“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di raccogliere una serie di interviste e di articoli mirati a dar voce e spazio a tutte le fasce creative del mondo coreutico che costituiscono giovani realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi, o realtà già consolidate, di spiccato talento, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive.
Alessio Scognamiglio, danzatore di origini partenopee, dopo varie esperienze all’estero, dal 2013 è entrato a far parte del West Australian Ballet. In questa intervista racconta la sua esperienza e le tappe della sua crescita artistica.
A che età è iniziata la tua passione per la danza?
La mia passione per la danza è nata quando avevo nove anni. Ho iniziato con i balli latino-americani all’età di sei anni e dopo tre anni la mia maestra mi consigliò di iscrivermi a una scuola di danza classica. Un giorno, andando al cinema con un amico, notai una scuola di danza classica e contemporanea e ne parlai a mia madre. Lei mi spronò ad andare a parlare con la direttrice per poi iscrivermi, ma io le dissi timidamente che non volevo andarci perché c’erano troppe bambine e sarei stato l’unico maschio. Mia madre decise di portarmici comunque e così feci una lezione di prova. Rosalba Cesare, che è stata poi la mia insegnante per i successivi sei anni circa, mi mise alla sbarra e ricordo che disse che avevo dei bei piedi, ma ovviamente a quell’epoca io non capivo a cosa alludesse.
Hai iniziato i tuoi studi in Italia, facendo parte del Progetto Formazione Tersicore diretto da Mauro De Candia, poi hai studiato presso l’Académie de Danse Princesse Grace de Monaco, chi sono stati i tuoi maestri?
Come ho già detto, la mia prima maestra è stata Rosalba Cesare, che ha davvero saputo insegnarmi tutto della danza e anche parecchie lezioni di vita. Poi, durante il Progetto Formazione Tersicore diretto da Mauro de Candia, ho avuto la possibilità di lavorare con moltissimi docenti internazionali di varie accademie in Europa. A Monte Carlo invece ho potuto studiare con diversi insegnanti fissi e a volte con ospiti. I miei primi insegnanti sono stati: Thierry Sette, che ha ballato a Stoccarda; Roland Vogel, primo ballerino a Stoccarda; Carol Pastorel, che ha ballato per parecchi anni all’Opéra de Paris e anche, ai Ballets de Monte-Carlo, Gioia Masala, sorella dell’attuale direttore dell’Accademia Luca Masala, e tanti altri. Negli ultimi due anni in Accademia ho studiato con Michel Rahn. Lo stile delle lezioni era misto, una parte Balanchine e una parte Vaganova, venendo lui stesso da una formazione mista.
Le tue prime esperienze lavorative?
Le prime esperienze lavorative le ho avute nella compagnia creata da Mauro de Candia, il Giovane Balletto Mediterraneo, in cui ho potuto interpretare anche la morte del cigno, coreografia di Mauro de Candia ballata in tutto il mondo da Vladimir Malakhov. Quando ero a Monte Carlo, ho potuto lavorare con Jean-Christophe Maillot, direttore dei Ballets de Monte-Carlo, nel ruolo di Carabosse nella sua versione molto particolare de La bella addormentata.
I coreografi che ami di più?
I coreografi che amo di più sono senz’altro Jean-Christophe Maillot, che nelle sue coreografie aggiunge sempre qualcosa di astratto e misterioso che porta, secondo me, a entrare più profondamente nel balletto, poi William Forsythe, di cui sto ballando proprio in questo periodo Steptext. Credo proprio che abbia rivoluzionato il modo di danzare soprattutto per l’uomo, proponendo anche vari assoli nelle coreografie e non solo passi a due. Di Pina Bausch mi piace moltissimo Le laveur de vitres: tre ore di teatro-danza con un significato profondo. Tra i coreografi di quest’epoca invece apprezzo molto Bigonzetti. La sua coreografia Cantata su musiche folkloristiche napoletane e pugliesi mi fa ricordare le mie radici e vederla mi emoziona ogni volta. Il passo a due Serenata, danzato anche da Natalia Osipova e Ivan Vasiliev, è una continua lotta piena di emozioni forti.
