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Alberto Pretto ci racconta in esclusiva l’affascinante mondo de Les Ballets Trockadero

Alberto Pretto è nato a Vicenza nel 1985. Comincia lo studio della danza classica all’età di 14 anni nella sua città natale. Nel 2004 viene ammesso all’Acadèmie de Danse Classique Princesse Grace di Monte Carlo, sotto la direzione di Marika Besobrasova. Si diploma il 24 marzo del 2008. Sempre nel 2008 viene assunto dall’English National Ballet di Londra per la produzione “Strictly Gershwin” con la coreografia di Derek Deane. Ha ballato per la Fondazione Arena di Verona nell’Opera “Aida” con la regia di Hugo de Ana. Dal 2008 al 2010 ha lavorato nella compagnia Stadttheater Koblenz in Germania diretta dal coreografo Anthony Taylor. Nel gennaio 2011 è entrato a far parte della compagnia Les Ballets Trockadero de Montecarlo, della quale fa tuttora parte. Nella compagnia ha danzato ruoli solistici in La Tarantella, Paquita Walpurgishnacht, La Morte del Cigno, Esmeralda Pas de Six, Chopiniana, Le Grand Pas de Quatre, La Naïade et Le Pêcheur.

 

Carissimo Alberto, il mondo della danza è sicuramente affascinante. Puoi descriverlo per i nostri lettori, dal tuo punto di vista? Per te, da piccolo, è stato subito un colpo di fulmine?

Il mondo della danza è per me un mondo chiuso ed esclusivo, fatto di arte, bellezza e musica. Non tutti possono farne parte e ci vogliono fortuna, forza e tanta determinazione per farcela. Da piccolo ho avuto un’infanzia molto felice, ho praticato tanti sport ma ho sentito sempre la voglia e il bisogno di muovermi sulla musica. Nessuno nella mia famiglia proveniva dalla danza quindi non sapevo molto a riguardo. Ricordo verso i quattordici anni di essermi infatuato dei balletti in TV e di essere andato da mio padre dicendo che avevo finalmente deciso: volevo imparare danza moderna. Da lì la mia iscrizione nella scuola di danza e la mia prima lezione di ballo fu una lezione di danza classica. Era nata una passione

 

In seguito c’è stato un significativo momento in cui hai realmente creduto che il tuo sogno di diventare ballerino si stava tramutando in realtà?

Il momento è arrivato a 17 anni quando mi chiesero di entrare come allievo nell’Acadèmie de Danse Classique Princesse Grace di Montecarlo. Avevo capito di avere un futuro come ballerino professionista!

Parlando della grande maestra Marika Besobrasova (una delle più importanti del 20esimo secolo), ai tempi dell’Acadèmie de Danse Classique Princesse Grace, cosa ti ha insegnato a livello artistico e che donna era?

Marika era una donna molto forte che poteva intimidire chiunque con un semplice sguardo. Ma era anche una persona generosa e mi ha insegnato tanto, soprattutto sul piano umano. Sono stato uno degli ultimi ballerini formati da Marika, e ho avuto l’onore di averla come insegnante durante i miei ultimi anni di formazione prima del diploma. Era sempre volitiva, ma le forze cominciavano a mancarle. Nonostante questo non ha mai lasciato la direzione dell’Accademia fino all’ultimo, un atto che dice molto su che tipo di donna fosse. Sul piano artistico mi ha trasmesso un’attenzione verso la coscienza interiore e una ricerca della verità del movimento che mi hanno marcato profondamente.

Quale significato ha per te l’arte della danza?

La danza rappresenta una grandissima parte di me. Scandisce le mie giornate, definisce la persona che sono e spesso detta la maggior parte delle mie scelte.

Attualmente fai parte di una Compagnia di fama internazionale “Les Ballets Trockadero de Montecarlo”, molto si è scritto sulle Vostre interpretazioni e singole doti tecniche. Quali sono state le maggiori difficoltà nel dover danzare nel ruolo e nella fisicità di una ballerina? Ad esempio salire in punta? Anche perché a parte il lato comico voi danzate professionalmente nel pieno rispetto delle regole canoniche del balletto classico tradizionale e accademico?

