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Moses Pendleton: “Sono un esploratore”

Moses-Pendleton@Dirk Vogel

Moses Pendleton, danzatore e coreografo, genio poliedrico, è il fondatore e il direttore artistico dei Momix, storica compagnia statunitense che il prossimo giugno celebrerà il trentacinquesimo anniversario dalla sua istituzione. Artista dalla personalità multiforme, in grado di spaziare nel regno dell’immaginazione, arricchendolo di suggestioni simboliche e visive, ha creato un modo totalmente nuovo di concepire la dimensione scenica. Esploratore del concetto di illusione, ha coreografato spettacoli di grande impatto visivo, in grado di incantare le platee di tutto il mondo. In questa intervista si racconta in esclusiva al giornaledelladanza.com

Attualmente in tour con “Alchemy”, alchimia dell’arte o alchimia della vita?

Non si tratta di una cosa o dell’altra. L’alchimia è già un’arte, dunque questo è il caso di un’arte che imita l’arte. Ma l’alchimia fallisce come arte, a meno che l’alchimista non creda nell’arte e sia completamente trasformato da essa nella sua vita.

Corpi che si trasformano, che diventano fuoco, luce, che si tramutano di volta in volta in elementi diversi, il messaggio è infrangere gli stereotipi e in fondo i limiti del comune percepire la realtà?

Non cerco di formulare un messaggio, ma se posso aiutare ad aprire le porte della percezione, ben venga. I danzatori sono i trasformati e i trasformatori.

L’importanza dell’illusione per Moses Pendleton?

Non potrei farne a meno. Chi potrebbe? È immaginazione. Mi piace rappresentare l’azione dell’illusione in scena. Non è realmente una porta, ma la si può attraversare.

Attraverso la fantasia artistica crede sia possibile riscrivere la realtà?

È l’unico modo. La realtà non è forse il modo in cui la si vede?

La dimensione multimediale ha sempre avuto un aspetto preponderante nei Suoi spettacoli, in un’epoca in cui si è sempre più “tecnologicamente avanzati”, potrebbe definire questo il nuovo modo di considerare l’arte del movimento dal Suo punto di vista?

Credo moltissimo nel teatro dal vivo, innanzitutto. Il corpo umano è il mezzo principale dei Momix. Il teatro ha sempre avuto un aspetto tecnico, basti pensare al deus ex machina, al teatro greco della maschera e soprattutto alla luce. I nostri mezzi sono davvero molto semplici: degli oggetti di scena, delle stoffe, delle proiezioni e l’uso sottile delle luci.

Scorporare l’essenza dai confini del possibile, questa è l’impressione che si riceve guardando il Suo lavoro, si rispecchia in questa idea?

Sono felice che ne riceva questa impressione. Io credo di essere un trascendentalista.

 Cos’è il buio e cos’è la luce nella Sua Arte?

Senza essere troppo manichei, esiste una lotta tra le forze opposte. Il buio è la gravità, la luce è la luce di Calvino.

 Lei crede che esista la perfezione o che sia solo un concetto astratto?

Un paradosso: un fiore può essere perfetto oggi e cambiare domani ed essere ancora perfetto. Può appassire perfettamente, morire perfettamente. Questo è il motivo per cui continuo a conservare immagini a lungo quando un fiore sboccia: la perfezione è un processo, non uno stato.

 Cosa ricerca nel Suo percorso artistico?

Io passeggio per i sentieri vicino casa mia, letteralmente, e cerco qualsiasi cosa che catturi il mio sguardo, forme naturali, azioni di elementi da fotografare. Sono un esploratore. Il mezzo artistico può essere un’immagine, una danza o la stessa vita.

 Un Suo messaggio conclusivo…

Spero che Alchemy sia un’esperienza trasformativa per il pubblico. L’oro ha il valore che uno sa darvi; noi possiamo contribuire.

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Foto ©Dirk Vogel

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