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Nel gesto la storia: il flamenco come danza dell’identità

Il flamenco è una forma d’arte complessa nata in Andalusia tra XVIII e XIX secolo, frutto dell’incontro tra culture gitane, andaluse, arabe, sefardite e orientali. Non si tratta solo di musica o danza, ma di un linguaggio identitario profondamente radicato nella storia di emarginazione e resistenza di molte comunità, in particolare quella gitana. Si compone di tre elementi principali: canto, chitarra e danza. Il canto esprime emozioni profonde, spesso legate alla sofferenza; la chitarra interagisce in modo attivo con il cantante e il ballerino; la danza, fisica e ritmica, trasforma la musica in gesto espressivo. Il flamenco è inoltre fortemente improvvisativo, mantenendo un legame vivo con la tradizione orale e performativa mediterranea. Durante il regime franchista, il flamenco fu strumentalizzato come simbolo folclorico nazionale, ma mantenne una funzione critica e identitaria per molti artisti. Anche oggi, pur essendo riconosciuto come patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO, il flamenco si confronta con i rischi e le opportunità della globalizzazione: la contaminazione con altri generi ne rinnova il linguaggio, ma pone interrogativi sull’autenticità e la conservazione della tradizione. In conclusione, il flamenco è una forma artistica viva, capace di raccontare dolore e bellezza, oppressione e resistenza, diventando oggi un simbolo universale di memoria culturale ...

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Il tutù storia e origine del costume per eccellenza della danza

La danza classica trova nel 1800 la sua massima espressione con balletti che ne fanno la storia e che, da un punto di vista accademico, ne segnano il futuro. È a questo periodo evolutivo che si deve l’origine del costume femminile per eccellenza della danza classica: il tutù.  Inventato da Eugène Lami, illustre pittore e litografo francese. Indossato, invece, per la prima volta, da Maria Taglioni il 12 marzo 1832 all’Opéra di Parigi per la rappresentazione de La Sylphide. André Levinson così commenta questa invenzione: “A suo tempo, il coreografo Gardel aveva introdotto la riforma di David: le ballerine sfoggiavano tuniche alla greca i cui drappeggi evidenziavano le linee del corpo. Lami crea invece i suoi drappeggi di mussolina che rigonfiano la gonna in infinite pieghe bianche. A forma di campana o meglio di corolla rovesciata, questo costume permette alla ballerina, ambi movimenti, favorisce salti ed agilità. Allo stesso tempo, questa nuvola di candida garza emana poesia virginale…. Mano a mano, unito alle punte, che evidenziano il movimento delle gambe, il tutù continua a semplificarsi. Oggi possiamo classificare i tutù in tre tipi: il tutù piatto cioè quello a ruota, il tutù romantico, cioè quello lungo fino alla caviglia od ai ...

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Alla riscoperta di balletti dimenticati. Di Flavia Pappacena

  Le Violon du diable di Arthur Saint-Léon (1849)   La stampa qui riportata focalizza uno dei momenti salienti del balletto di Arthur Saint-Léon (1815-1870) Le Violon du diable, andato in scena all’Opéra di Parigi il 19 gennaio 1849 con musica di Cesare Pugni. Si tratta della scena della seduzione (fascination) in cui un violinista (Saint-Léon), aiutato dal Demonio nei panni del medico Matheus (Giovanni Coralli), ammalia con la sua musica Hélène (Fanny Cerrito), figlia del conte di Vardeck, che non si interessa a lui in quanto socialmente inferiore. La scena in questione si svolge nell’albergo di un piccolo villaggio bretone in cui sono alloggiati vari personaggi tra cui, oltre al violinista, a Hélène e Matheus/Demonio, il monaco benedettino Anselmo. Innamoratasi del giovane per il potere demoniaco del violino, la fanciulla fugge con lui, ma poi cessa di amarlo quando il violino perde il suo potere per una vendetta del Demonio. A questo punto interviene il Monaco che, vinto il maligno con il potere della croce, dona al giovane un altro violino, ma questa volta benedetto, con cui la giovane ritrova l’amore. Tuttavia rimane ancora un ostacolo alle nozze dei giovani: la resistenza del conte fermamente ancorato alla prassi dell’omogamia ...

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Storia della danza. Alla riscoperta di balletti dimenticati di Flavia Pappacena

  Il “Balletto delle suore” in Robert le diable (1831)   È opinione comune che La Sylphide di Filippo Taglioni (Opéra 1832), primo balletto romantico francese, abbia un precedente nel “Balletto delle suore” che andò in scena all’Opéra nel 1831 all’interno (atto III, scena VI) dell’opera Robert le diable di Giacomo Meyerbeer (libretto di Eugène Scribe e Germain Delavigne). Il “Balletto delle suore” è infatti definito il primo caso di ballet blanc della storia del balletto francese. Ma cos’è questo “Balletto delle suore”? Quale è l’identità di queste monache? Il “Ballet des nonnes damnées” (Balletto delle suore dannate) – titolo originale – non è propriamente un balletto, ma un breve intermezzo integrato nella trama dell’opera in cui suore dannate, invocate dal Demonio, escono dai loro sepolcri situati nel chiostro del convento di Santa Rosalia a Palermo per indurre Robert a profanare la tomba della Santa e rubare un ramoscello magico stretto tra le mani della statua. Si tratta di un soggetto nel gusto del romanzo gotico allora di tendenza (si pensi a Frankenstein di Mary Shelley e a The Vampire di John William Polidori), che si cibava di spettri, tombe, chiostri abbandonati, sinistre atmosfere lunari. E l’elemento inquietante era l’abito ...

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