Quando ho deciso di prepararmi per l’audizione dei Trockadero ho cominciato a prendere lezioni molto semplici in punta, perché dovevo acquisire la forza necessaria nei piedi per danzare i ruoli femminili. È stato come ricominciare da zero ma è stato un passo necessario. Salire in punta non è semplice, soprattutto per un ballerino, perché mentre le ragazze cominciano a studiare la tecnica delle punte verso gli undici anni, i ragazzi si concentrano su salti e giri. Quindi se non hai quella preparazione devi in qualche modo ritornare indietro e crearti delle basi. Le nostre versioni dei balletti classici sono molto vicine a quelle originali. Ci rifacciamo soprattutto alle coreografie russe dei Teatri Bolshoi o Kirov degli anni ’60. L’esattezza dei passi è necessaria, unitamente al lato comico. Non dobbiamo dimenticare che siamo uomini sulle punte e deve comunque esserci un approccio diverso alla coreografia. I dettagli e alcune esagerazioni degli épaulements in stile tipicamente russo sono molto importanti al fine di rendere comica un’interpretazione. Non è affatto facile trovare l’equilibrio perfetto tra comicità e tecnica. Nessun aspetto deve prevalere sull’altro. Un grande lavoro di ricerca!

Quali sono i ricordi più belli del tuo percorso formativo coreutico?

 

Molti i ricordi che mi vengono alla mente in questi 16 anni di danza. Il mio inizio a Vicenza, le numerose lezioni tutti i giorni dopo scuola, anche due lezioni al giorno. Gli esami a Montecarlo che cominciai a frequentare quasi da subito. Gli stage estivi sempre a Montecarlo e quel meraviglioso mondo che era la danza a livello professionale al quale mi affacciarono. Poi la domanda da parte degli insegnanti di entrare a far parte dell’Accademia e la mia gioia incontenibile. Gli anni difficili all’internato alleviati da un po’ di cameratismo e le prime amicizie. La determinazione che ho dimostrato nel voler finire il mio corso di studi nonostante un anno per me particolarmente difficile. La partecipazione al concorso di Spoleto, grazie al quale mi avvalsi di un contratto per una produzione con l’English National Ballet. I due anni passati a Koblenz in compagnia, per la prima volta da solo nell’ambito professionale. E poi la mia esperienza con i Ballets Trockadero, con il quale sono in compagnia da 6 anni.

La tua città natale, Vicenza, ha una radicata tradizione votata alla danza?

Non proprio. Diciamo che le possibilità per studiare danza erano molto ristrette quando ho cominciato. C’era la scuola di MariaBerica Dalla Vecchia presso la quale ho iniziato danza, che aveva questo ponte diretto con Montecarlo. Altre città in Veneto sono molto più stimolanti dal punto di vista della danza, per esempio Verona ha una tradizione più grande e una maggior scelta di scuole.

Se ripensi agli anni trascorsi all’Acadèmie Princesse Grace a Montecarlo, come li rammenti? Che aria si respirava?

L’aria che si respirava in Accademia era un po’ antica, nostalgica devo dire. Si studiava danza classica, repertorio, passo a due e carattere, non avevamo il corso di contemporaneo o danza moderna. Era un’accademia molto tradizionalista e vigeva un rigore d’altri tempi. Però la cosa mi affascinava molto, e amavo stare i pomeriggi interi nel “Grand Studio”, anche la domenica, a ripassare i passi e a trascrivere le lezioni. Ero diventato così preciso che gli insegnanti mi chiedevano di scriverle per loro. Alla sig.ra Besobrasova piacevano molto i miei disegni, e così spesso andavo con il mio blocco da disegno nello studio a ritrarre gli allievi più grandi intenti a seguire la lezione di danza. Sono stati anni piacevoli ma anche molto difficili, soprattutto verso la fine. Quattro lunghi anni senza molte distrazioni e un’atmosfera un poco opprimente. Mi ricordo di aver avuto una crisi proprio l’ultimo anno, sentivo che da parte degli insegnanti c’era come un muro, ed ero lasciato a me stesso nel trovare la forza di lottare e concludere l’anno. Mi rammento che al momento pensai: se riesco a superare questo riuscirò a superare qualsiasi altro ostacolo nella vita. È stata una preparazione alle difficoltà che avrei incontrato nella mia carriera. E mi ha reso molto più forte. Sono stato l’unico allievo a diplomarsi della mia classe.