Il genere in cui ti riconosci di più?
Da quello che mi dicono, sono un ballerino molto versatile, ma sono due i generi in cui mi riconosco di più: neo-classico e contemporaneo. Neo-classico perché è un classico più libero e con molta più espressione e la cosa più bella è che può essere astratto. Il contemporaneo perché ogni movimento non è mai lo stesso, c’è una ricerca costante che aiuta anche a scoprire il proprio corpo.
Nel 2013 hai iniziato la tua carriera al West Australian Ballet, che ruoli hai ricoperto finora in questa compagnia?
Al West Australian Ballet sono entrato quando avevo diciotto anni. Ho subito sentito che era una compagnia adatta a me, soprattutto come inizio. La prima settimana in compagnia avevamo un’audizione per due balletti di Itzik Galili e subito mi scelsero per fare The Sofa. Alla fine del 2013 ho danzato in Peter Pan. Nel 2014 ho avuto molte soddisfazioni perché ho potuto danzare una versione un po’ più ballata del solito di Wilfred in Giselle al fianco di primi ballerini. Ne La fille mal gardée di Marc Ribaud mi hanno dato il ruolo di uno dei quattro amici di Colas ed è un ruolo faticoso perché è sempre in movimento, ma davvero divertente. Nella stessa produzione mi hanno dato anche la possibilità di danzare Alain, il promesso sposo di Lisa. Come ultima produzione del 2014 abbiamo messo in scena Biancaneve e i sette nani di Gyula Harangozò in cui ho ballato il principe azzurro. Il 2015 già ha portato buone cose e infatti sono uno dei tre ragazzi che balla in Steptext di William Forsythe.
Potresti descrivere il mondo della danza in Australia?
Il mondo della danza in Australia è molto diverso da quello in Europa. La danza è vista in modo differente. C’è una grande compagnia a Melbourne, l’Australian Ballet, e lì le cose sono un po’ più come in Europa, si dà più spazio alla danza qui invece un po’ di meno, anche perché è molto isolato dalle altre città. Ciononostante, ci sono molti appassionati che vengo a vederci sempre e il pubblico è molto caloroso.
Dopo due anni di carriera all’estero ti manca l’Italia?
L’Italia – e soprattutto Napoli – mi manca moltissimo. Non c’è giorno che non mi venga in mente e che non pensi che, se tutto funzionasse lì, tornerei in un batter d’occhio. Adoro la mia città, adoro la gente, adoro gli amici che ho. Anche se è molto difficile, cerco sempre di mantenere i contatti con loro. Mi piacerebbe un giorno tornarci per restarci e non solo per fare visita ai miei familiari. Ci torno ogni sei mesi circa e ogni volta che posso, perché, per quanto strano possa sembrare, mi manca proprio respirare la mia città e sentire il calore di Napoli.
Quale credi sia l’aspetto più importante per un giovane danzatore che intraprende la carriera coreutica?
L’aspetto più importante è sicuramente l’impegno, il “commitment” si dice qui, ovvero investire tutto il proprio tempo e rinunciare a molte cose, tra cui la famiglia, la città natale e gli amici, per far pian piano fruttare quello ciò che si è seminato. Alcune persone posso arrivare abbastanza in alto anche solo con le proprie doti, ma conosco persone che hanno dovuto smettere proprio perché l’impegno non c’era. Un altro aspetto molto importante è sicuramente l’umiltà. Conoscere i propri limiti, non vantarsi dei propri pregi, anzi riconoscerli e usarli a proprio favore, non per mostrarli presuntuosamente ma, piuttosto, per regalare al pubblico delle emozioni attraverso i movimenti.
Progetti futuri?
Tra i progetti futuri c’è senz’altro quello di tornare in Europa. Mi piacerebbe riprovare a fare un’audizione ai Ballets de Monte-Carlo e poi, se in Italia intanto la situazione dovesse migliorare, mi piacerebbe provare al San Carlo, ma per ora ho ancora la mente piena di idee confuse.
Lorena Coppola
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Foto © Massimiliano Pappa