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Medicina e Danza Estate – Le basi anatomiche e fisiologiche dell’en dehors

posizioni

Articolo del 20.02.2013

Con il termine en dehors, che letteralmente significa “in fuori”, si intende il movimento di rotazione esterna dell’anca capace di modificare l’orientamento dell’intero arto inferiore, in modo che le dita del piede si trovino a guardare lateralmente e non in avanti. Questo atteggiamento è alla base di tutti i movimenti della danza classica e permette di eseguire le cinque posizioni base dei piedi.

Una buona esecuzione dell’en dehors fa parte della corretta impostazione degli studenti di danza e ne condiziona il raggiungimento della maggioranza degli obiettivi sia tecnici che artistici; dal punto di vista medico, inoltre, la difficoltà ad eseguire adeguatamente il movimento in questione rappresenta la principale causa di rischio per l’insorgenza di un elevato numero di patologie da sovraccarico funzionale dell’arto inferiore. In questo articolo ci soffermeremo ad analizzare quali sono le condizioni che consentono di ottenere un corretto en dehors mentre, nel prossimo articolo, porteremo l’attenzione su tutte le problematiche legate alla limitazione della rotazione esterna delle anche (en dehors forzato o overturn).

L’ampiezza del movimento di rotazione esterna dell’anca è diverso da individuo ad individuo ed è strettamente legato ad innumerevoli fattori sia strutturali che funzionali:

a)    Posizione del bacino: l’acetabolo, situato sulla faccia esterna del bacino all’unione di ileo  ischio e pube, è la cavità a forma di “coppa” all’interno della quale la testa del femore deve ruotare. Il suo orientamento nello spazio cambia, ovviamente, con i movimenti del bacino stesso: affinchè la testa del femore possa compiere agevolmente la rotazione esterna, il bacino deve essere mantenuto in posizione neutra ovvero né inclinato in avanti né in dietro .

La posizione neutra del bacino prevede, infatti, che i muscoli  del tronco (addominali e dorsali) siano attivati e lavorino in sinergia con i muscoli del pavimento pelvico e con il diaframma: in questo modo il carico che grava sulle teste femorali viene ridotto e si crea la condizione ottimale per favorirne la mobilità.

b)    Angolo di antiversione del femore: la testa del femore ha la forma di una sfera ed è orientata in alto, in dentro ed in avanti rispetto al piano frontale. Ciò vuol dire che quando un soggetto è sdraiato in posizione supina, la testa del femore non  è parallela al pavimeto ma guarda leggermente verso il soffitto e forma, con la base d’appoggio, un angolo detto appunto angolo di antiversione del femore, che può variare tra i 10° ed i 30° .

L’ampiezza di quest’angolo è inversamente proporzionale alla capacità di ruotare l’anca in fuori: sono definiti “naturalmente dotati” per lo studio della danza classica i soggetti che, avendo un angolo di antiversione di circa 10°, riescono a portare senza sforzo i piedi a 180° tra di loro. I soggetti che hanno un  angolo di antiversione più ampio (circa 30°), invece, non saranno in grado di portare i piedi in fuori orientandoli esattamente a 180° tra di loro senza mettere in atto movimenti compensatori a carico del ginocchio e del piede. L’uso costante di questo tipo di movimento forzato rappresenta una delle più importanti cause di patolgie da sovraccarico della colonna vertebrale e dell’arto inferiore associate allo studio della danza classica. Per questo motivo è di fondamentale importanza che gli Insegnanti di danza insegnino ai loro allievi, fin da piccoli, a lavorare nel rispetto del loro “en dehors fisiologico”: le dita dei piedi guardano nella direzione consentita dal movimento dell’anca ed il centro della rotula corrisponde costantemente al secondo dito del piede.

