Lali Ayguadé è una delle personalità più originali e riconoscibili della danza contemporanea europea. Nata a Barcellona e formata tra il prestigioso Institut del Teatre e il London Contemporary Dance School, ha attraversato scenari coreografici e culturali eterogenei, collaborando con alcuni dei nomi più influenti della scena internazionale, tra cui Akram Khan, Hofesh Shechter, Marcos Morau e Roberto Olivan. Con una cifra stilistica potente, fisica e profondamente poetica, Ayguadé ha saputo coniugare rigore tecnico e ricerca espressiva, portando avanti un lavoro coreografico che esplora il corpo come strumento di verità, fragilità e trasformazione. Parallelamente alla danza, si è affermata anche nel mondo del cinema, ricevendo riconoscimenti per le sue interpretazioni in cortometraggi e film. Oggi, a capo della propria compagnia, Lali Ayguadé continua a interrogare il presente attraverso creazioni che mettono in discussione le apparenze, le identità e le relazioni umane. Attraverso un linguaggio coreografico che coniuga precisione tecnica e introspezione poetica, Ayguadé esplora le complesse dinamiche del corpo in relazione alle identità mutevoli e alle realtà contemporanee. La sua ultima creazione, Unreal, presentata al Festival Nutida 2025, indaga il confine tra ciò che appare e ciò che è, interrogando il ruolo della danza in un mondo segnato da instabilità e continui mutamenti.
Lei ha alle spalle una carriera vastissima, ha attraversato culture e linguaggi diversi: cosa resta costante nella Sua visione del movimento, e cosa invece cambia ogni volta?
Per me, ogni creazione è diversa perché valuto l’individualità. Dipende da chi ho di fronte, ogni persona cambia il processo. Ma ho sicuramente il mio approccio: mi piace concentrarmi sul gruppo e su ogni singolo individuo. Voglio vedere le persone sul palco, non solo i ballerini. Voglio vederli ridere, arrabbiarsi, mostrare forza e, allo stesso tempo, fragilità. Lavoro sempre con i contrasti.
Com’è cambiato il Suo modo di creare rispetto agli inizi della tua carriera?
Il mio processo creativo ora è molto diverso rispetto a quando ho iniziato. Nel tempo ho acquisito più conoscenze e strumenti, ma con ogni creazione continuo a imparare qualcosa di nuovo.
Qual è, secondo Lei, il ruolo della danza in un mondo instabile e complesso come quello attuale?
La bellezza della danza è che possiamo raccontare storie, non imporre, ma suggerire attraverso le immagini. E possiamo far provare qualcosa al pubblico!
C’è un messaggio, anche implicito, che sente urgente comunicare oggi attraverso la danza?
Non si tratta davvero di mandare un messaggio. Mi ispira la vita, le cose di tutti i giorni. Ciò che osservo nel presente mi fa riflettere, ma da lì posso viaggiare nel passato o immaginare il futuro.
Qual è stato il punto di partenza della Sua creazione “Unreal”, presentata il 14 giugno 2025 al Festival Nutida nell’ambito del progetto coreografico The Gate “Get the Show: 5 dimensioni”?
Il punto di partenza di Unreal è stato esplorare come avrebbero risposto, non solo al movimento, ma a qualsiasi tipo di idea che potesse richiedere anche la voce o elementi teatrali.
Il titolo “Unreal” evoca una realtà sfuggente, esplorando il confine tra ciò che sembra e ciò che è. Come si traduce la dicotomia tra essere e apparire nel linguaggio del corpo?
Quando siamo sul palco, ciò che facciamo non è già più reale, stiamo giocando. Possiamo trovarci in situazioni strane che ci spingono fuori dalla normalità.
Nel mondo contemporaneo, dominato da immagini filtrate e identità fluide, in cui realtà e finzione si confondono continuamente, come si colloca il corpo danzante? Può ancora essere un punto di verità in un tempo “irreale”?
Trovo il corpo molto reale, il più reale. Puoi fingere un’emozione e dire: “Sì, posso andare avanti”, ma se il corpo non la sente, te lo farà sapere. Non siamo invincibili; possiamo romperci, e dobbiamo prenderci cura di noi stessi.
Forse oggi, nel nostro modo di abitare il mondo, stiamo diventando tutti un po’ “irreali”. La danza, in questo scenario, può essere ancora una forma di resistenza?
Come ho detto, la danza può raccontare storie. È una forma d’arte che, attraverso le immagini, può trasmettere molte informazioni.
Cosa spera che il pubblico si chieda dopo aver visto “Unreal”? È uno spettacolo che vuole dare risposte o moltiplicare le domande?
Il pubblico dovrebbe godersi la performance e vedere i performer come esseri umani, non solo come ballerini.
Lorena Coppola
Photo Credits: Letizia Cossari
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