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José Perez: “Cerco sempre di entrare nella verità, mi piace la narrazione realistica”

 

José Perez, artista poliedrico che ha diviso la sua carriera tra teatro e televisione, attualmente è in scena al Teatro San Carlo di Napoli in “Otello” di Fabrizio Monterverde, che lo vede impegnato in un ruolo nel quale riesce ad esprimere al massimo la sua sensibilità e pienezza artistica. Il giornaledelladanza ha seguito molto da vicino l’allestimento partenopeo di questa produzione, dedicandovi un servizio fotografico specificamente realizzato nella fase di prove e vari approfondimenti. In questa intervista esclusiva José Perez, protagonista della rilettura shakespeariana di Monteverde, si racconta in esclusiva al giornaledelladanza.com

Sei attualmente in scena al Teatro San Carlo di Napoli con Otello, di Fabrizio Monteverde. Quanto ti senti Otello?

Mi sento molto nel ruolo, perché comunque l’ho già danzato tre anni fa con il Balletto di Roma. È un ruolo che richiede che io debba essere molto presente, molto fisico, ma, nello stesso tempo, anche una persona delicata nell’amore, diviso tra la dolcezza del sentimento e la forte gelosia. Cerco di dare il massimo di me e di rendere il personaggio nel modo giusto. In questo mi aiuta anche il colore della pelle, Otello è un moro. 

Il tuo approccio al ruolo è più sul piano tecnico o più sul piano emotivo?

Molto emotivo, la tecnica c’è, perché è acquisita come base di studio e consolidata in tanti anni di esperienza, ma la cosa più importante per me è far arrivare al pubblico l’emozione e la storia, far percepire con chiarezza quello che si sta raccontando con i movimenti di danza. Ciò che mi motiva di più è proprio questo, la narrazione, raccontare la storia.

Otello è il dramma della gelosia, che cos’è per te questo sentimento?

La gelosia oggi è un dramma molto attuale. È un sentimento che può portare a uccidere e in questo il lavoro di Monteverde è attualissimo. Personalmente, credo sia naturale provare gelosia quando si ama, ma non deve diventare un’ossessione. Quando diventa eccessiva, si arriva a un punto in cui non si riesce più a ragionare e questo è ciò che accade esattamente nella coreografia, la confusione che crea Jago con Cassio, che porta poi all’uccisione di Desdemona.

Fabrizio Monteverde in quest’opera ha voluto tratteggiare il senso del sottile confine tra bene e male, la cui linea di demarcazione non è nettamente definita, qual è la tua personale interpretazione di questo eterno conflitto tra i due opposti, come cerchi di renderlo in scena?

Io concordo perfettamente con l’idea di Fabrizio, in tutta l’opera vi è una sorta di dualismo che vivo anch’io come personaggio. Otello ama molto Desdemona e le dà fiducia, ma la gelosia lo rende estremo, io riesco ad esprimere in danza questa duplicità in tutta la narrazione coreografica, ad esempio quando mando via Cassio con dei gesti forti o nel passo a due con Jago in cui gli dimostro la mia forza, ma al tempo stesso rivelo i miei tratti più umani. Allo stesso modo, nel rapporto con Desdemona, emerge una parte tenera in contrapposizione alla forte gelosia e nel passo a due vi sono molti movimenti morbidi che esprimono il sentimento, bilanciati da gesti forti, come, ad esempio, il momento in cui le metto le mani alla gola. Quest’alternanza di contrasti è molto presente in tutta l’opera, io riesco a sentirla molto bene e di conseguenza a interpretarla.

Già in prova esprimevi perfettamente tutte le emozioni del lavoro di Monteverde ed eri completamente a tuo agio con il suo stile coreografico e con la sua chiave di interpretazione. Se dovessi esprimere una preferenza, vi è uno stile coreografico che prediligi, che senti stilisticamente più vicino a te?

Non ho una preferenza specifica, ho lavorato con tanti coreografi diversi. Stilisticamente, mi piacciono molto i ruoli in cui si racconta una storia, Don Chisciotte, Il Lago dei Cigni, balletti di repertorio con una forte trama narrativa. Amo molto anche i balletti attuali che raccontano la vita di oggi, come La Bisbetica Domata di John Cranko, Shéhérazade di Gheorghe Iancu, l’Aida di Zeffirelli e mi piace tanto anche la Carmen di Luciano Cannito, con l’ambientazione dei rifugiati di Lampedusa. Sono storie vere e io cerco sempre di entrare nella verità, mi piace molto la narrazione realistica.

Pensi di intraprendere tu stesso un giorno una carriera di coreografo, oltre che di ballerino?

