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Renato Zanella: “La nostra responsabilità è mantenere alta la qualità del prodotto artistico, sempre e comunque!”

Renato Zanella - Ph.Ennevi

Nato a Verona nel 1961, Renato Zanella inizia sin da piccolo lo studio della danza classica. Nel 1981 decide di completare la sua formazione a Cannes, presso il Centre de Danse International di Rosella Hightower. Nel 1982 ottiene il primo contratto con il Basler Ballett, diretto da Heinz Spoerli. Qui danza opere di Balanchine, Van Manen, Robert North, John Cranko, Ulysses Dove e Heinz Spoerli. Nel 1985 viene chiamato al Stuttgarter Ballett dove vive una carriera intensa e di successo ballando ed esibendosi in tutto il mondo nelle opere di John Cranko, Maurice Béjárt, Jiri Kylián, Mats Ek, John Neumeier, William Forsythe, Azary Plisetsky, Glen Tetley, e Kenneth MacMillan. Nel 1993, dopo aver creato numerose coreografie per la compagnia e all’estero, viene nominato “Coreografo Residente” da Marcia Haydée, Direttrice della Compagnia di Stoccarda. Nel 1993 inizia la sua collaborazione con il Wiener Staatsoper Ballett che lo porta alla nomina di Direttore del Ballo, ruolo che ricopre continuativamente dal settembre 1995 all’ agosto 2005. Nel 2001 assume anche l’incarico di direttore artistico della Wiener Staatsoper Ballettschule. Oltre che con il Basler Ballett, lo Stuttgarter Ballett e il Wiener Staatsoper Ballett, ha lavorato con: Les Ballets de Monte-Carlo, Introdans, Deutsche Oper Berlin, Royal Swedish Ballet, Istanbul State Ballet, Hungarian National Ballet, Ballet du Rhin, Theater Krefeld/Mönchengladbach, Teatro San Carlo, Croatian National Theatre, Badische Staatstheater Karlsruhe, Ballet Municipal de Lima, Ballet National de Portugal, Staatsballett Berlin, Balletto dell’Opera di Roma e San Francisco Ballet. Le sue coreografie sono state interpretare da grandi artisti internazionali come: Carla Fracci, Marcia Haydée, Eleonora Abbagnato, Dorothée Gilbert, Myrna Kamara, Simona Noja, Polina Semionova, Richard Cragun, Egon Madsen, Roberto Bolle, Vladimir Malakhov,Manuel Legris, Nicholas Le Riche, Shoko Nakamura, Giuseppe Picone, Alessio Carbone e molti altri.

Il Giornale della Danza l’ha incontrato a poche ore dal debutto del “suo” Lago dei Cigni, in scena al Teatro Filarmonico di Verona.

A Verona arriva il “suo” Lago. Non ci riferiamo ad una versione a cui il pubblico è abituato. Ce la può raccontare? 

No, direi di no, proprio perché non appartengo a quella generazione, a quelle scelte artistiche. Non sono mai stato appassionato delle “brutte copie”. Sono fondamentalista nelle mie scelte artistiche: rispetto, quindi, la qualità ma da creatore mi sento quasi obbligato a continuare questa missione di realizzare nuove versioni. Ho iniziato così, e continuo ad andare controcorrente. Diciamo che mi ascolto molto e cerco sempre di seguire il mio istinto, con tutte le conseguenze del caso. Anche in questa occasione, ho dato spazio ai miei pensieri e al mio cuore: nonostante l’organico ridotto, sono tornato ai valori della vera danza e cerco di portare in scena le vere emozioni. Mi auguro che il pubblico riesca ad apprezzare tutto questo! Ho avuto la possibilità di far vedere questo spettacolo ai ragazzi delle scuole che, senza alcuna difficoltà, ho visto coinvolti e attenti. Un pubblico così giovane è spesso la cartina tornasole per un coreografo. Mi auguro, quindi, che anche altre platee apprezzino questo Lago. Ho aspettato molto a riprendere i grandi classici e questa pièce mi rappresenta moltissimo perché sono proprio io. Come coreografo ho iniziato a Stoccarda e a Verona torno alla vera scuola coreografica: tutto questo non mi spaventa, anzi mi sprona. Sapere di avere la responsabilità totale (costumi, luci, coreografia), mi rende felice. Ci sono tanti rischi, certo, ma faccio sempre quello in cui credo.

