Quando e perché hai deciso di smettere di danzare e di dedicarti interamente all’insegnamento?
Quattro anni prima di smettere ho deciso e poi ho smesso definitivamente all’età di 38 anni. Potevo ancora ballare e ballavo ancora molto, ma continuare non avrebbe cambiato niente alla mia carriera. Avevo già iniziato a dare lezione nelle compagnie mentre ballavo ancora e sapevo che quella nuova strada mi aspettava. La mia decisione era già stata presa e non potevo più aspettare per dedicarmi interamente a questa nuova passione.
Le principali compagnie per cui lavori adesso?
Opéra di Parigi, Nederlands Dans Theatre, Semperoper di Dresda, Finnish National Ballet, Royal Swedish Ballet, Het Nationale Ballet, Norwegian National Ballet, Houston Ballet, Béjart Ballet Lausanne, Tokyo Ballet, Les Ballets de Monte-Carlo, Compañia Nacional de Danza de España, Stanislavski Theatre, École Supérieure de Danse de Cannes di Rosella Hightower, Prague National Ballet e poi insegno in molte scuole, fra cui il Royal Conservatoire of The Hague e la Houston Ballet School.
Il tuo lavoro ti porta a girare il mondo continuamente, senza sosta, è una cosa che ami questa o che ti crea difficoltà?
Sì, la amo, ma adesso mi crea problemi. Amo la mia carriera, vivere la sua passione attraverso l’insegnamento ed i viaggi, ma che senso ha se, alla fine, sei da solo e non puoi condividere le tue esperienze con la persona che vuoi avere vicino a te? Oggi dunque devo cambiare le mie priorità.
Non ti manca la danza dal punto di vista del ballerino? Parlo dell’adrenalina prima di entrare in scena, dell’emozione dei lunghi applausi del pubblico…
No, non mi manca, c’è un tempo per tutto. La porta ora è chiusa. Ho avuto delle proposte fino a due anni dopo aver finito la mia carriera di ballerino e ho sempre rifiutato senza rimpianti. Quello che mi manca è la fatica, il sudore, le prove, sbagliare e ricominciare per migliorare e le lunghe docce a fine giornata. Il riconoscimento del pubblico è stato sostituito da quello dei ballerini.
I tuoi ricordi più belli come ballerino…
Il ruolo di Saint-Loup nel passo a due dei due uomini del Proust, coreografia di Roland Petit; il ruolo del prigioniero in Swan Song, coreografia di Christopher Bruce; La Sylphide, di Peter Schaufuss dall’originale di Bournonville; Giselle, che è il balletto che mi piace di più; il ruolo dell’americano in Zorba il greco, accanto a Vladimir Vasiliev, e il ruolo di Lenski in Onegin di John Cranko. Ho avuto inoltre la possibilità di incontrare delle bellissime persone, come Christopher Bruce e Renato Zanella. Ho trascorso molto tempo con loro e mi sono trovato benissimo. Interessante, sebbene breve, è stato anche il mio incontro con Jiří Kylián, Maurice Béjart, Glen Tetley e Roland Petit.
Come si volge una tua lezione tipo?
Faccio in modo che il corpo immagazzini il maggior numero di informazioni possibili. Costruisco il mio corso facendo attenzione ad inserire una quantità di elementi che possano diventare dei riflessi quotidiani. Gioco molto sui cambiamenti di ritmo all’interno di uno stesso esercizio con accenti aperti o chiusi. Utilizzo molto il ritmo trattenuto e le accelerazioni per dinamizzare il movimento, che darà anche un attacco diverso al passo. Do molta importanza ai ports de bras e alla coordinazione. Le posizioni devono essere rispettate, poiché fanno parte integrante della tecnica al pari delle gambe. Servono a dare stabilità, a sostenere, ad aiutare gli spostamenti nello spazio, senza dimenticare che possono anche semplicemente abbellire le sequenze e tutto questo aiuterà a tenere svegli il corpo e l’attenzione dei danzatori.
La petite batterie che ormai sembra non essere più tanto utilizzata, ha un ruolo primario nel mio corso. Amo far lavorare la parte bassa delle gambe dei danzatori con doubles ronds de jambe, entrechats, brisés, brisés volés, petites cabrioles, ballottés, pas de bourrée courus, temps de cuisse, etc.
