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Danzare è stata la fortuna più grande: intervista ad Elisabetta Terabust

Elisabetta Terabust

Elisabetta Terabust nasce a Varese, frequenta la Scuola di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretta dalla scaligera Attilia Radice e, conseguito il diploma, entra a far parte del Corpo di ballo del Teatro, di cui diviene prima ballerina ed in seguito étoile. In questo periodo si perfeziona con il danese Erik Bruhn, con il quale danza nei pas de deux di “Don Chisciotte” e di “Infiorata a Genzano”; collabora col maestro Žarko Prebil di cui interpreta, tra gli altri, “Schiaccianoci” e “Cenerentola” e si esibisce in alcune creazioni del coreografo ungherese Aurel Milloss fra cui “Estri” su musiche di Goffredo Petrassi. Nel 1973 danza come prima ballerina nel “Ballet de Marseille” diretto da Roland Petit, che crea per lei “Schiaccianoci” e di cui interpreta “Le Loup”, “Carmen”, “Coppelia”, “Notre Dame de Paris”. Quindi si trasferisce a Londra dove avvia la sua collaborazione con il “London Festival Ballet”, oggi “English National Ballet”, consolidando la sua carriera internazionale e maturando la sua sensibilità di interprete contemporanea. Infatti, oltre ad affrontare i balletti del repertorio classico (da “Il lago dei cigni” a “La Sylphide”), Terabust rivela speciale duttilità esibendosi nei lavori di autori più attuali come Glen Tetley (Sphinx, Greening), Barry Moreland, John Cranko (Onegin) e George Balanchine. Negli anni Ottanta torna in Italia come “étoile” ospite dell’Aterballetto, dove è protagonista di molti lavori di Amedeo Amodio, di William Forsythe, di Alvin Ailey e di Balanchine. Dirige dal 1990 al 1992 il Corpo di Ballo dell’Opera di Roma; dal 1993 al 1997 quello del Teatro alla Scala; dal 2000 al 2002 il MaggioDanza, compagnia stabile del Maggio Musicale Fiorentino; dal 2002 al 2006 il ballo al Teatro San Carlo di Napoli. Nel 2007 torna di nuovo, per breve tempo, alla direzione del corpo di ballo milanese. Ha svolto una proficua attività di “talent scout” lanciando numerosi giovani talenti tra cui Massimo Murru e Roberto Bolle. Attualmente ricopre la carica di direttrice onoraria della Scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.

Gentile signora Terabust, nella sua vita ha avuto tanti incontri straordinari con uomini e donne di cultura e d’arte, non solo nel campo della danza e del balletto, chi ricorda con maggior gioia e arricchimento personale?
Sono stata molto fortunata perché nel corso della mia carriera ho incontrato tante personalità del mondo della cultura e dell’arte. Se devo citarne una in particolare, mi viene in mente lo scultore Giacomo Manzù, un artista interessantissimo, oltre che un uomo di grande cultura. Manzù aveva collaborato con Milloss durante la sua direzione del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Ricordo, come ho avuto modo di raccontare già nel libro che mi ha dedicato Emanuele Burrafato, il periodo di preparazione dello spettacolo “La Follia di Orlando” del 1967, in cui danzavo, tra gli altri, con Amedeo Amodio e Giancarlo Vantaggio. Manzù aveva realizzato scenografie e costumi ed era stato a stretto contatto con i ballerini durante tutto il periodo di prove, è stato un notevole stimolo per tutti noi.

La danza non è solo un fatto tecnico ma è molto di più? Cervello, sentimento, pensiero… è d’accordo?
Sono perfettamente d’accordo, la tecnica è alla base di tutto, ma per danzare bene occorrono anche tanti altri elementi. Il vero artista lo riconosci dalle emozioni che trasmette.

A suo avviso, a parte le doti fisiche e tecniche, quale espressione del suo carattere l’ha più aiutata ad emergere ed affermarsi come una tra le migliori danzatrici?
Penso il lavoro, la determinazione e l’umiltà, tutta la mia carriera è stata contraddistinta da questi elementi. Credo molto nel lavoro e nell’impegno, il lavoro ripaga sempre.

Mi racconta com’è entrata la danza nella sua vita?
Ho sempre danzato, fin da piccolissima improvvisavo spettacoli di danza nel salotto di casa e la mia famiglia mi ha sempre sostenuto, soprattutto mio padre. Era un appassionato di musica e di danza e uno dei suoi sogni era sempre stato quello di avere una figlia ballerina. Ha fatto di tutto perché potessi dedicarmi seriamente a questa passione, fin dal principio, informandosi e ricercando la scuola che potesse assicurarmi la formazione migliore.

