non fermarmi alla mera ripetizione di vecchi canoni della danza.

Grazie alla danza, ai movimenti riesci sempre a lasciare un messaggio. Qual è il filo rosso che vuoi trasmettere alle persone che ti vedono danzare ma soprattutto che vedono un tuo pezzo?

Molto spesso dimentichiamo che le cose semplici sono le più belle. Negli ultimi anni ci siamo dimenticati del nostro mondo, della parte interiore che lasciamo inespressa: vorrei che venisse riscoperto il desiderio di semplicità proprio grazie a ciò che interpreto e voglio esprimere.

Un messaggio che vuoi dare a chi, come te, danza ma vuole esprimersi sempre al meglio?

Mai dimenticare di esprimere ciò che siamo.

Valentina Clemente

Foto di Darragh Hehir

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