Elerz e Zulnida di Louis Henry (Milano, Teatro alla Scala, 6 maggio 1826). Musica di Cesare Pugni. Interpreti principali: Antonia Pallerini e Nicola Molinari. Scene di Alessandro Sanquirico.
Nel 1844, in Studi sulle arti imitatrici, Carlo Blasis scrive che il genere “detto romantico”, “introdotto da venti anni a questa parte in ogni ramo di letteratura, ha confuso tutti i generi e ne ha fatto un genere misto”. Questa frase desta grande curiosità, se si considera che la storiografia della danza è concorde nell’attribuire l’avvio del balletto romantico francese agli inizi degli anni Trenta, più precisamente alla prima de La Sylphide (1832) o al suo prodromo Le Ballet des nonnes damnées (1831).
Il balletto di cui parleremo in questa sede, Elerz e Zulnida (1826), testimonia, invece, come la sensibilità romantica serpeggi da tempo nell’ambiente ballettistico francese stimolata dai testi shakespeariani, dalle tragedie di Friedrich Schiller, oltre che dagli innovativi racconti di Charles Nodier, autore di Trilby Il folletto di Argail (1822), a cui è ispirato La Sylphide. Ne avevamo dato informazione già in una puntata precedente del giornaledelladanza.com (25/10/2015), quando avevamo posto l’attenzione sul Balletto delle suore dannate (Ballet des nonnes damnées).
Elerz e Zulnida, “azione mimica di carattere”, fu composto da Louis Henry, coreografo francese che, come Jean-Pierre Aumer, aveva all’attivo numerosi lavori avanguardistici calati in ambientazioni particolarmente originali. Nel libretto il coreografo mette in evidenza come il soggetto tragga ispirazione da una novella svedese manoscritta depositata nel 1784 alla Biblioteca Reale di Parigi, ma al contempo sottolinea che l’esigenza di dare colore e spettacolarità al balletto lo abbia indotto a spostare la vicenda in Russia (vedi la figura qui sopra).
Si tratta di una vicenda dolorosa, basata sull’amore di una fanciulla (Zulnida) per un giovane ufficiale (Elerz), contrastato da un avido e crudele padre (il conte Sergell), che dà in sposa la figlia ad un giovane ricco, ma spregiudicato (Norten). Per perseguire i propri scopi, il padre nasconde alla figlia le lettere del suo innamorato, insinuandole il dubbio sulla infedeltà del giovane così da costringerla all’obbedienza. Elerz, non ricevendo a sua volta risposte, si reca al castello e, incontrata l’amata, chiarisce l’equivoco: troppo tardi, perché lo spregevole Norten li scopre e colpisce Elerz a morte provocando nella fanciulla una tale sofferenza da farle perdere il senno. Fuggita da casa, Zulnida si rifugia tra le montagne dove invoca il nome dell’amato. Si arresta di fronte alle rovine di un antico monumento che scambia per la tomba di Elerz. Sorpresa da un uragano, è lanciata in un torrente. Il suo corpo viene recuperato dalle onde privo di vita. Il suo innamorato, raggiuntala, spirerà subito dopo in una scena straziante che richiama quella di Romeo e Giulietta.
Non è difficile rintracciare gli elementi che di lì a poco ispireranno La Somnambule (1827) e qualche anno dopo Giselle (1841): soprattutto l’amore appassionato e totale, connesso alla fragilità emotiva. Le rovine dell’antico monumento si collocano, invece, nel gusto del “romanzo gotico”, allora di tendenza, che l’anno dopo riconosciamo in Le Ballet des nonnes damnées (1831). Ma un altro elemento suscita nel lettore-spettatore una forte emozione: la forza benefica della Natura che pone fine alle sofferenze della fanciulla. Non abbiamo a disposizione la musica, ma non è difficile immaginarne la funzionalità, in quanto fu scritta dall’esordiente, ma già esperto, Cesare Pugni, che passerà alla storia per i balletti rappresentati in tutta Europa.
Rif. Bibl. Il libretto: Elerz e Zulnida di Louis Henry, Milano, Antonio Fontana, 1826. Per un approfondimento vedi Flavia Pappacena, Storia della danza in Occidente, vol. II, Il Settecento e l’Ottocento, Gremese, Roma, 2016, pp. 114 e 138-145.
Flavia Pappacena
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