Al Dutch National Ballet va in scena una nuova Bayadère, ma non è solo un restauro: è una trasformazione profonda.
Questa produzione, in programma dal 26 marzo al 19 aprile sul palcoscenico della Dutch National Opera & Ballet di Amsterdam, affonda le mani nella tradizione ottocentesca per restituirla al presente con occhi consapevoli.
Sotto la guida di Rachel Beaujean e con la collaborazione di esperti in cultura postcoloniale e danza classica indiana, il balletto esce dalla cornice orientalista in cui era stato imprigionato per oltre un secolo.
Nel cuore della Bayadère rimane il triangolo amoroso tra Nikita, danzatrice del tempio, il guerriero Solor e la figlia del potente governatore, Alida.
Ma questa volta il contesto cambia: siamo nell’India sud-orientale del XVII secolo, in piena epoca coloniale, quando la Compagnia Olandese delle Indie Orientali era al culmine del suo potere.
Il sogno esotico di Marius Petipa lascia spazio ad una narrazione complessa, dove caste, razze, desiderio e politica si intrecciano in un equilibrio sottile.
Solor non è più solo un eroe romantico: è un uomo di sangue misto, diviso tra due mondi.
Nikiya non è la fragile vittima sacrificale, ma una figura piena di dignità e potere interiore.
Alida, lontana dalla caricatura della “rivale”, diventa un personaggio tragicamente umano, stretto tra amore, dovere e paura.
Il balletto diventa così non solo uno spettacolo estetico, ma una riflessione su potere, colonizzazione e identità.
Rachel Beaujean ha scelto di non cancellare Pepita, ma di dialogare con lui. I “gioielli” coreografici – come il celebre Regno delle Ombre – vengono mantenuti, ma incastonati in un impianto scenico e narrativo nuovo.
Alcuni passi sono stati ripensati in collaborazione con Kalpana Raghuraman, coreografa esperta di danza bharatanatyam, e con le consulenze culturali della studiosa Priya Srinivasan.
Il risultato è un ibrido potente: La Bayadère resta un balletto classico, ma aperto a contaminazioni che arricchiscono senza snaturare.
Il corpo di ballo del Dutch National Ballet dimostra una versatilità straordinaria nel passare da linee classiche a gestualità ispirate alle danze indiane.
Affidati a Jérôme Kaplan, i costumi e le scene evitano i cliché dell’“Oriente da cartolina”. Niente turbanti di velluto, palme di cartapesta o sari fantasiosi: al loro posto, una ricerca attenta sull’iconografia del tempo e dei luoghi.
Le luci di James F. Ingalls e le videoproiezioni di Bowie Verschuuren creano un’atmosfera sospesa, onirica ma credibile, in cui spiritualità e potere coesistono.
La partitura originale di Minkus è stata mantenuta, ma la direzione musicale – prima con Koen Kessels, poi con Alexei Baklan – offre una lettura fresca e drammatica. Le sfumature orchestrali diventano protagoniste nel far emergere i conflitti interiori dei personaggi, oltre che il peso del contesto storico.
Con questa Bayadère, il Dutch National Ballet compie un’operazione coraggiosa: non distrugge il classico, ma lo interroga.
In un’epoca in cui il mondo della danza si confronta sempre più con i propri fantasmi questa produzione si fa manifesto.
Non è solo spettacolo: è un invito a guardare la bellezza con occhi nuovi, senza dimenticare le sue ombre.
Michele Olivieri
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