Mi piacerebbe, non è detto che non accada. Credo che molti danzatori, quando finiscono di ballare, vogliano fare una carriera diversa, dedicarsi all’insegnamento o alla coreografia, perché no? Credo sia importante che chi conosce bene il mestiere della danza possa poi continuare la sua carriera in un  altro modo. Se un domani dovesse presentarsi per me l’occasione di diventare coreografo o direttore, rispettando sempre i ruoli, mi farebbe certamente piacere.

Sei tornato al teatro dopo tanti anni di esperienza televisiva, in quale dimensione ti senti più te stesso?

Per me non vi è differenza. Ho sempre detto che per me televisione e teatro sono la stessa cosa dal punto di vista della mia danza. Io danzo sempre con professionalità e passione, ciò che cambia è solo ciò che ho intorno, un palcoscenico o uno studio televisivo. Un palcoscenico è composto da quinte e orchestra, uno studio televisivo ha dei led, tanti monitor ed un’atmosfera molto diversa data dal fatto che ci sono milioni di persone che ti guardano.

La tua carriera artistica ha dunque abbracciato più ambiti, ma vi è un ulteriore traguardo artistico a cui aspiri, qualcosa che senti di dover ancora realizzare?

Ho lavorato in molti teatri in molte nazioni diverse, Germania, Scozia, Inghilterra e in tanti altri Paesi. Se facciamo riferimento all’Italia in senso stretto, posso dire che ho avuto delle occasioni mancate, anche se ho danzato in molti teatri, al Teatro Massimo di Palermo, al Maggio Musicale Fiorentino, dove sono stato ospite per tre anni sotto la direzione di Florence Clerc e Giorgio Mancini, poi ho ballato nell’Aida di Iancu all’Arena Sferisterio Macerata nel 2006, al Bellini di Catania in Romeo e Giulietta con Abbagnato un paio di anni fa e adesso al Teatro San Carlo di Napoli.  Qualche tempo fa mi avevano chiamato al Teatro dell’Opera di Roma a danzare, ma non fu possibile perché ero ancora in trasmissione, poi avrei dovuto danzare nell’Aida di Muti ed è stato impossibile per i problemi che si sono verificati in teatro per quella produzione, queste sono state due occasioni mancate. Se resterò ancora in forma, un giorno mi piacerebbe essere invitato all’Opera di Roma o alla Scala di Milano e spero di continuare ad avere belle esperienze fino a quando il mio corpo e la mia mente, con molta umiltà, non sentiranno di dire basta.  

Qual è l’aggettivo che ti descrive meglio come uomo al di fuori della scena?

Sono una persona tranquilla, che si adatta a tutto, questa è un po’ la mia caratteristica. Viaggiando tanto, anche al di fuori della danza, riesco ad adattarmi a tutto. Oggi sono a Napoli, domani posso essere a Firenze, poi in Brasile, a Cuba… questo presuppone una capacità di adattamento che non è da tutti, io riesco invece ad adattarmi molto bene.

Nonostante la tua grande notorietà, sei riuscito a conservare un’umiltà che ti contraddistingue, una dimensione molto umana che ti caratterizza molto…

Provengo da una famiglia molto umile, da un Paese dove ho dovuto imparare a vivere ed ho dovuto sacrificarmi, affrontare molte difficoltà, anche economiche. Oggi che sono conosciuto, grazie alla mia carriera, credo che sia inutile darsi delle arie, perché l’età arriva per tutti e prima o poi le luci dei riflettori non ci saranno più, a quel punto ciò che voglio resti è proprio il senso umano. Non mi piace l’idea di vantarsi, di trattare la gente con sufficienza, di vivere di preconcetti, sono nato nudo, come tutti gli altri e quello che ho avuto nella vita l’ho conquistato con sacrificio, perciò sono una persona semplice. Anche quando sono per strada, cerco di parlare con tutti, di relazionarmi a tutti, sono molto tranquillo, molto alla mano e mi piace che anche gli altri lo siano con me.    

Progetti futuri? Qual è il tuo prossimo impegno?

Stiamo lavorando a un reality che sarà distribuito su rete nazionale, rivolto ai ragazzi dai 6 ai 16 anni, per ricercare dei talenti; non posso anticipare null’altro in merito, ma ci sarà questo progetto. Poi ho altri progetti in teatro, il problema è cercare di incastrare tutti gli impegni, ma spero di riuscirci.

Un messaggio per le nuove generazioni di danzatori

Cercate di essere voi stessi. La cosa fondamentale è lavorare con dedizione e disciplina. Se si ha la disciplina, si riesce ad ottenere tutto, senza disciplina non si è concentrati e non si arriva da nessuna parte. Per raccogliere è necessario seminare, se si vuol fare il danzatore, bisogna farlo seriamente, ciò che si fa nelle ore che si trascorrono in sala va fatto con molta attenzione.

 Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Foto © Esclusiva Giornale della Danza

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