In questo Lago, Lei racconta una storia nella storia: descrive il sogno, lo rende esplicito. Perché ha scelto di fare questo?

Il periodo in cui viviamo è molto caotico e la crisi regna sovrana. È un momento conflittuoso. Il sogno è l’ultima cosa che ci resta ed è quello che dobbiamo offrire alle persone che vengono dopo di noi. Dobbiamo sognare, è fondamentale. Il sogno per eccellenza è all’interno del Lago. L’irrealtà del Lago è la parte che ha più successo, il sogno che dà una grande libertà perché permette di avere ciò che non si ha. Noi giochiamo su emozioni particolari, nell’irrealtà possiamo credere. Nel Lago da me firmato descrivo il sogno della libertà, i veri sentimenti, la voglia di cambiare. La bellezza di queste produzioni, la loro eredità – a prescindere dalla provenienza – è lì, pronta ad essere masticata, riproposta, rifatta, ripresentata. Molto spesso, con i cambi generazionali, abbiamo dei problemi di assimilazione. Il nostro compito, quindi, è proseguire e dare spazio a questi nuovi classici. Verona sta diventando l’incubatrice di questi cambiamenti. Non sarà il nuovo Aterballetto ma, anche grazie al mio arrivo, sta diventando una compagnia di autori, di ricerca e che sta avendo una funzione di rinascimento, diversa da altre realtà italiane, in costante sofferenza economica e, ahimé, artistica. Mi auguro di poter continuare nel migliore dei modi e di poter dare sempre il mio contributo.

Passiamo all’attualità e alle realtà “sofferenti” italiane. Cosa pensa della questione Pereira?

Sto vivendo questa situazione con molta sofferenza. Non è giusto, tutto quello che sta accadendo ha una matrice prettamente pregiudiziosa. Pereira è sempre uscito a testa alta da qualsiasi lavoro fatto, avendo conti ottimi. Entrando in sistemi con bilanci catastrofici, ogni tentativo per risollevare la situazione può essere vano. Ad oggi mi sembra, però, che si stia cercando di non salvaguardare più la vera essenza del teatro che, certamente, rimarrà pura finché ci siamo noi a preservarla. La nostra responsabilità è mantenere la qualità del prodotto artistico. Non ho alcun dubbio. E dobbiamo farcela, in ogni modo e realtà.

Il problema del nostro Paese è proprio questo: teatri con buchi importanti, impossibilità di portare in scena opere di qualità, di sperimentare. Ma, alla fine, secondo Lei può esservi una soluzione a questa débacle?

Tempo fa, proprio a questa domanda, risposi con una proposta: fare una legge secondo cui, prima di presentare lo spettacolo, tutti i contratti devono essere firmati e il budget in perfetta “forma”. Tutto deve essere in ordine prima di andare in scena. Succede in tutta Europa: l’arte deve avere pressione e deve fare scelte coraggiose. All’Italia manca continuità, senso di responsabilità ed una Corte dei Conti che, secondo me, al termine di ogni stagione deve controllare lo stato economico dei teatri. Un sistema che funziona in tutta Europa…perché, allora, non provare anche in Italia? Sono convinto che tutti, l’arte in primis, ne gioverebbe. Purtroppo i problemi si ripropongono sempre e nessuno sembra intenzionato a risolverli. Un vero peccato. E, a soffrire di tutto questo, è proprio il pubblico, che ama il teatro e tutte le sue sfaccettature.

Nonostante le difficoltà, la sua Compagnia sarà in scena anche quest’estate, al Teatro Romano, con “Medea”. Che aggettivo userebbe per descrivere questa pièce?

È una tragedia, basata sull’opera di Theodorakis. È un lavoro sulla storia di una donna, un lavoro profondo che parla di integrità e sentimenti veri. È una storia complessa se raccontata da un uomo, semplice se raccontata da una donna. In questa mia versione lascio da parte la parte drammaturgica – che, invece, Theodorakis affronta, ed è una donna a raccontare la storia di questa donna. Una pièce che mi appassiona tantissimo e che non vedo l’ora di mostrare al pubblico. Anche in questa occasione, ho molto rispetto per la musica, parte essenziale di questa tragedia in danza. Non mi resta che dirvi di venire a vederla!

 

Valentina Clemente

www.giornaledelladanza.com

Foto Ennevi

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