
Quando nel 1892 Čajkovskij compose Lo Schiaccianoci e Marius Petipa con Lev Ivanov ne ideò la coreografia originale, l’Europa attraversava un periodo di fervente interesse per l’esotismo, il folklore e il colore delle culture “altre”. Questo spirito permea il celebre Divertissement del secondo atto, dove una sequenza di danze popolari stilizzate trasforma il Regno dei Dolci in un vero palcoscenico globale. Sebbene nulla sia davvero “autentico”, ogni numero rivela un dialogo vivo tra fantasia teatrale e tradizioni popolari, filtrate attraverso l’estetica imperiale russa di fine Ottocento.
La Danza Spagnola: tra flamenco immaginato e teatralità
La Danza Spagnola – spesso identificata come cioccolata – non riproduce alcuna forma reale del flamenco, ma ne evoca il temperamento. I movimenti scattanti, il port de bras marcato e l’uso dei polsi richiamano un’idea romantica di Spagna fatta di passione e contrasti. È un folklore reinventato, in cui l’impatto scenico prevale sulla fedeltà etnografica. Nell’economia del balletto, rappresenta un primo assaggio di mondi lontani, animati da ritmo e sensualità.
La Danza Araba: languore orientale e suggestioni ottomane
Il numero dedicato al caffè, spesso chiamato Danza Araba, mescola elementi dell’immaginario mediorientale ottocentesco. Linee sinuose, morbidi ondeggiamenti e una musica ipnotica costruiscono un’atmosfera sospesa, quasi rituale. Più che una danza tradizionale, è il riflesso del gusto europeo per l’orientalismo: un Oriente sognato, velato, carico di mistero. La lentezza e la precisione gestuale introducono una qualità meditativa che contrasta con l’esuberanza di altri pezzi.
La Danza Cinese: minimalismo coreografico e gusto caricaturale
La Danza Cinese – il Tè – è forse la più discussa per le rappresentazioni stereotipate che ha trasmesso nel tempo. Coreograficamente si fonda su piccoli saltelli, movimenti rapidi e un uso marcatamente geometrico dello spazio. Gli elementi autenticamente cinesi sono quasi assenti; ciò che resta è un’interpretazione estetizzante della cultura dell’Estremo Oriente secondo il gusto occidentale di fine secolo. Oggi molte compagnie rivisitano questo pezzo con l’obiettivo di valorizzare elementi più rispettosi della danza e della tradizione cinese.
La Danza Russa: un omaggio gioioso al folclore di casa
Con la Trepak russa, centrale nel Divertissement, il balletto approda finalmente in un territorio più vicino all’autenticità popolare. I salti spettacolari, i giri rapidi e l’energia contagiosa richiamano le danze cosacche e le tradizioni contadine del sud della Russia. Pur rielaborata in chiave virtuosistica, questa danza mantiene un legame palpabile con il patrimonio folclorico reale: è una celebrazione della forza e dell’euforia del popolo, resa attraverso una sfrenata gioia scenica.
La Danza dei flauti: il folk filtrato attraverso l’estetica francese
Spesso interpretata come un’eco delle danze pastorali europee, la Danza dei Mirliton unisce grazia, simmetria e vivacità. Pur non appartenendo ad una tradizione specifica, cattura lo spirito delle danze contadine francesi e tedesche, reinterpretate con eleganza rococò. I movimenti leggeri e l’uso del flauto piccolo creano un quadro bucolico che funge da ponte tra il folklore e la danza accademica.
Un mosaico culturale che parla al presente
Le danze folk nello Schiaccianoci non sono documenti etnografici, ma specchi dell’immaginario culturale della loro epoca. Oggi, mentre il balletto si confronta con temi di rappresentazione e rispetto culturale, coreografi e compagnie sperimentano nuove versioni che mirano a conservare la magia originale arricchendola con una maggiore sensibilità storica e culturale.
Nonostante ciò, il fascino di queste danze rimane intatto: esse trasformano il secondo atto in un viaggio teatrale attraverso culture reinventate, mostrando come folklore e fantasia possano intrecciarsi in una narrazione universale. In questo dialogo tra tradizione, sogno e spettacolo, Lo Schiaccianoci continua a incantare, ricordandoci che la danza è, prima di tutto, un linguaggio capace di far viaggiare l’immaginazione oltre ogni confine.
Michele Olivieri
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