Mescolando questi passi fra loro con un minimo di inventiva e inserendovi i ports de bras e gli épaulements appropriati, si possono ottenere delle legazioni sottili che hanno presa sul corpo e sullo spirito dei danzatori. In più, questo tipo di combinazioni rappresentano un passo di transizione perfetto tra i piccoli salti e i sissonnes che si può già considerare un grand saut.
Il corpo è una macchina che può rompersi e cerco dunque di far riscaldare bene i danzatori e portarli fino alla fine della lezione evitando lo sforzo puro e duro.
Plié, placement, épaulements, respirazione, coordinazione, musicalità, buon umore, senso di responsabilità e un pizzico di fantasia sono gli ingredienti che utilizzo per portare a buon fine la mia missione.
Secondo te qual è la vera missione di un insegnante?
Per una scuola l’insegnante deve preparare ovviamente l’allievo con una tecnica forte, musicalità, coordinazione e dinamica, parlando delle sensazioni e comunicando la disciplina e il rispetto per gli altri. In una compagnia è diverso. L’insegnante si trova ad affrontare diversi fattori, a partire dalla scelta del giorno, ad esempio il lunedì è necessario dare una lezione adatta alla ripresa della settimana per rimettere il corpo in moto. Altro elemento da tenere in considerazione è lo stato fisico del ballerino, soprattutto in periodi di prove intense o quando ci sono più spettacoli. Altro aspetto importante è la durata della lezione. Con questi elementi l’insegnante deve gestire la sua classe e preparare il ballerino ad affrontare la sua giornata fisicamente e mentalmente.
Cosa cerchi di trasmettere in sala, oltre alla tecnica, e in che modo approcci i danzatori delle diverse compagnie per riuscire a trarre il massimo da loro?
Energia e la massima preparazione, con la tecnica della quale parlavo sopra, ed essere lì per tutti, con la voglia di fare del mio meglio al massimo.
Riscontri differenze fra un paese e l’altro nel modo di vedere la danza?
Le riscontro fra scuole, nel senso che ogni ballerino difende la propria scuola. Vedo tanti ballerini diversi e, quando si parla di danza, ognuno difende la scuola presso la quale si è formato e il proprio modo di ballare. All’inizio mi basavo molto sulla scuola francese, ma poi ho allargato i miei orizzonti ed ho iniziato ad inserire elementi tratti anche da altri tipi di insegnamento che potevo adattare alla mia lezione. Se vedo un ballerino che fa un esercizio secondo il metodo derivato dalla sua scuola, lo lascio fare, ma lo spingo sempre comunque a provare altro, in modo da accrescere il patrimonio delle sue conoscenze.
Sei stato tu a scegliere la danza o la danza ha scelto te? Credi si tratti davvero di una questione di scelte?
No. I miei hanno scelto prima di me e mi ci sono voluti alcuni anni per appassionarmici, poi, quando mi sono ritrovato nella scuola dell’Opéra di Parigi, ho scoperto il mondo della danza veramente e ho capito che era il mio destino. Non credo sia una questione di scelte, non ho scelto niente, è accaduto così, mi sono ritrovato in quell’ambiente e non avevo altra scelta che andare avanti senza più pensarci.
Parlando di scelte, se dovessi scegliere una vita diversa da quella che hai adesso, che vita sarebbe?
La stessa vita. Sono felice di vivere la mia passione, anche se non è sempre stato facile far fronte agli infortuni che ho avuto, che sono stati abbastanza gravi. Una volta ho dovuto smettere per otto mesi, un’altra volta per un anno e mezzo e poi ancora per tre e sei mesi. Quattro operazioni, tendini, ginocchio, piede e poi ho anche avuto problemi alla schiena. Mi sono sempre ripreso da solo, ma questi problemi mi sono anche serviti per oggi, nel modo di strutturare le mie classi. Rifarei tutto, il brutto e il bello, per arrivare a quello che faccio oggi.
Un commento conclusivo, qualcosa che vorresti dire…
Gli infortuni frequenti e l’età ci aspettano all’angolo, dunque per i ballerini giovani che decidono di non saltare o non fare lezione perché sono stanchi o semplicemente perché non hanno voglia dico: pensateci bene. Rispettate l’arte che servite e voi stessi con il valore del lavoro.
Lorena Coppola
Foto di Costin Radu e Kranich