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Luigi XIV, il Re Sole: sovrano della danza

Nel Seicento, il palcoscenico non era solo un luogo per l’arte: era un’estensione del trono. E Luigi XIV, il Re Sole, lo sapeva perfettamente.

Prima ancora di imporsi come monarca assoluto, si affermò come protagonista indiscusso della scena.

Non solo spettatore di balletti: danzatore, coreografo di potere, regista della propria immagine.

A soli quindici anni, Luigi apparve sul palco del Ballet de la Nuit vestito da Sole, circondato da pianeti e stelle.

Non era solo una scelta scenografica: era un atto politico. In quel momento, il giovane re stabiliva un principio visivo e simbolico che avrebbe retto l’intero suo regno: tutto ruota attorno a me.

Ma quella performance non fu un evento isolato. Per oltre vent’anni, Luigi danzò pubblicamente in numerosi spettacoli, assumendo spesso ruoli allegorici: Apollo, Marte, Ercole.

Ogni figura mitologica diventava specchio del sovrano. I movimenti del suo corpo, eseguiti con disciplina ferrea, erano parte integrante della sua autorità.

Ogni passo, un’affermazione del suo dominio. Ogni inchino, un gesto di conquista.

La danza alla corte di Luigi non era mai solo intrattenimento. Era cerimonia, strategia, architettura sociale. Ballare a Versailles significava occupare uno spazio nel cerchio del potere.

Chi non sapeva danzare, letteralmente e simbolicamente, era fuori scena.

Fu in quest’ottica che nel 1661 nacque l’Académie Royale de Danse, la prima istituzione ufficiale dedicata all’arte coreutica, voluta dallo stesso re.

Era un modo per codificare il movimento, ma anche per controllarlo.

Luigi, nel tempo, smise di danzare in pubblico. Ma non smise mai di coreografare la vita di corte come un grande balletto.

La giornata a Versailles era scandita da rituali precisi, dove tutto – dal risveglio del re al momento della cena – seguiva una coreografia invisibile ma rigida.

Il palcoscenico si era esteso all’intero regno.

Persino l’architettura rifletteva questa logica teatrale. La Galleria degli Specchi, cuore del palazzo, era un luogo dove il re poteva riflettersi moltiplicato all’infinito: un’immagine eterna e onnipresente.

Un sovrano non più solo umano, ma scenico. L’arte non decorava il potere: lo costruiva.

Oggi, quando pensiamo alla danza classica, raramente pensiamo ad un re.

Ma è proprio con Luigi XIV che questa forma d’arte ha trovato il suo linguaggio, la sua grammatica, la sua istituzione.

Dietro ogni arabesque, dietro ogni posizione codificata, c’è il gesto politico di un sovrano che ha scelto di non limitarsi a governare: ha deciso di interpretare sé stesso.

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

©️ Riproduzione riservata

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