Oggi, i trattati di danza storici sono strumenti imprescindibili per studiosi, danzatori e coreografi che si occupano di ricostruzione filologica e interpretazione del repertorio antico.
Essi testimoniano come il corpo, attraverso il gesto danzato, sia stato plasmato da ideali estetici, morali e sociali.
Ogni passo, ogni posa, non è solo tecnica, ma rappresenta un’idea di mondo, una visione dell’uomo e del suo posto nella società.
La danza è stata, per secoli, il linguaggio invisibile del potere, della grazia e dell’educazione.
E i trattati di danza? I suoi archivi segreti. Non solo manuali di passi, ma veri e propri codici del corpo, capaci di raccontare epoche intere attraverso il movimento.
Nel Quattrocento, le corti italiane trasformano la danza in arte codificata. Domenico da Piacenza, con il suo De arte saltandi, scrive il primo trattato noto.
Più che passi, insegna comportamento: come muoversi con grazia in società. I suoi allievi – Guglielmo Ebreo e Cornazzano – ne ampliano il messaggio, creando una vera grammatica coreutica rinascimentale.
Nel 1589, in Francia, Thoinot Arbeau pubblica l’Orchésographie. È un trattato, sì, ma anche un dialogo tra maestro e discepolo, dove danze popolari e di corte si intrecciano con musica e ritmo. Una guida che parla tanto al corpo quanto alla mente, ancora oggi fonte viva per chi ricostruisce danze rinascimentali.
Con Luigi XIV, la danza diventa strumento di potere. Nasce la notazione Beauchamp-Feuillet: segni grafici che trasformano il movimento in partitura scritta.
Il trattato Chorégraphie (1700) permette, ancora oggi, di danzare le stesse coreografie viste a Versailles. Il corpo barocco non improvvisa: esegue, con rigore e precisione.
Nell’Ottocento, la danza vola sulle punte e si fa più eterea. Carlo Blasis, con il suo Traité élémentaire de la danse, studia l’equilibrio, la postura, la gravità.
I suoi concetti attraverseranno l’Europa e fonderanno la tecnica accademica. Il corpo ora è strumento di sogno, ma costruito con logica matematica.
Oggi, questi testi sono portali. Aprirli significa viaggiare nei gesti di chi ci ha preceduti. Ogni segno, ogni passo annotato, è una memoria incarnata: il passato che torna, non nei libri, ma nei corpi di chi danza.
I trattati di danza rinascono ogni volta che un gesto antico viene rivissuto sul palcoscenico contemporaneo.
Michele Olivieri
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