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Tuccio Guicciardini: “Non in mio nome. L’arte che resiste.”

 

Tuccio-Guicciardini

Tuccio Guicciardini, direttore artistico ‒ insieme a Patrizia de Bari ‒ del Festival “Orizzonti Verticali – Arti sceniche in cantiere”, ha saputo trasformare un evento in un appuntamento imprescindibile per gli appassionati di arte e cultura contemporanea. Con una visione originale e una grande capacità di sintesi tra innovazione e tradizione, “Orizzonti Verticali” si distingue per la sua formula unica, che unisce e sperimenta diverse forme di espressione artistica, dalla musica alla danza, dal teatro alle arti visive. Un Festival che non si limita a essere una mera vetrina, ma che crea esperienze immersive, generando riflessioni profonde e incontri tra artisti e pubblico. Giunto quest’anno alla sua XIII edizione, Il Festival, con il sottotitolo “Non in mio nome”, che si svolgerà dal 31 luglio al 5 agosto 2025 a San Gimignano, in provincia di Siena, borgo turrito tra le mete più iconiche della Toscana, eletta Patrimonio dell’Unesco nel 1990. L’edizione 2025 include 21 appuntamenti di danza, teatro, musica, performance tra cui 5 prime nazionali. Orizzonti Verticali è un progetto della Compagnia Giardino Chiuso, con il sostegno di Fondazione Fabbrica Europa, nell’ambito del progetto regionale Ente di rilevanza dello spettacolo dal vivo della Regione Toscana, Regione Toscana, Amministrazione Comunale Città di San Gimignano, Assessorato alla Cultura e Banca Cambiano, in collaborazione con Fondazione Accademia Musicale Chigiana, Galleria Continua, Fondazione Musei Senesi/Opera Laboratori.

“Orizzonti Verticali” ha una forte connotazione interdisciplinare. Quali sono le principali sfide nell’integrare danza, teatro, musica e performance in un’unica programmazione?

Per noi è stato naturale percorrere la strada della interdisciplinarietà. Il nostro gruppo nasce da artisti di varia estrazione, dalla danza, dal teatro e dalla video arte e ha sempre percorso la ricerca della contaminazione tra i vari linguaggi scenici. La sfida, se così volgiamo definirla, è quella di mettere in stretto dialogo le varie espressioni sceniche, le varie formazioni artistiche, le varie storie professionali di ogni singolo artista. San Gimignano offre agli artisti, operatori culturali fino al pubblico, una frequentazione quasi obbligata, grazie alla sua conformazione urbana cinta da mura medievali. Soltanto con il confronto e la contaminazione si possono alimentare le idee e la creazione dell’opera d’arte. Ma, soprattutto, offrire al pubblico una pletora di proposte non allineate o monotematiche, uno spazio dove sia possibile accrescere il proprio senso critico, di emozionarsi o annoiarsi, per una libertà di opinione.

Nel selezionare le compagnie e gli artisti per il Festival, quali criteri artistici e concettuali considera più rilevanti?

Un festival, per sua natura, permette il rischio su alcune operazioni culturali. Un contenitore come il nostro privilegia la ricerca in tutte le sue forme mettendo in conto la possibilità di errore. Quindi l’attenzione verte su lavori inediti o in progress, dove “il cantiere” dell’arte esplica la sua funzione. A queste proposte la programmazione affianca spettacoli già rodati, ma che si devono comunque adattare alle scenografie naturali che offre San Gimignano, rendendo anche questi una sorta di debutto. Come dicevo poco prima la nostra idea è quella di mettere in programma una diversità di linguaggi, di tematiche e di rappresentazione. Non esiste un tema centrale, un filo rosso netto se non quello di poter partecipare consapevolmente ad un progetto artistico come quello di OV nella sua interezza. Ad esempio, il programma di quest’anno è ben nutrito e variegato: si va dalle performance urbane di The Gate’s Battle alla danza sociale con Lete_dell’oblio, passando per riscritture mitologiche (La guerra svelata di Cassandra, Come amore, canta), favole rivisitate (Biancaneve, Cappuccetto rosso nel bosco) e spettacoli multimediali come Sonichops ed Embracing places.

Come bilancia l’innovazione con la tradizione?

