In ogni grande spettacolo di danza, tra le luci di scena e gli applausi, si cela una presenza invisibile ma determinante.
Non sale sul palco, non indossa tutù né scarpe da punta, eppure la sua impronta è in ogni gesto, in ogni pausa carica di significato, in ogni respiro condiviso sul palcoscenico.
È il ripetitore, custode di un sapere che non si legge nei libri, ma si trasmette con il corpo, la voce e la pazienza.
Il ripetitore è, per molti versi, un traduttore del tempo. Traduce la visione del coreografo in linguaggio vivo, plasmato sul corpo dei danzatori di oggi.
Il suo compito va oltre l’insegnamento tecnico: egli ricostruisce atmosfere, intenzioni, silenzi, tensioni emotive.
Dove il coreografo ha lasciato un’impronta, il répétiteur la rianima, passo dopo passo.
Non si limita a correggere posizioni sbagliate o a contare i tempi musicali: scava nella memoria del balletto per riportare alla luce ciò che rischia di sbiadire — un accento, uno sguardo, un’ombra che attraversa la scena.
Questa figura professionale non si improvvisa: spesso si tratta di ex ballerini che hanno vissuto in prima persona le opere che ora trasmettono. Alcuni hanno lavorato a stretto contatto con i coreografi originali.
Altri sono stati formati da fondazioni che custodiscono gelosamente le versioni “autorizzate” di coreografie leggendarie.
Il répétiteur è quindi un garante della fedeltà ma anche un interprete: non tutto può essere replicato alla lettera.
Ogni nuovo corpo, ogni nuova epoca, impone adattamenti sottili. È qui che entra in gioco la sensibilità: il rigore deve convivere con l’intuizione, la tecnica con l’empatia.
Il ripetiteur è il ponte tra la genesi di un’opera e la sua rinascita in scena, anno dopo anno, compagnia dopo compagnia.
Il répétiteur è insostituibile, perché il suo lavoro si basa sulla relazione, sull’esperienza vissuta, su dettagli che sfuggono ai filmati.
Ogni balletto è un fragile equilibrio tra forma e anima. Il ripetiteur, con pazienza e dedizione, ricompone quel fragile equilibrio ogni volta che lo trasmette, per restituirgli profondità.
Il répétiteur non si prende i meriti, ma è grazie a lui se la tradizione non diventa imitazione, e se il repertorio non diventa solo un’esibizione di virtuosismo, ma una narrazione carica di senso.
Nel silenzio delle sale prova, il répétiteur continua a tramandare l’anima della danza. E lo fa senza rumore, ma con una forza che resiste al tempo.
Michele Olivieri
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