All’inizio del Novecento, quando le avanguardie scuotevano le fondamenta dell’arte, anche la musica cominciava a parlare con voci nuove, primordiali, selvagge.
In questo spirito nasce Ala e Lolli, un balletto che non vide mai la luce del palcoscenico, ma che lasciò una scia potente nel mondo sinfonico.
Il soggetto di Ala e Lolli, scritto dal poeta Sergej Gorodeckij, ci porta in un tempo arcaico, dove gli Sciti adorano due divinità opposte: Veless, dio del Sole, e Ala, spirito femminile delle foreste.
Ma l’equilibrio viene infranto: il mago oscuro Ciuibog, incarnazione delle forze notturne, rapisce Ala.
Il giovane gigante Lolli, figlio della terra e protettore innocente, si lancia alla sua salvezza.
La battaglia tra ombra e luce è feroce, fino a che Veless, incarnando l’aurora, scende sulla terra per sconfiggere l’oscurità con il fuoco solare.
Nel 1914, Sergej Prokof’ev, giovanissimo ma già audace, accoglie la proposta del celebre impresario Sergej Diaghilev: comporre la musica per questo balletto mitologico.
Ma qualcosa non convince. Diaghilev – che aveva portato al trionfo Stravinskij con Le Sacre du printemps – giudica le bozze di Prokof’ev troppo grezze, poco “russe”, e alla fine respinge il progetto.
Prokof’ev, deluso ma non sconfitto, non abbandona però del tutto la musica già scritta: ne salva i frammenti più potenti, li riassembla, li riforgia – ed è così che nasce la Suite Scita, una delle sue opere più brutali e innovative.
La Suite Scita, op. 20, è un viaggio sonoro che conserva l’anima mitica del balletto: danze tribali, incantesimi notturni, battaglie cosmiche tra tenebre e sole.
Fu eseguita per la prima volta nel 1916 a San Pietroburgo, diretta da un Prokof’ev poco più che ventenne. Il pubblico restò spiazzato, tra scandalo e ammirazione.
Oggi Ala e Lolli è ricordato solo come un titolo, un’idea incompiuta.
Michele Olivieri
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