Fin dalla sua nascita, “Orizzonti Verticali” ha avuto come idea cardine il “confronto generazionale”. Nel 2013, alla sua prima edizione, avvertivamo nel mondo dello spettacolo uno scollamento tra generazioni ed abbiamo pensato di riconnettere i “super adulti”, come gli abbiamo definiti, con i giovani artisti, una riscoperta della propria storia per uno sguardo nel prossimo futuro.

“Orizzonti Verticali” si svolge in spazi pubblici e non convenzionali, come la Rocca di Montestaffoli o il rifugio antiaereo di San Gimignano. Come si pianifica la logistica e la messa in scena in ambienti così particolari?

Quest’anno abbiamo scelto di “arroccarci” alla Rocca di Montestaffoli, come segno di difesa dell’arte visto che siamo sotto attacco da parte di una politica assassina nei riguardi della creatività e delle libertà. Quindi molti degli spettacoli ed incontri saranno concentrati in questo luogo suggestivo e pieno di significato, il passato che si fonde con gli orizzonti futuri. Non abbiamo comunque abbandonato altri spazi della città dove alcuni lavori proseguiranno la tradizione di OV di abitare la città. Di forte impatto sarà il concerto che chiuderà il festival dell’accademia Chigiana nella Chiesa di Sant’Agostino, che sarà anticipato dall’azione scenica Non in mio nome, una sorta di processione laica che attraverserà tutta la città per celebrare la propria fine o inaugurare la propria rinascita. D’altronde il messaggio che l’arte ha come missione è quella di generare dubbi sulle realtà. Ma in tutte le altre edizioni abbiamo sempre ricercato luoghi adatti alla rappresentazione e alla creazione. Non senza sforzo perché allestire molti spazi teatrali non è banale. Ogni scelta è sempre stata ponderata e discussa con gli artisti che dovevano abitare lo spazio, l’opera d’arte così si trasforma sotto una veste peculiare e innovativa.

Il Festival ha un forte focus sulle prime nazionali. Quanto è importante questa scelta per dare spazio all’innovazione e all’emergere di nuove estetiche nel panorama delle arti performative?

Come già accennato la predilezione verso le prime nazionali o primi studi sono nella natura dei festival. Infatti, è attraverso la libertà dell’errore, il festival protegge l’opera d’arte che si affina e diventa potente. Anche nella sua acerbità il confronto con il pubblico dà una possibilità di crescita. Quindi la nostra ricerca delle “prime” non è quella di acquisire i numeri rivendicati dal Ministero o dagli Enti pubblici, ma quella di poter elaborare domande e dubbi attraverso quella magia che solo il teatro può esprimere e di far vivere e modificare la creazione.

“Orizzonti Verticali” è spesso un luogo di sperimentazione e di incontro tra giovani talenti emergenti e artisti di consolidata esperienza. Come promuove il dialogo tra queste due realtà?

Crediamo fermamente che la conoscenza, lo scambio di idee e l’apertura all’ascolto possa generare solamente una crescita nel proprio percorso di artista e di collettivo. Per questo abbiamo cercato di generare un sistema dove le diverse generazioni e estrazioni artistiche si potessero incrociare e contaminare. Un vero cantiere per le arti sceniche, non solamente un contenitore di rappresentazione. Soprattutto le giovani generazioni beneficiano della frequentazione dei maestri. Riconoscere la storia per addentrarsi nel futuro.

Tuccio Guicciardini

Nel suo ruolo di direttore artistico, come gestisce il delicato equilibrio tra la visione curatoriale e le esigenze economiche del Festival, in particolare considerando i rapporti con i partner istituzionali e le fonti di finanziamento pubbliche e private?

Qui entriamo nella parte dolente. Il continuo depauperamento delle risorse pubbliche alla cultura hanno già fortemente abbassato la qualità e la quantità delle proposte artistiche. Ci siamo sempre adeguati alle risorse disponibili. Da quest’anno il problema si è notevolmente amplificato dalla scriteriata politica culturale di questa classe dirigente. Tagli e bocciature eclatanti. Realtà che dovranno chiudere o portare ai minimi termini la propria attività. E non è con il finanziamento privato, che può aiutare certo, che può risolversi il problema della desertificazione lasciata dalle istituzioni pubbliche. La logica del mercato non tutela tutta quella parte della ricerca che ha “bisogno” di un sostentamento pubblico, sia perché può rivendicare la libertà di creazione sotto tutti i punti di vista, sia perché deve sopravvivere quel margine di errore e correzione nell’opera d’arte. Solo affidandosi ai contributi privati questa libertà viene chiaramente meno.

