Da pochi giorni si è conclusa l’Edizione Numero 32 di MilanOltre, Festival che si è svolto a Milano, al Teatro Elfo Puccini, e che ha portato le migliori compagnie di danza contemporanea nel capoluogo lombardo. Con Rino De Pace, Direttore Artistico del Festival, abbiamo fatto un punto sulla situazione.
Direttore, si è conclusa da poco la trentaduesima edizione di MilanOltre. Anche quest’anno siete riusciti a portare compagnie che fanno, ogni giorno, dell’innovazione il loro punto di forza. Ci può fare un bilancio complessivo di questa edizione?
Il bilancio è senz’altro positivo, notiamo una crescita progressiva dell’attenzione del pubblico verso la danza contemporanea. Ai fedeli di sempre ogni anno si aggiunge un pubblico via via nuovo che timidamente si avvicina con l’intento di scoprire qualcosa che all’inizio forse spaventa un po’ ma che superato quel momento si lascia coinvolgere ed è incredibilmente generoso di applausi ed entusiasmo. Rappresentare il nuovo è sempre più difficile però ci sono esempi brillanti, nazionali e internazionali, che in questa edizione hanno saputo distinguersi per originalità e soprattutto per una notevole qualità degli allestimenti. Senza fare torto a nessuno dei tanti ospiti di questo programma 2018 mi fa molto piacere citare almeno la Compagnia LDP di Seoul per un programma articolato nel linguaggio coreografico, nell’energia fisica e nella raffinatezza delle quattro coreografie di autori diversi per stile e generazione, l’italiano Manfredi Perego con un progetto che ha sorpreso per compiutezza, eleganza e scelta musicale e Simona Bertozzi, lodevole nel trasmettere un percorso coreografico complesso a un gruppo di adolescenti per la prima volta su un palcoscenico.
Quali sono i punti cardini su cui si fonda MilanOltre?
– La varietà di linguaggi anzitutto, pur nello stesso ambito, cercare di far dialogare tra loro pianeti diversi dello stesso universo: danza contemporanea e balletto, danza concettuale e teatro fisico, movimento puro e performance;
– Una politica specifica dedicata alla proposta, alla diffusione e al sostegno della danza contemporanea italiana;
– I ritorni di alcuni artisti italiani e stranieri con i loro nuovi lavori;
– La capacità di far rivivere e rappresentare titoli storici della grande danza a beneficio delle nuove generazioni;
– La condivisione progettuale con altri festival della città e del paese, mirata non soltanto alla realizzazione di un progetto artistico in partnership o alla compartecipazione dei costi per esempio sui tour delle compagnie straniere, ma soprattutto alla costruzione progressiva di un pubblico della danza contemporanea da seguire e accudire.
Si può parlare di un ‘linguaggio MilanOltre’? Il Festival oramai è un appuntamento consolidato e una presenza costante nel panorama della danza e ha un suo modo di ‘parlare’ alla gente…
Il linguaggio di MilanOltre è universale o meglio, un linguaggio che cerca di raccoglierne molti altri così che possa parlare più lingue e raggiungere potenzialmente un bacino più eterogeneo; ma accade anche che sia un linguaggio ancora “non parlato” quello che si scopre di rado, quando un coreografo o un danzatore ci stupiscono con qualcosa che ci sembra totalmente nuovo, qualcosa che sentiamo di non aver mai visto prima. In 32 edizioni abbiamo parlato tante lingue e ci siamo rivolti a un pubblico immenso, soprattutto nei primi anni quando MilanOltre era un festival multidisciplinare e ha portato per la prima volta in Italia artisti che sono poi diventati delle icone per diverse generazioni, Bill T Jones e Arnie Zane con i disegni di Keith Haring, La Fura dels Baus con il suo coinvolgimento totale del pubblico in inquietanti spazi post industriali, il teatro visionario di Robert Lepage, il Wooster Group e Willem Dafoe che presto avrebbe brillato a Hollywood, i LaLaLa Human Steps con una Louise Lecavalier che ancora oggi, come un dono degli dei, continua a regalarci emozioni irripetibili.
Di solito, come sceglie chi invitare al Festival?
Cerco di rispettare quella struttura che ha contraddistinto il festival nella sua lunga storia. I focus che permettono di offrire il profilo completo di un artista o di una compagnia grazie alla possibilità di presentare una parte consistente del loro repertorio. Viaggio parecchio alla scoperta di progetti nuovi sollecitato da artisti, da colleghi e da organismi internazionali che, diversamente da quanto accade nel nostro paese, sostengono e promuovono direttamente e con grande partecipazione i propri artisti. Mi piace molto stimolare chi fa un certo tipo di danza a misurarsi con uno stile diverso o a utilizzare un codice nuovo, un esempio in questo senso sono le sfide costruite insieme ad alcuni danzatori del corpo di ballo del Teatro alla Scala che dal balletto si sono tuffati nel contemporaneo o nella composizione coreografica con risultati di grande livello, per il pubblico che li ha visti sotto un’altra luce e per il loro percorso che si arricchisce di esperienze nuove e diverse.
