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“Impingement” posteriore della caviglia: quando diventa difficile stendere la punta

Con la parola “impingement” si indica un ostacolo, un “blocco” del movimento a livello di una articolazione: molto comune tra gli sportivi, ad esempio, è la limitazione dell’articolarità della spalla, particolarmente frequente tra i lanciatori. Nella pratica di qualsiasi forma di danza, l’uso costante del movimento di flessione plantare del piede ai gradi estremi (punta tesa) può essere la causa di una particolare forma di “impingement” localizzato, appunto, nella regione posteriore della caviglia. Descritta come sindrome tipica dei danzatori in moltissimi studi ed indagini statistiche, viene spesso associata all’uso delle scarpette da punta e quindi vista come una patologia tipicamente femminile e più frequente in chi pratica la danza classica: in realtà molti danzatori, sia maschi che femmine, sia classici che contemporanei, accusano frequentemente segni di “attrito” nella parte posteriore della caviglia e, più precisamente, nello spazio compreso tra il tendine d’Achille ed il calcagno.

Non è possibile parlare di questa patologia senza prendere in considerazione, innanzi tutto, la struttura anatomica del complesso caviglia-piede e senza accennare, poi, agli inutili e spesso dannosi espedienti che moltissimi danzatori continuano a mettere in atto nel tentativo di migliorare l’aspetto estetico del loro “collo del piede”. L’articolazione della caviglia rappresenta il punto di contatto tra lo scheletro della gamba e quello del piede: la tibia ed il perone terminano con i due malleoli e insieme formano una specie di “tenaglia”, detta appunto pinza malleolare, che accoglie ed “abbraccia” il corpo dell’astragalo, una delle sette ossa del tarso. Nella complessa struttura del piede, il tarso rappresenta la parte posteriore, al centro abbiamo i cinque metatarsi e poi, anteriormente, le falangi che formano lo scheletro delle dita.

L’astragalo è l’osso disposto più in alto di tutto il tarso: si trova infatti sopra il calcagno, l’osso che corrisponde al tallone e che funge da appoggio posteriore del piede e può compiere movimenti in avanti e in dietro, “dondolando” all’interno della pinza malleolare; in questo modo il piede può muoversi in flessione dorsale (la posizione che i danzatori chiamano “flex”) ed in flessione plantare, il movimento che serve per stendere la punta. A proposito dei movimenti della caviglia è interessante notare che sull’astragalo non trova inserzione nessun muscolo: questo osso si sposta, dunque, grazie al movimento impresso dai muscoli alle altre ossa del piede.

Tale considerazione ci sarà utile per spiegare, in seguito, il meccanismo di insorgenza dell’impingment posteriore. Il cosiddetto “collo del piede” corrisponde, antomicamente, alle porzioni del tarso e dei metatarsi: la maggiore o minore mobilità di queste componenti scheletriche dipende da innumerevoli fattori quali il tipo di piede (normale, cavo, piatto), dalla lassità capsulo-legamentosa delle strutture interessate, ma anche da un corretto uso della muscolatura.

Se osserviamo con attenzione il margine posteriore del corpo dell’astragalo, vediamo che questo presenta una sporgenza, detta tubercolo posteriore che, nella maggior parte delle persone, si unisce al resto del’osso tra i nove ed i dodici anni di età (Kadel et al., 2000): in una certa percentuale di persone, tuttavia, questo tubercolo resta separato dal resto dell’osso e prende il nome di os trigonum, a causa della sua forma vagamente triangolare; in altri soggetti, invece, quando il tubercolo posteriore dell’astragalo è particolarmente grande ed “ingombrante”, viene definito come processo di Stieda (Clippinger, 2007).

In presenza delle due condizioni sopra descritte, quando il danzatore forza il movimento di massima flessione plantare, la porzione posteriore della capsula articolare della caviglia ed i tessuti molli adiacenti possono essere bruscamente compressi contro il margine posteriore della tibia dando origine, appunto, ad una limitazione della mobilità articolare. Tale situazione si verifica soprattutto se, per stendere la punta, viene utilizzata prevalentemente la contrazione del muscolo tricipite surale: la brusca sollecitazione del tendine d’Achille, infatti, richiama troppo velocemente indietro il calcagno e l’astragalo si blocca all’interno della pinza mentre la presenza dell’os trigonum o del processo di Stieda comprime ulteriormente capsula e tendini posteriori.

