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Vecchio e nuovo Forsythe per il balletto della Scala

È sempre un piacere assistere alla Scala a una serata dedicata a William Forsythe, coreografo le cui creazioni dovrebbero entrare sempre più stabilmente nel repertorio della compagnia. In the middle, somewhat elevated è un capolavoro che non ci si stanca mai di vedere, al pari del classici dell’Ottocento. È un brano la cui forza irrompente lascia sempre stupefatti ed estasiati gli spettatori, anche quelli che già la conoscono; i ritmi inaspettati e sferzanti della musica elettronica, i passi a due “disarmonici” e pieni di forza, i disequilibri, i corpi atletici dei danzatori sottolineati dai body iridescenti, le luci taglienti e fredde, ma soprattutto la forza e la novità della creazione coreografica ne fanno una vera e propria pietra miliare della danza contemporanea. Roberto Bolle è un danzatore perfetto per questo pezzo, che richiede grande prestanza fisica, energia e precisione, e Marta Romagna, anch’essa molto adatta allo stile Forsythe, non ha fatto rimpiangere troppo Svetlana Zakharova, che pure è forse finora la migliore interprete di In the middle dopo Sylvie Guillem. Tra il corpo di ballo, che ha ormai interiorizzato questo brano, spiccava per brillantezza tecnica anche Francesca Podini.

Artifact suite e Herman Schmermam, anch’essi dei classici di Forsythe (datati rispettivamente 1984 e 1992) erano invece lavori nuovi per il Balletto della Scala. Il primo è un grande “divertissement” per il corpo di ballo, diviso in due parti, su musiche di Bach ed Eva Crossmann-Recht. I passi a due danzati da due coppie di solisti circondati dal “coro” del corpo di ballo sono divisi in quadri dal calare inaspettato e rumoroso del sipario, senza che la musica si interrompa: una scelta scenica di grande effetto. Il balletto procede spedito senza interruzioni per ben 45 minuti, con la danza delle coppie soliste continuamente contrappuntata dai gesti delle braccia ripetitivi e meccanici del corpo di ballo, paradigma forse dei disarmonici e disumanizzanti tecnicismi del nostro tempo.  La Ciaccona di Bach, con le sue infinite variazioni declinate attorno al tema principale, è inaspettatamente l’accompagnamento musicale perfetto di un balletto che sembra voler riportare in danza tutti gli aspetti isterici e artificiosi della nostra società.

Di Herman Schmermam, balletto diviso in due parti, è forse maggiormente interessante la seconda, con protagonista una coppia (Roberto Bolle e Marta Romagna nella serata a cui abbiamo assistito) impegnata in un passo a due forse d’amore, forse di contrasto o di scontro. Le nevrosi, le incomprensioni, l’assurdità, le gelosie, i desideri e le pulsioni insoddisfatte del rapporto di coppia sembrano essere i protagonisti del passo a due, costruito destrutturando il linguaggio della danza classica e ricombinandolo in un’espressione corporea nuova e di inusitata forza comunicativa. Il pezzo si conclude sorprendentemente con lo sfumare della luce su una delle posizioni più classiche del repertorio accademico e sul movimento evocativo della gonna gialla della danzatrice che si perde nel buio.

Speriamo che il pubblico milanese non debba aspettare troppo per rivedere i lavori del coreografo più talentuoso dei nostri tempi sul palcoscenico del suo maggiore teatro.  

Alessia Guadalupi

Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano, Archivio Fotografico del Teatro alla Scala

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