È chiaro che utilizzare questo tipo di approccio al movimento non vuol dire “arrendersi” in partenza e non cercare di migliorare il proprio en dehors: quello che va comunque chiarito è che la componente scheletrica non può essere modificata con l’allenamento e che gli sforzi del danzatore devono essere focalizzati  all’ottimizzazione del lavoro muscolare e del controllo propriocettivo ottenendo così il miglior en dehors possibile, senza forzare l’articolazione dell’anca oltre i limiti consentiti.

c)    Attivazione dei muscoli rotatori profondi dell’anca: tradizionalmente, nella maggior parte delle  classi di danza, la rotazione esterna delle anche è associata alla contrazione dei muscoli glutei e, più specificamente, all’azione del muscolo grande gluteo, il più ampio ed il più superficiale dei tre muscoli glutei. Dal punto di vista funzionale, invece, per poter eseguire il movimento di rotazione esterna dell’anca in tutta l’ampiezza consentita dalle strutture  scheletriche descritte in precedenza, è necessario che i muscoli rotatori agiscano secondo una sequenza ben precisa. La fase iniziale della rotazione esterna dell’anca è data dalla contrazione dei muscoli pelvi-trocanterici, sei piccoli muscoli profondi che si trovano sotto ai glutei sulla faccia posteriore del bacino e che, con andamento quasi orizzontale, connettono lo scheletro della pelvi  al grande trocantere del femore .                   

La contrazione del muscolo grande gluteo, mai massiva ma mirata soltanto a “mantenere” la testa del femore in rotazione esterna, serve soprattutto  a stabilizzare la posizione raggiunta grazie all’azione dei muscoli profondi. È di fondamenale importanza notare che, se il muscolo grande gluteo si contrae per primo, blocca il movimento di rotazione esterna dell’anca spostando l’intero bacino in retroversione.

A questo punto del discorso bisogna chiarire che quando si parla di en dehors non ci si riferice ad una “posizione”  ma ad un “movimento”: ciò vuol dire che una volta raggiunto il risultato (la punta dei piedi rivolta in fuori), questo va anche mantenuto. Per questo è necessario utilizzare l’azione dei muscoli adduttori dell’anca  che attraggono la faccia interna di una coscia verso la controlaterale come una calamita e la spinta della pianta del piede al suolo che “respinge” il pavimento  coinvolgendo l’intero arto inferiore nel lavoro, come un cavatappi piantato nel pavimento.

Da tutto quanto è stato detto fino ad ora risulta chiaro che ogni danzatore dovrà essere cosciente, fin dai primi anni di studio, della propria abilità di ruotare esternamente le anche, soffermandosi non soltanto sull’ampiezza globale del movimento ma anche sulle possibili differenze di mobilità tra un’anca e l’altra che sono tutt’altro che rare e condizionano comunque l’esecuzione delle posizioni dei piedi. Tra tutti i tipi di test proposti per la valutazione della rotazione esterna delle anche, crediamo che quello più affidabile e  semplice da eseguire  sia il test passivo in posizione prona in cui è appunto l’insegnante o il fisioterapista che, a soggetto completamente rilassato, sposta l’arto inferiore con il ginocchio flesso a 90° in dentro e in fuori  con la gamba che si muove come l’asta di un  metronomo.

Questa semplice manovra potrà evidenziare la presenza di un movimento ampio e fluido nei soggetti “naturalmente ruotati” oppure un arresto precoce del movimento di rotazione esterna dell’anca con diversi tipi di resistenza al tentativo di continuare il movimento stesso: in quest’ultimo caso l’Insegnante di danza dovrà sorvegliare con particolare attenzione che l’allievo non prenda l’abitudine di compensare la carenza di rotazione dell’anca costruendo il movimento di en dehors dal basso verso l’alto, utilizzando compensi a livello del ginocchio e del piede. Soltanto così, infatti, l’allineamento dell’arto inferiore sarà rispettato senza produrre sforzi eccessivi a carico di tutte le sue articolazioni.

 

Dott.ssa Luana Poggini

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