Che tipo di allievo sei stato?

Molto diligente, a volte anche troppo. Facevo molto “lavoro personale” come veniva chiamato in Accademia e non mi concedevo grandi distrazioni. Sapevo di aver cominciato tardi e avevo la determinazione a non farmi scappare nulla, applicandomi con grande impegno. Questa caratteristica non mi ha più abbandonato, e sono tutt’oggi un ballerino che ama lavorare duramente.

A quali maestri sei particolarmente grato e perché?

L’insegnante della classe maschile Thierry Sette è la persona alla quale sono più legato, e non solo perché mi ha seguito da vicino durante i quattro anni di formazione, ma anche perché era una persona con la quale potevi avere una relazione dal punto di vista umano. E poi ovviamente Marika che mi ha insegnato più di tutto a lottare e a non farsi scoraggiare dal criticismo (che molto spesso proveniva proprio da lei!)

Mi racconti la tua esperienza all’English National Ballet?

Al concorso di Spoleto sono stato notato da un’insegnante dell’English National Ballet che era in giuria e mi ha offerto un contratto come ospite per la produzione “Strictly Gershwin” di Derek Deane. È stata la mia prima esperienza in una compagnia così grande. Ricordo di essere rimasto stupito dal numero dei ballerini in compagnia. La produzione di “Deane” era uno spettacolo che univa diversi stili, canto, jazz e balletto con la stupenda musica di Gershwin. È stata un’esperienza molto interessante.

E al Koblenz Ballet in Germania?

Ho fatto parte dello “Stadt Theater Koblenz” per due anni. Ho avuto l’occasione di lavorare sotto la direzione del direttore inglese Anthony Taylor, e danzare molte delle sue coreografie. È stato stimolante e allo stesso tempo impegnativo imparare i passi e sentirmi a mio agio con il nuovo stile. La compagnia era piccola e ho avuto la possibilità di danzare molto, anche se lo stile neoclassico non é il mio preferito. Ho partecipato a molte nuove produzioni, inclusi spettacoli di Opera che mi hanno aiutato a crescere in maniera considerevole. Ciò nonostante al termine dei due anni ho sentito il bisogno di cambiare, avevo bisogno di ballare ruoli più impegnativi e quindi ho cominciato a considerare l’idea di cambiare compagnia.

Poi nel 2011 sei entrato a far parte del prestigioso Les Ballets Trockadero de Montecarlo. Com’è avvenuto questo ingresso e qual è l’aspetto più entusiasmante di questa

Compagnia?

Ho fatto l’audizione per i Trockadero nel 2009, quando ancora ballavo a Koblenz. Andai a Piacenza durante la loro tournée italiana e feci la lezione con la compagnia. Piacqui subito al direttore, ma al momento non vi erano posti disponibili. Così continuai un altro anno in Germania finché finalmente i Trocks mi chiamarono a raggiungerli. Dopo due intense settimane di formazione durante la loro stagione al Joyce Theatre di New York ero già in tournée con la compagnia. Il fatto di viaggiare così tanto è sicuramente un aspetto cruciale di questo lavoro. Siamo stati in talmente tante città e paesi diversi che ne ho preso il conto! E poi ballare sulle punte i ruoli femminili del repertorio classico è un altro aspetto che adoro di questa compagnia.

I “Trocks”, come vengono affettuosamente chiamati, ricevono sempre critiche entusiastiche, come ad esempio sul “New York Times” e sul “The Village Voice”. Cosa vi rende così speciali ed unici e molto amati dal pubblico?

Penso che il pubblico che viene a guardare uno dei nostri spettacoli voglia innanzitutto divertirsi e trascorrere un paio d’ore senza pensieri. Lo spettacolo è per tutti, dai grandi ai piccini, dall’esperto di danza a colui che viene in teatro per la prima volta. È per questo che piace così tanto. Per i nuovi arrivati è l’approccio ideale alla danza, perché spesso un balletto tradizionale può rivelarsi noioso a chi non é familiare con la musica classica e il teatro. Gli habitués apprezzano particolarmente i nostri spettacoli perché ritrovano delle citazioni che solo un appassionato della danza riuscirebbe a riconoscere.

