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PROSPETTIVE01 – Andrea Gallo Rosso: “Mi avvicino al pubblico con rispetto”

Andrea Gallo Rosso - ph. Angelo Bellotti

“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di raccogliere una serie di interviste e di articoli mirati a dar voce e spazio a tutte le fasce creative del mondo coreutico che costituiscono giovani realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi, o realtà già consolidate, di spiccato talento, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive.

Andrea Gallo Rosso si forma in ambito internazionale con maestri del calibro di: David Zambrano, Pedro Berdayes, Jose’ Reches, Emio Greco, Ismael Yvo, per citarne solo alcuni, partendo da una base creatasi principalmente in Italia (grazie a C. Golin, MC. Fontanelle, F. Pagliassotto), inizia poi una propria ricerca autoriale. Ha una formazione in teatro (improvvisazione teatrale e teatro fisico) e in musica (violino). Con i suoi lavori prende parte ad importanti festival e rassegne in Italia e all’estero. Nel 2014 è stato finalista al Premio Equilibrio Roma con il lavoro I meet you… if you want. In questa intervista si racconta al giornaledelladanza.com

Quando e come è iniziato il tuo percorso di danza?

Ho iniziato il miei studi di danza tardi, avevo 20 anni. In realtà il desiderio di danzare c’è sempre stato, sin da quando ero bimbo, ma per motivazioni varie non ci sono mai arrivato concretamente fino all’epoca dell’università, studiavo fisica, un incidente di percorso penso… Oggi posso dire che è stata una mia scelta determinata e consapevole e di questo ringrazio. Sono arrivato al corpo gradualmente, prima violino, poi teatro… alla fine è arrivata la danza e nel giro di 6 mesi studiavo 5 ore al giorno.

Le tappe salienti di questo cammino artistico?

Direi che tutti gli incontri sono stati importanti, dal primo all’ultimo. Come spesso accade quando si inizia da “più adulti”, non ho avuto la possibilità di seguire un corso accademico con un indirizzo preciso dato da un direttore o una direttrice artistica.  Ho creato autonomamente il mio percorso, studiando in sala, sui libri e guardando più spettacoli che potevo. Un po’ alla volta ho capito quale fosse il mio gusto personale. Se devo riassumere gli elementi importanti: studiare il più possibile, leggere, guardare spettacoli. Sarà una risposta banale, ma penso sia questo.

Nel 2014 sei stato finalista al Premio Equilibrio con il lavoro “I meet you… if you want”, per il quale hai ricevuto anche il sostegno del Ministero. I contenuti di questa creazione?

Come dicevi tu, I meet you… if you want ha ricevuto il supporto del progetto DE.MO/MOVIN’UP, organizzato congiuntamente da Mibact e GAI. Ne sono stato onorato, penso sia una bella opportunità per il sostegno alla mobilità dei giovani artisti italiani e infatti ha supportato la prima fase del mio progetto in Galles.  In generale, l’intero progetto è nato sotto una buona stella. Il lavoro ha ricevuto diversi aiuti e, per un senso di gratitudine, penso sia giusto ricordarli tutti, anche perché in questo momento è indispensabile cercare sinergie per potersi “permettere” di creare qualcosa. Il principale produttore è stato Mosaico Danza, che ha fatto molto per la mia crescita in qualità di autore. Mosaico, tramite DROP Project del network Dance Roads, ha ricevuto il sostegno europeo che ha permesso non solo la produzione ma anche la circuitazione della prima forma del lavoro in 5 paesi (Italia, Canada, Francia, Inghilterra e Olanda).  Poi, autonomamente, ho ricercato e reperito altri aiuti, così sono arrivate le residenze organizzate grazie al circuito regionale Fondazione Piemonte dal Vivo, grazie a A.C.S Abruzzo Circuito Spettacolo e infine una residenza al Teatro Comunale Città di Vicenza, grazie ad ARTEVEN. Ad ognuno di loro sento di dire grazie per il risultato finale del lavoro. Ritornando alle tematiche, il lavoro nasce da un’esigenza personale. Quali sono gli incontri che ci hanno portato ad essere quanto siamo oggi? Le persone del nostro passato come influenzano le nostre scelte attuali? La presenza di qualcuno al nostro fianco va al di là della sua presenza fisica. Il ricordo delle caratteristiche fisiche del corpo dell’altro – peso, dimensioni, forma – diventa quanto ci rimane quando non è più vicino a noi (per tradurre il concetto in una forma immediata). Facendo un passo di astrazione: penso sia esattamente quanto ci capita nella vita, il ricordo può diventare talmente forte da non renderci liberi nelle nostre scelte. Parallelamente sono partito dall’immagine dell’Androgino, il Mito di Platone. Ognuna delle due metà si trova nel mondo a cercare la propria parte mancante. Quanto la ricerca di questa memoria radicata in una parte nascosta del nostro cervello, può influenzarci? Quanto per cercare quell’ideale di metà mancante, non ci accorgiamo delle persone che abbiamo al nostro fianco nella vita reale?  Quel “… if you want” vuole dire che dipende da noi. Tutto è legato all’importanza che lasciamo a quel ricordo e a quella non-presenza a noi vicina.