E naturalmente c’è anche un mio gusto personale piuttosto definito e che devo tenere a bada: una serie di artisti che amo molto, un contenitore ricco di progetti, nomi e pensieri a cui attingere, una sorta di scatola delle meraviglie che sembra inesauribile e che devo gestire tenendo conto non solo di un pubblico ma di una serie di elementi e requisiti da rispettare perché il festival continui ad essere finanziato. Mi auguro tuttavia di poter condividere con qualcun altro progetti e scelte così da svuotare la scatola completamente. E poi mi elettrizza l’idea che ci sia ancora tantissimo da scoprire.
Si parla spesso di come i danzatori – e le compagnie – in Italia per avere riscontri importanti debbano, prima o poi, lavorare anche all’estero. A MilanOltre c’è un’importante presenza di artisti del nostro Paese. L’augurio che fa a ciascuno di loro è di poter continuare a lavorare qui o di volare altrove?
Certo è chiaro che la distribuzione dei progetti italiani debba diramarsi anche all’estero ma è importante anzitutto creare un mercato nazionale o per lo meno attivarsi per far crescere quello minimo già esistente. MilanOltre ha dato l’avvio con la sigla (A.I.A.) Artisti Italiani Associati a un progetto che vuole consolidare ulteriormente alcune delle relazioni che si sono rivelate particolarmente vitali nel corso di queste ultime edizioni. Nascono quindi dei progetti di presenza triennale con Compagnia Zappalà, Diego Tortelli, Simona Bertozzi, Susanna Beltrami/DanceHauspiù volti non solo a proporre una progettualità artistica in evoluzione ma anche mirati, con un lavoro comune, a costruire un pubblico da abituare sempre più alla visione della danza contemporanea italiana, idealmente così come avviene per il teatro di prosa. Bisogna allargare il giro d’azione, inserire la danza nelle stagioni dei teatri, pretendere che venga riconosciuta e sostenuta così come avviene per il teatro di prosa e per la musica e smettere di considerarla una disciplina inferiore. Un’azione radicale che deve partire dall’alto e diffondersi in tutte le direzioni. E’ da dementi pensare che la danza italiana possa essere apprezzata all’estero se non viene prima sostenuta, apprezzata e riconosciuta come si deve nel nostro paese. E quindi l’augurio che faccio agli artisti italiani è che trovino il terreno giusto in Italia e che vadano all’estero per scelta e non per costrizione.
In tutti questi anni di direzione artistica, c’è un’edizione o un artista a cui è particolarmente legato? Perché?
Mettendo da parte la nostalgia delle primissime edizioni, e non solo per le risorse economiche decisamente incomparabili con quelle di oggi, questa 32° edizione mi sembra particolarmente fedele allo spirito di MilanOltre e credo che il suo sapore universale abbia accontentato i palati più esigenti e più diversi. Ho avuto delle grandi opportunità e sono infinitamente grato al caso o alle stelle, o a colui o colei che ha determinato un incontro. Posso citare Carolyn Carlson, Ismael Ivo, Karole Armitage, Peter Sellars con i quali ho condiviso lunghi anni di lavoro nella splendida cornice della Biennale di Venezia insieme a Romeo Castellucci e la sua Raffaello Sanzio, a Rafael Bonachela, Marie Chouinard, Louise Lecavalier, ospiti di MilanOltre con buona parte del repertorio e per parecchi anni. Personaggi, coreografi, danzatori e danzatrici che mi hanno conquistato da subito, alcuni dei quali oggi, dopo aver superato timidezza e un pudore atavico (danzatori e danzatrici sono per me creature angeliche a cui accostarsi con grande delicatezza) posso anche definire amici e si chiamano Diego, Karole, Roberto, Susanna, Stefania, Michele, Louise, Valeria….. insieme a tanti altri.
Se dovesse definire il Festival MilanOltre con alcune parole chiave, quali userebbe?
Incontri, traffici, contatti, incroci, punti di vista è uno slogan che definisce lo spirito di MilanOltre fin dal 1986. Contaminazioni, invasioni di campo, occasioni di confronto tra le nuove tendenze nazionali ed internazionali dell’arte dello spettacolo. E poi c’è quella frase magica di Italo Calvino “Esiste un altro teatro oltre al mio teatro” parte del libretto che Calvino aveva scritto per Un Re in ascolto di Luciano Berio a cui il festival si era ispirato fin dal 1986.
E se dovesse raccontare che cosa significa per Lei questo Festival a chi non ne ha mai sentito parlare, come lo descriverebbe?
Come quel luogo in cui la danza può elettrizzare e commuovere profondamente, dove ognuno troverà sicuramente l’emozione che sta cercando e dove lo spettacolo più bello non è stato ancora programmato.
Un augurio per MilanOltre e per la danza contemporanea?
Che MilanOltre abbia vita lunga e serena e prosegua appunto “ben oltre” me, nelle mani di nuove e giovani leve. E che la danza contemporanea, viaggiando dall’immaginario al quotidiano possa arrivare allo spettatore più disinformato e impreparato, incantandolo a vita, come una freccia dritta al cuore.
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