L’edizione 2025 del Festival affronta tematiche politiche e sociali molto forti, come la guerra e la violenza. In che modo queste questioni vengono tradotte nel linguaggio delle arti performative senza risultare didascaliche?

Un’altra funzione dello spettacolo dal vivo è proprio quella della divulgazione poetica, sociale e politica. Una voce importante per creare quei dubbi, sempre necessari, a chi assiste allo spettacolo o alla performance. Il messaggio più o meno velato dell’opera ha una trasmissione fortissima, perché vissuta in presenza, il qui e ora, tra gli artisti in scena e una platea costituita da altri esseri umani. Neanche il più sofisticato dei social può avere quella trasmissione di emozioni e la facoltà di generare i pensieri come può fare uno spettacolo, di qualsiasi genere. L’obiettivo, si sa, non è quello di dare risposte ma di generare un contraddittorio. Quindi se non hai la pretesa di dare delle “risposte” a qualsiasi tema scelto, non potrai mai essere didascalico.

Il sottotitolo dell’edizione 2025 del Festival è “Non in mio nome”, dalla forte valenza simbolica, e all’interno della programmazione è prevista un’azione scenica di “resistenza civile”. Come affronta la sfida di costruire un’immagine che trasmetta un messaggio potente e immediato, pur mantenendo una profondità artistica che possa coinvolgere un pubblico eterogeneo, senza ridurre la complessità del tema trattato?

È una delle conseguenze della domanda di prima. È nostro dovere, come artisti, schierarsi ed esprimere le proprie idee, coerentemente, per quello che si può e per le forze che hai. Lasciando, naturalmente, a chi guarda la piena libertà di critica e di coinvolgimento emotivo. Vista la situazione internazionale così difficile e tutte le sue derive, abbiamo deciso di dare un segno forte alla nostra operazione culturale. Quindi: “Non in mio nome” la guerra, il genocidio, la violenza in tutte le sue declinazioni, il sopruso alla dignità umana. E “non in mio nome” l’uccisione, perpetuata lentamente e scientemente, della cultura nella nostra povera Italia. Avvertiamo il dovere di dissentire, replicare, sussultare. Non rimanere inermi, succubi e vinti. In conclusione, del Festival è prevista un’azione poetica che si snoda dalla Piazza del Duomo alla Piazza Sant’Agostino. A partire dal primo pomeriggio sarà composto, al centro della piazza, esclusivamente con dei fiori bianchi, un disegno del Crisantemo, immagine scelta per OV25. Centinaia di fiori, raccolti e donati, deposti uno accanto all’altro a formare un disegno gigante del Fiore che, dopo il suo completamento, sarà smembrato e poi raccolto dalle persone presenti invitate a partecipare all’evento. Partirà così una processione laica verso la Piazza Sant’Agostino, luogo dove OV25 si avvierà verso il suo epilogo. Il bianco sarà predominante e sconcertante, composizione e scomposizione necessarie al cambiamento, alla trasformazione.

Quali evoluzioni ipotizza per “Orizzonti Verticali” nei prossimi anni e come immagina il Festival in prospettiva futura?

Adesso, per come si sta delineando il futuro nel comparto dello spettacolo dal vivo, non sono molto ottimista, per il prossimo anno “Orizzonti Verticali” è a forte rischio di chiusura. Ma sicuramente non molliamo. Stiamo preparando, con molte altre realtà del mondo dello spettacolo, intellettuali, artisti e il pubblico interessato, un Manifesto per il riassetto e la protezione della creazione dell’opera d’arte. Incominciamo ad avere numerose adesioni. Quando avremo una larga partecipazione speriamo di poter redigere un manifesto, il più possibile condiviso. Noi ci proviamo e vediamo se le nostre voci, messe tutte insieme, producono un coro abbastanza potente. Non sappiamo se il destino ci porterà nelle catacombe e nell’oblio, ma noi siamo speranzosi di rivedere un orizzonte che sia il più verticale possibile.

Lorena Coppola

Photo Credits: Daniele Furini – Tuccio Guicciardini

www.giornaledelladanza.com

© Riproduzione riservata

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