Hai ottenuti numerosi altri riconoscimenti in tutta Europa per il tuo lavoro. Il più significativo?

La cosa che mi ha emozionato di più è stato sicuramente il debutto della forma definitiva di I meet you… if you want per la sezione Made.it di Torinodanza Festival, in collaborazione con Interplay14. È il Festival della mia città ed ho sempre avuto grande stima della sua programmazione. È stata una sezione del festival dedicata agli italiani e sapevo di essere una delle realtà artistiche più giovani. Il progetto nasce dalla sinergia di intenti tra le due direzioni artistiche alle quali non può che andare il mio ringraziamento per questa opportunità.

Il tuo linguaggio coreografico?

Cerco di rendere fisiche delle sensazioni interne. Partendo da immagini che possano essere evocative. A volte parto da ricordi. Cerco qualcosa di quotidiano, di immediato, che possa creare un collegamento diretto con ognuno di noi. Come si traduce un ricordo in qualità di movimento? Come si traduce in dinamica di un corpo? Il gesto per me si lega sempre ad una sfera personale. A volte il gesto nasce dalla sensazione e successivamente deve essere affinato, cesellato, evoluto. A volte nasce prima la partitura coreografica, che si riempie di vissuto personale. In entrambi i casi il semplice movimento diventa in qualche modo necessario, il risultato di una necessità interna, direi viscerale. Quando inizio a sperimentare in sala da solo arrivano quasi subito immagini, che poi lavoro con le persone coinvolte. Si crea così una prima struttura. Una volta arrivati a quella, cerco di capire dove è carente, tante componenti devono equilibrarsi: ritmo, movimento, dinamica, senza considerare il suono o il silenzio. Inizia a parlarsi di drammaturgia non solo del movimento, ma del suono, delle luci… Cerco di tirare un filo conduttore tra tutto.

Che tipo di messaggio cerchi di tramettere nelle tue creazioni?

Sono spunti di riflessione. Urgenze che nascono da una percezione personale o dall’osservazione della società nella quale vivo. A parer mio chi vuole comunicare qualcosa si fa portavoce di un sentire collettivo. Quindi, dopo la prima intuizione, lucidamente, quasi scientificamente, si deve cercare il confronto con chi ci sta attorno.  Parte la fase di studio di documentazione, di stesura del progetto. Se ci sono riscontri parlando con “la gente” allora penso di essere sulla buona strada. Sono punti di vista. Spaccati, più o meno astratti e rielaborati, della società nella quale viviamo o di parti di noi stessi. Ognuno può interpretare a vario grado quanto è portato in scena, a seconda del proprio vissuto o della propria sensibilità. Se riesco a far nascere domande “nell’osservatore” sono contento.

Il tuo approccio al pubblico

Fondamentalmente mi avvicino al pubblico con rispetto. Mantengo la mia idea e continuo a ricercare, chiaramente senza andare nella direzione di scelte facili o di comodo solo per “piacere”. Ma, allo stesso tempo, so che c’è questa entità che presto o tardi vedrà il mio lavoro. Il che non vuol dire averne paura o timore ma semplicemente averne rispetto.  Se il lavoro rimane onesto, sono convinto che un qualsiasi osservatore se ne renderà conto. Poi il gusto è un altro discorso, sono conscio che un lavoro possa piacere o non piacere.

Dal punto di vista stilistico qual è la tua impronta?

Sinceramente non lo so. Una persona, dopo aver visto un mio lavoro, mi disse che aveva pensato alla teorica fisica “del caos”, al “caos ordinato”, e mi piace molto come immagine, avendo studiato fisica, anche perché è sempre stato un mio riferimento. Era una signora francese a Rio de Janeiro, quindi va oltre le frontiere della mia nazione e la cosa mi piace ancora di più. Nei miei lavori dedico molta attenzione alla musica. A volte uso brani conosciuti e/o rielaborati, dipende chiaramente anche dalla possibilità economica che ho per coinvolgere musicisti. Usare brani del passato di tutti ha un senso di memoria comune, un momento nel quale tutti possiamo sentirci a casa, a prescindere da dove il lavoro vuole portarci. Ma si deve fare attenzione, il rischio è la banalità. La gestualità ripetuta, il loop, è un altro elemento che inizio a scoprire essermi particolarmente connaturato. Guardando ad un livello generale, nei miei lavori faccio affiorare le immagini così come affiorano i ricordi, non c’è un percorso logico. Il che non vuol dire che a livello globale non ci sia una logica, anzi, la struttura globale c’è ed è molto chiara. Ne ho l’esigenza.

