A Covent Garden il sipario si alza su una stagione che più che un cartellone, somiglia a una dichiarazione d’intenti.
Per il Royal Ballet di Londra, l’annata 2025/2026 è un laboratorio scenico dove si sperimenta il futuro del balletto, si rilegge il passato e si mette alla prova la tenuta di un’istituzione culturale che non può più permettersi di restare ferma.
Guidata con visione da Kevin O’Hare, la compagnia si muove in equilibrio su una linea sottile: innovare senza snaturare. E quest’anno, quel filo teso sembra farsi più audace.
Il cuore pulsante della stagione è senza dubbio rappresentato dalle nuove commissioni. Tra queste spicca Alchemies, il nuovo progetto firmato Wayne McGregor, che porta in scena un linguaggio coreografico al confine tra biotecnologia e corpo emotivo. La scena diventa un laboratorio di trasformazione alchemica: danza come mutazione.
Ma non è il solo. A riscrivere i codici della narrazione coreutica torna Cathy Marston, con un lavoro ispirato al Concerto per violino di Britten, dove la musica guida non la storia, ma l’evocazione.
A completare il trittico del programma Perspectives ci sono due firme americane: George Balanchine, presenza-icona con Serenade, e Justin Peck, enfant prodige della coreografia contemporanea con Everywhere We Go, un’opera dove il balletto incontra Brooklyn.
Se l’innovazione è centrale, il Royal Ballet non dimentica la sua spina dorsale: il repertorio classico e moderno del XX secolo.
Il ritorno più atteso è quello de La Fille mal gardée di Frederick Ashton, gioiello della comicità coreografica britannica, assente dai palcoscenici londinesi da quasi un decennio. Una danza che sa sorridere, ma senza essere frivola.
Tornano anche le atmosfere oscure di Mayerling di Kenneth MacMillan, un balletto che è più romanzo psicologico che spettacolo di gala.
E naturalmente Lo Schiaccianoci, nel suo ruolo di sentinella natalizia, accanto a Giselle, che continua a resistere come rito collettivo e sogno gotico.
Ma la vera novità della stagione non è nel programma. È nel modo in cui il Royal Ballet sceglie di abitare il proprio tempo. Mai come quest’anno la Royal Opera House apre le sue porte — reali e simboliche — a nuovi pubblici.
L’attenzione all’accessibilità non è un dettaglio: performance audiodescritte, tradotte in lingua dei segni, pensate per un pubblico neurodivergente, con visite tattili e adattamenti sensoriali.
La danza non è più solo da vedere. È da vivere, da ascoltare, da toccare, da percepire in ogni modo possibile.
A questo si aggiunge un ventaglio di compagnie ospiti da tutto il mondo: dal Sudafrica (Joburg Ballet) all’America (Tulsa Ballet), passando per le realtà indipendenti del Regno Unito come Ballet Black.
Una stagione che si fa anche mappa geografica, non più eurocentrica.
La stagione 2025/2026 del Royal Ballet non è una stagione qualsiasi. È una stagione che non dà risposte, ma pone domande. Che cosa può essere oggi un’istituzione classica? Come si danza nel presente senza smarrire il passato? Qual è il confine tra tradizione e nostalgia, tra innovazione e provocazione?
Michele Olivieri
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