C’è stato un momento preciso in cui ha detto: diventerò étoile?
Quando da ragazzina, molto piccola, andavo a piedi da casa alla scuola di ballo, durante tutto il tragitto immaginavo di ballare sul palcoscenico e interpretare grandi ruoli, ed ero felice. E in quei momenti pensavo: “Voglio diventare una grande ballerina”.

Prima di andare in scena seguiva dei riti o delle scaramanzie, come per la maggior parte degli artisti?
Non sono mai stata scaramantica, però avevo un rituale che seguivo prima di ogni spettacolo: la sistemazione accurata del camerino e la disposizione degli oggetti sul tavolo. Le forcine sempre a destra, i trucchi a sinistra, le punte sistemate in un certo modo, ecc. Questo mi faceva sentire più tranquilla.

Chi ha inciso di più nel suo percorso formativo ed artistico poi?
Tutti gli incontri che ho avuto sono stati importanti e tutti mi hanno arricchito, tra questi c’è Roland Petit. Trovo che i suoi personaggi femminili siano complessi e nello stesso tempo affascinanti da interpretare, perché danno la possibilità di esprimere molteplici sfaccettature dell’animo umano. Ho avuto modo di danzare quasi tutti i suoi ruoli più importanti, lo ringrazio ancora e lo considero un genio.

A suo avviso quali sono le maggiori difficoltà nel dirigere un Corpo di Ballo?
Questo è un discorso complesso, sicuramente il sistema burocratico, troppo spesso e troppo orientato ad obiettivi più economici che di qualità artistica.

La sua più grande soddisfazione nelle vesti di direttrice e in quelle di ballerina?
Nelle vesti di direttrice l’investimento che ho fatto su tanti giovani, la soddisfazione che ho avuto nel vederli crescere artisticamente e nell’interpretare i loro primi ruoli. Senza parlare della gioia che ho percepito durante le prove, lavorando a stretto contatto con tutta la compagnia, sia solisti e primi ballerini, che corpo di ballo. La soddisfazione come ballerina è stata quella di danzare, punto e basta. Considero questo come la fortuna più grande della mia vita.

Tra i vari personaggi interpretati, a quale si è sentita più vicina, per affinità elettiva?
Come dicevo prima tutti i ruoli femminili tragici e appassionati. Come sosteneva Roland Petit: “Non c’è niente di meglio che una storia d’amore e morte”.

Gli anni trascorsi alla Scala sono stati molto impegnativi?
Impegnativi, ma bellissimi, in quel momento ho avuto la possibilità di fare dei grandi investimenti nel corpo di ballo e di perseguire delle scelte e degli obiettivi che sono poi stati riconosciuti e si sono rivelati vincenti. Ma soddisfazioni ne ho avute anche negli altri corpi di ballo che ho diretto.

Cosa l’aveva particolarmente colpita in Roberto Bolle e Massimo Murru? Buona parte del loro successo lo devono anche a lei…
E loro questo lo ricordano sempre e mi ricordano sempre con affetto. Sono stata colpita dal loro talento, un talento evidente agli occhi di tutti. Li ho conosciuti entrambi molto giovani e ho fatto tutto quello che ho potuto per aiutarli. Sono due danzatori molto diversi, che proprio per questo possono coprire un arco di repertorio assai vasto.

Secondo lei il talento cos’è e come si riconosce?
Lo dico sempre, il talento lo si riconosce subito, immediatamente. È quel qualcosa che ti fa notare un danzatore ancor prima che questi si muova e purtroppo è anche qualcosa che “non si può imparare e non si può insegnare”.

Da un po’ di tempo si assiste, nella danza, ad una rilettura in chiave contemporanea di molti classici, qual è il suo pensiero su queste operazioni?
Non si può generalizzare, dipende da caso a caso, la “Giselle” di Mats Ek ad esempio è un capolavoro.

Che cosa le fanno venire in mente le parole “rigore e disciplina”?
Mi fanno venire in mente tutta la mia vita (ride).

Per molti danzatori la danza è sacrificio e per molti altri è solo passione… per lei la danza in termini di rinunce cosa ha rappresentato?
Per me non è possibile parlare di rinunce, ho avuto la possibilità di seguire il mio sogno e questo non ha prezzo. Sono grata per quello che ho avuto e provo solo una grande riconoscenza. Auguro a tutti i giovani la fortuna di poter vivere di una passione.

Oggi cosa la emoziona in particolare?
Gli artisti, e non solo di danza, che trasmettono una grande emozione, quell’emozione che fa bene al cuore e che ti fa alzare commosso e felice dopo uno spettacolo.

 

Michele Olivieri
Foto: Archivio
www.giornaledelladanza.com

 

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