Dopo Charles Dickens in The Invisible Woman, ecco Rudol’f Nureev in The White Crow. Dove stavolta Ralph Fiennes non interpreta il ruolo del protagonista ma lo lascia al ballerino russo Oleg Ivenko. Che mostra i primi passie l’ascesa di Nureev nel 1961 a Parigi e soffermandosi sull’episodio-chiave del 16 giugno in cui, per sfuggire al rimpatrio, ha chiesto asilo politico a Parigi.
Scritto da David Hare e ispirato al libro Rudolf Nureyev: the Life di Julie Kavanagh, The White Crow alterna il presente con flashback del passato. Tra i primi passi che lo porteranno poi alla grande prova all’Opéra di Parigi e l’infanzia segnata dall’assenza del padre, la povertà con il letto condiviso con il resto delle sorelle.
Fiennes (che si ritaglia il ruolo del suo insegnante Pushkin) cerca di sfuggire alle forme del biopic tradizionale, ma non ha la forza e probabilmente né la necessaria consapevolezza per farlo. Anzi, svuota il film, tra compiaciute citazioni pittoriche come per mostrare cme l’arte abbia influenzato la vita del ballerino, improbabili trame da spy-story con il KGB che stava alle costole del protagonista controllando le sue frequentazione e cercando di impedirgli di uscire alcune sere. Eppure forse pensa di farle il contrario. Infarcendo quella parte della sua vita come se si trattasse di una tragedia di Shakespeare, evidente nella scena dell’abbraccio del protagonista bambino appena tornato a casa. Oppure nel litigio al ristorante con l’amica Clara, interpretata da Adèle Exarchopoulos, anche lei piuttosto a disagio in un presunto controllo di un personggio invece più viscerale, quasi come la Adèle di Kechiche.
Un quadro di monotona mediocrità, che per soffermarsi sul volto del protagonista (che somiglia un po’ a Gianni Morandi), anstetizza tutte le scene di danza. Solo tracce del movimento. E la scena. Vista anche da lontano. Delle acrobazie e della sua velocità di Nureev, con cui era stano soprannominato the flying tatar, non c’è neanche l’ombra. E in questo grigiore, Fiennes spreca colpevolmente soprattutto la scena chiave dell’aeroporto. Una sequenza lunga, con una tensione più cercata ma mai ottenuta. Guarda allo splendido Argo di Ben Affleck ma ne è solo la parodia.
The White Crow: sinossi
Rudolf Nureyev, nato da una famiglia povera su un vagone della transiberiana e cresciuto in un piccolo paesino nella gelida pianura dell’Unione Sovietica, si appassiona fin da piccolo alla danza. Entrato in una prestigiosa compagnia di danza, riesce ad andare a Parigi con i suoi compagni per esibirsi al Palais Garnier. Egli verrà notato dai maestri francesi e riuscirà, nonostante la rigida sorveglianza dei suoi accompagnatori, a socializzare con loro, costruendosi delle grandi, fondamentali amicizie.
The White Crow: le nostre impressioni
La storia di Nureyev interessa ed appassiona anche chi non è esperto di danza classica, è una storia di tenacia e di resistenza ambientata in un periodo storico controverso e difficile. L’Unione Sovietica degli anni ’60 viene mostrata come un sistema che offre delle possibilità, delle vie d’uscita, ma granitica in un meccanismo perverso di “do ut des” che taglia le gambe alle libertà personali e agli slanci individuali, alla trasgressione e all’anormalità. In altre parole, tarpa le ali ai “white crow(s)”, espressione usata, come ci viene spiegato subito, per indicare un individuo che si distingue radicalmente dagli altri, un outsider, un individuo che all’interno del rigido e socialista regime sovietico va tenuto sotto controllo. Se Nureyev balla, lo deve fare per la comunità, quella comunità che gli ha dato modo, nonostante le sue origini, di emergere, di distinguersi, ma solo per essere un illustre e fulgido esempio della patria, ma non per volare via da lei, per volare in cieli stranieri.
Con grande delicatezza e grazia, Ralph Fiennes, qui interprete come il maestro di danza che dà modo al talento di Nureyev di sbocciare in tutta la sua imperfetta unicità, tesse le fila di un film ben equilibrato e raffinato, caratterizzato da immagini molto nitide che valorizzano la recitazione dei bravissimi interpreti, lui incluso. Fiennes stesso spicca per la sua interpretazione di un personaggio generoso, impostato ma dimesso e fragile, sfoggiando con gran sorpresa un russo decisamente fluido, e molto puntuale è l’interpretazione che Oleg Ivenko dà del personaggio di Nureyev, un uomo dal carattere molto imprevedibile ma sensibile.
Per quanto sia interessante la storia e pulita la regia, il film pecca un po’ di mancanza di ritmo, un difetto che non rende meno difficile la fruibilità dell’opera, ma rende macchinoso il rapporto con i suoi contenuti. Sono molto apprezzabili i flashback e i cambiamenti cromatici che valorizzano le diverse atmosfere portate in scena dall’attore-regista Fiennes, che rispecchiano i sentimenti e gli stati d’animo dei personaggi con grande lirismo, ma senza riuscire ad essere toccanti tanto quanto probabilmente dovrebbero. Veniamo a conoscenza della storia di uno dei ballerini più famosi (se non il più famoso) del XX secolo, ma il racconto scivola davanti ai nostri occhi senza commuovere come vorrebbe.
Sara Zuccari
Direttore www.giornaledelladanza.com