Spesso il danzatore comicia ad osservare che “un piede si tira più dell’altro” , poi comincia a sentire “fastidio” e dolenzia diffusa nella zona intorno al tallone ed al tendine d’Achille, tutte le volte che tenta di compiere il movimento di flessione plantare del piede, sia senza carico (tendu, jeté, ecc.) che, soprattutto,  sotto carico (relevé). La posizione di massima flessione plantare diventa sempre più difficle da raggiungere e sempre più dolorosa: il paziente spesso indica con precisione la zona in cui sente il “blocco” e, alla palpazione, la zona colpita può avere una consistenza pastosa rispetto alla controlaterale.

La diagnosi si basa sull’esame obiettivo e sulla conferma della presenza di un os trigonum o di un processo di Stieda tramite una radiografia del piede in proiezione laterale; nella maggior parte dei casi altri tipi di accertamenti diagnostici non sono necessari. L’esperienza tuttavia mi obbliga a fare una considerazione: se si vuole avere la certezza di essere in presenza di una sindrome da “impingement” posteriore della caviglia,  gli esami radiografici dovrebbero essere sempre visionati da personale sanitario esperto in “patologie da danza”.

I referti radiografici, infatti, solitamente non considerano patologiche le diverse forme dell’astragalo per cui descrivono come “normali” le varianti anatomiche legate alla presenza dell’os trigonum e del processo di Stieda: anche in presenza di un referto radiografico totalmente negativo, dunque, soltanto lo specialista che conosce il lavoro del piede del danzatore è in grado di poter fare una corretta diagnosi.

Il trattamento conservativo si avvale innanzi tutto del cosiddetto “riposo attivo” cioè della sospensione della danza oppure, nei casi più lievi, del movimento di relevé durante la lezione associato all’uso di farmaci anti-infiammatori ea alla fisioterapia. In quest’ambito, è fondamentale che il danzatore prenda coscienza del suo modo di tirare la punta, soprattutto quando il movimento avviene fuori carico (tendu): come è stato accennato brevemente in precedenza, vanno immediatamente sospese tutte le pratiche di “forzatura” del movimento di flessione plantare con l’uso di resistenze esterne (mobili bassi, termosifoni, ecc.) in quanto, lungi dal poter essere utili per migliorare il “collo del piede”, sottopongono i tendini dei muscoli posteriori della gamba ad uno sforzo eccessivo che aumenta soltanto il rischio di infiammazione e, se prolungate nel tempo, possono condurre a lesioni da stress di alcune ossa del tarso.

Con l’aiuto di personale specializzato, invece, bisognerebbe intraprendere un percorso di rieducazione della mobilità del piede per cui il movimento di flessione plantare fuori carico viene ottenuto prevalentemente attraverso l’attivazione della muscolatura profonda (flessore comune delle dita, flessore lungo dell’alluce e tibiale posteriore) cui segue, al termine dell’escursione articolare ottenuta, una moderata attivazione del tricipite surale: in questo modo, l’attenzione del danzatore che tira la punta viene posta non più sul calcagno che sale verso la tibia ma sulla parte anteriore del “collo del piede”, in modo che il corpo dell’astragalo abbia il tempo e lo spazio per disporsi verticalmente rispetto all’asse della gamba, senza eccessive compressioni nella zona posteriore della caviglia.

Nella maggioranza dei casi questo lavoro di “rieducazione al movimento” permette al danzatore di risolvere i sintomi di “impingement”: in casi selezionati, ovvero in danzatori professinisti che non hanno ottenuto alcun giovamento dal trattamento conservativo, alcuni Autori suggeriscono l’asportazione chirurgica dell’os trigonum (Brodsky e Khalil, 1986; Weiker, 1988; Marotta e Micheli, 1992). Tale procedura, tuttavia, deve essere comunque accompagnata da un percorso riabilitativo e rieducativo della mobilità della caviglia, se si vuole che il danzatore ritorni ad eseguire il movimento di massima flessione plantare senza problemi.

 

 Dott.ssa Luana Poggini 

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