Raramente un balletto interpretativamente difficile come l’Onegin di John Cranko riesce a offrire una serata indimenticabile come quella cui abbiamo assistito alla Scala.
L’Onegin in danza è il dramma dell’amore impossibile, inespresso e insoddisfatto. Nel poema in versi di Puskin, dominante è l’affresco sociale della ricca borghesia russa e del vuoto di valori che ne domina la vita; nel balletto l’aspetto sociologico si perde, facendo emergere la pura dinamica dei sentimenti dei protagonisti. Evgenij e Tatiana vivono un amore drammaticamente impossibile prima per l’egoismo e la superficialità di lui, poi per l’orgoglio di lei (è infatti principalmente per un senso altissimo di orgoglio e per il sottile piacere di una suprema “vendetta” femminile, e non per il senso del dovere e delle convenienze sociali, che Tatiana nel finale non si concede a Onegin, lottando strenuamente con i propri sentimenti). La coreografia di Cranko gode di alcune invenzioni molto belle (il gioco degli specchi nel primo atto, prima quando Tatiana si innamora di Evgenij appena questi le appare nello specchio in cui si sta guardando, e poi in camera da letto, quando l’amato – in realtà l’“idea” dell’amato – esce dallo specchio per entrare potentemente nei sogni di Tatiana: e qui essa balla “da sola”, con la propria ossessione. O gesti coreografici come le braccia di Evgenij che circondano una Tatiana di ghiaccio nel terzo atto e ne percorrono il corpo in un desiderio carnale che rimarrà insoddisfatto). Ma la costruzione coreografica del balletto non basta da sola a farne un capolavoro, se mancano le personalità che rendono convincenti i personaggi: la forza dell’Onegin di Cranko sta tutta negli interpreti.
Nella serata del 15 ottobre le caratteristiche dei ballerini erano perfettamente calibrate sui ruoli: fresca, giovane e spensierata Daniela Cavalleri come Olga; romantico, appassionato e idealista Antonino Sutera come Lenskij. Maria Eichwald è un’interprete sicura nel ruolo, autorevole sulla scena, bravissima nel cesellare le sfumature psicologiche di Tatiana nell’evolversi della storia. Ma su tutti ha dominato l’interpretazione magistrale di Roberto Bolle in Onegin: supremamente indifferente, annoiato, superbo, superficiale ma irresistibilmente affascinante nel primo atto: tormentato, pentito e sensualissimo nel terzo, quando supplica Tatiana di concedergli il suo amore. Aiutato sicuramente dal perfetto physique du rôle, Bolle ha superato ogni aspettativa per questo debutto, dominando la scena dall’inizio alla fine e scolpendosi nel cuore degli spettatori come un Onegin indimenticabile.
Alessia Guadalupi