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Patrice Bart: “È fondamentale reinterpretare i grandi classici della danza, unendo la tradizione alla contemporaneità”

Patrice Bart - copyright Colette Masson

Danzatore e coreografo francese, il Maestro Patrice Bart rappresenta al meglio una parte della storia dell’Opéra di Parigi e della danza internazionale. Medaglia d’oro, nel 1969, al primo festival internazionale di danza di Mosca, nel 1972 è stato nominato étoile del balletto dell’Opéra. Ha sostenuto numerosi ruoli del repertorio classico e moderno. Ritiratosi dalle scene nel 1989, si è dedicato al suo ruolo di Maître de ballet proprio all’Opéra, impegnandosi in particolare a rimontare i capolavori del passato. Il Giornale della Danza l’ha incontrato al termine della prima del “suo” Lago dei Cigni, lo scorso 3 luglio. La pièce del Maestro calcherà il magnifico palco di Caracalla per altre quattro date: 7, 9, 11 e 15 luglio.  

 

Ha fatto un lavoro magnifico: il Lago dei Cigni firmato Patrice Bart è veramente meraviglioso.

Lo so, lo ammetto! È una produzione che amo moltissimo: l’ho portata a Berlino tanti anni fa e da allora viaggio tantissimo con questo balletto, lo porto ovunque. Sono entusiasta di averlo messo in scena anche qui, a Caracalla, con questo scenario fantastico. È sempre un’emozione tornare qui. Due anni fa ho portato Giselle, quest’anno i danzatori del Teatro dell’Opera ballano il mio Lago, la mia interpretazione di uno dei balletti storici del repertorio classico.

 

Parliamo proprio di questo: Lei reinterpreta, dà un punto di vista del Lago dei cigni molto diverso rispetto a quello a cui siamo abituati…elementi enfatizzati, ruoli che assumono importanza. Insomma: un punto di vista nuovo, sicuramente innovativo all’interno della tradizione in puro stile Ciajkovskij…

Credo sia fondamentale, per conservare il classico, donare, far emergere un nuovo spirito e ricordare a tutti l’epoca in cui viviamo. Nei balletti che interpreto, cerco sempre di far emergere lati drammatici, psicologici che nella storia a cui siamo abituati non sono presenti. Nello specifico, in questo Lago cerco di dare importanza al ruolo della Regina che, come ben sappiamo, è generalmente un’interpretazione marginale, sulla quale nessuno pone molta attenzione. Ho voluto sottolineare l’aspetto psicologico, il rapporto ambiguo tra la regina e il principe.

 

È stata una bella esperienza lavorare con i danzatori del Teatro dell’Opera?

Assolutamente sì: producono uno spettacolo, danzano bene..credo sia questo l’aspetto importante. E mi auguro che il pubblico ne sia soddisfatto.

 

Se dovesse usare un aggettivo per definire il “suo” Lago, quale userebbe?

Credo di poterlo definire psicologico: c’è questo rapporto quasi “edipico” tra la regina e il principe che si nota spesso e a cui non si può far a meno di prestare attenzione. È un Lago visuale e intellettuale.

 

Tutti conoscono la storia classica del Lago dei cigni. Lei, come abbiamo già detto, ha dato un “vestito” differente. È stato difficile raccontare questa storia ai danzatori e trasmettere loro i pensieri da portare, poi, sul palco?

È difficile, certamente, trasmettere ciò che devono esprimere davanti al pubblico. È pur vero che io non ho nemmeno toccato il secondo atto che, a onor del vero, è intatto. Nessuna modifica o interpretazione: quella parte è perfetta, così com’è. Tutto il resto è frutto del mio immaginario, la mia coreografia. Prima di creare, ovviamente, ho parlato con i ballerini, dicendo loro le mie idee e soprattutto le varie interpretazioni. Ho deciso di creare una mia coreografia, di scegliere costumi diversi e di rendere quasi “mio” uno dei più classici balletti della storia perché, nonostante io mi sia ritirato dalle scene come danzatore, sono pur sempre cresciuto nel diciannovesimo secolo e ho subito, assaporato le differenze di coreografi moderni e contemporanei. Fermo restando che il secondo atto, però, non si deve nemmeno sfiorare.

 

È stata quasi una sfida, immagino, per Lei: unire le influenze moderne al classicismo di Petipa.

Esatto! Alla fine le mie creazioni rappresentano il percorso svolto, prima come ballerino, poi come Maître de ballet all’Opéra…tutte esperienze artistiche personali che mi hanno fatto crescere moltissimo. Credo sia pressoché fondamentale reinterpretare i grandi classici della danza, unendo la tradizione alla contemporaneità: è così che si creano nuovi interessi anche e soprattutto nei confronti del repertorio.

 

Valentina Clemente

www.giornaledelladanza.com

Foto di Francesco Squeglia e Colette Masson

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