Le tue fonti di ispirazione?

Sono tante, immagini suoni rumori. Osservo molto, cerco di comprendere il luogo nel quale vivo, parlo con le persone… Iniziando un lavoro arrivano parallelamente tematica e domande. Le domande prima le rivolgo a me stesso e le uso per sperimentare in sala da solo. Così arrivano le immagini; poi le condivido con chi mi è vicino e dal confronto nasce una linea chiara che mi guida alla scrittura del progetto. A sua volta, la scrittura mi chiarisce la direzione del lavoro in sala. Con le domande e gli aspetti da indagare chiari, prima sperimento in sala da solo e poi parto a coinvolgere gli altri performer. E lì, come è normale che sia, tutte le cose che avevo in mente vengono stravolte. Si eliminano immagini, una sorta di selezione naturale, ma nello stesso tempo ne nascono altre, si crea la prima struttura che con il tempo viene cesellata.

 Le tue aspirazioni future?

Piccola vena polemica, vedere riconosciuto quanto faccio come un lavoro vero anche in Italia. Capita spesso che chi non si occupa di danza chieda angelicamente “ma riesci a vivere così?”. So di non dire nulla di nuovo, ma tutto questo genera un senso di frustrazione forte.  Quindi come aspirazione posso dire che desidero poter svolgere il mio lavoro, che tra l’altro è totalizzante, con i crismi e le tutele che è giusto avere.  Premetto che so di essere uno di “quelli” fortunati attualmente, perché ho possibilità di creazione. Premetto anche che, ovviamente, non mi rinchiudo solo in sala per la creazione, ma mi occupo del movimento in ogni sua forma, insegno e quant’altro e poi curo i contatti e creo in soldoni il substrato per potermi dedicare alla creazione. Ad oggi sono stato fortunato ad aver incontrato persone, strutture e situazioni che mi hanno permesso di potermi dedicare alla “creazione”.

Il tuo prossimo impegno?

Ho iniziato un nuovo lavoro. Sarà una coproduzione Oriente-Occidente con il supporto di Mosaico Danza, ringraziando la Fondazione Piemonte dal Vivo per il progetto Ospitalità PrimoPiano alla Stireria di Collegno, la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e il Circuito Lombardia Arti Pluridisciplinari Spettacolo dal Vivo. Ad oggi ho presentato il primo studio al FIND – Festival Internazionale della Nuova Danza di Cagliari il 17 di maggio. Ci sarà ancora una presentazione intermedia a MIRABILIA – International Circus & Performing Arts Festival di Fossano agli inizi di luglio. Il debutto definitivo sarà il 28 agosto per Oriente Occidente – Festival Futuro Presente di Rovereto.  Inutile dire che sono emozionato! È un trio di uomini. Conflitto e memoria le tematiche principali. Penso sia importante mettere luce sul “conflitto” e su come esso entri nella nostra vita quotidiana. Un primo spunto sono stati i lavori dell’artista israeliana Michal Rovner, hanno una forza incredibile. Generalizzando, mi sono reso conto che tutte le opere che nascono da un conflitto sociale o personale hanno in sé un segno molto forte. Hanno un’urgenza necessaria per dire qualcosa di davvero significativo. Poi mi sono posto delle domande. Una delle cause del conflitto, interno o esterno che sia, è l’identità troppo forte o troppo poco affermata. Parallelamente, ho iniziato a pensare al ritmo comune: stare in un ritmo comune, uscire da un ritmo comune. Ha in sé una forma di affermazione di sé e del proprio punto di vista. Le prime sperimentazioni sono arrivate al Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli nel settembre 2014, un primissimo abbozzo di 5 minuti arrivò poi durante l’ultima residenza per I meet you… if you want, al Teatro Comunale Città di Vicenza.  La struttura che ho presentato al FIND è di 35 minuti, l’obiettivo è portarlo a 45, cioè alla “fatidica” serata intera. È una tappa di crescita importante nel mio percorso come coreografo, in termini di numero di interpreti e di durata del lavoro. Il mio progetto finale è continuare su queste tematiche per arrivare nella prossima stagione ad un lavoro per 5 persone, 3 uomini e 2 donne. Può sembrare cervellotico pensare a questa programmaticità, ma il fatto reale è che o si creano sinergie o è difficile portare avanti il proprio progetto e per creare sinergie occorre tempo. Il nuovo lavoro si chiama Postproduzione, il titolo arriva dal testo del francese Nicolas Bourriod Postproduction. In sala poi si è partiti da ricordi legati alla vita degli interpreti. Questo impulso iniziale legato alla memoria individuale è stato evoluto, astratto, “postprodotto” in qualcosa che possa legarsi alla memoria di tutti. L’auspicio è di andare a toccare corde che possano vibrare, a vario grado, in ognuno di noi, perché di questo parlo: “di noi”.

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Foto di Angelo Bellotti

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