Hai qualche trucco per tenere a bada la tensione, o gesto scaramantico prima di entrare in scena?

Faccio sempre il segno della croce prima di entrare in scena.

Come si svolge la tua giornata tipo in veste di “danzatore”? Quante ore provi?

Una tipica giornata in tournée comincia con la lezione in teatro, sul palcoscenico, normalmente verso le tre del pomeriggio. La lezione quotidiana dura un’ora e mezza, seguita da due ore di prove. Generalmente ci si prepara per lo spettacolo della sera, si ripassano i passi e si familiarizza con lo spazio. Molto spesso si provano anche ruoli futuri per la tournée imminente. Poi ai danzatori viene fornita generalmente un’ora e mezza prima dell’alzarsi del sipario per il trucco e parrucco. Questo momento è ugualmente importante per i Trocks, per entrare nel personaggio e rispecchiare le nostre personalità di ballerine on stage. Quando non siamo in trasferta o in riposo le nostre giornate di prova a New York durano 6-8 ore.

Di tutti i ruoli interpretati, in quale ti sei rispecchiato di più?

Sicuramente Esmeralda in Esmeralda pas de six, uno dei primi ruoli importanti che mi sono stati affidati. Ho fatto un grande lavoro di ricerca seguito oltre che dai ballet master del Trockadero anche dalla maestra russa Elena Kunikova, alla quale devo molto in termini di preparazione tecnica e soprattutto drammatica. É un ruolo drammatico nel quale mi rispecchio facilmente, la storia di una povera zingara che scopre che il suo amante é promesso in matrimonio ad una ricca principessa. Ogni volta che lo interpreto devo mettermi nei suoi panni e vivere le sue emozioni come se fosse la prima volta. Mi piace dover raccontare una storia attraverso la mia danza, lo preferisco rispetto a balletti puramente tecnici.

Quale spettacolo di danza, in veste di spettatore, ricordi in assoluto per emozione?

Gli spettacoli alla Scala con Svetlana Zakharova all’epoca in cui era appena stata nominata ètoile. Ho visto degli spettacoli meravigliosi. Ricordo con piacere Bayadère, Don Quichotte, La Bella Addormentata… L’emozione era tanta e la sua bellezza, spesso in coppia con Bolle, indescrivibile. Mi ricordo prendere il treno da Montecarlo dopo lezione solo per vedere lo spettacolo, e tornare in Accademia pieno di energia, ricaricato da nuovi stimoli e ispirazione.

C’è un coreografo in particolare, dell’attuale panorama, con cui ti piacerebbe lavorare?

Il lavoro di Alexei Ratmanski mi affascina molto. Mi piace il suo rispetto per la tradizione, ho trovato la sua Bella Addormentata sicuramente interessante rispetto alle altre produzioni già viste. Il lavoro di ricerca dietro a questa produzione è stato impressionante. Penso che Alexsei sia una mente creativa influente e uno dei coreografi importanti del nostro tempo.

Le maggiori soddisfazioni professionali che hai ricevuto dall’ingresso con Les Ballets Trockadero de Montecarlo?

Moltissime le soddisfazioni personali da quando sono entrato in compagnia. Aver ballato nei più grandi teatri in Europa e all’estero. Partecipare a Gala internazionali a fianco di nomi importanti : ricordo con piacere quando ho danzato per Eleonora Abbagnato nel Grand Pas de Quatre all’Arena di Verona, o quando ho ballato a fianco di Alessio Carbone con la compagnia I Funamboli di Fabio Crestale. Una soddisfazione enorme è sicuramente danzare i grandi ruoli femminili di repertorio. Quando sono stato scelto per ballare il ruolo di Esmeralda per esempio è stato un punto cruciale nella mia carriera. Ho interpretato questo ruolo sui palcoscenici in giro per il mondo, da Londra a Tokyo. Sono soddisfazioni enormi che ricorderò sempre con grande emozione.

Che rapporto c’è tra voi danzatori dei Trocks?

Siamo tutti una grande famiglia. Viviamo in completa simbiosi 24 ore su 24. Condividiamo stanze di hotel, bus o aerei, balliamo tutto il giorno insieme. È il tipo di relazione che si crea tra i membri di una famiglia. Ovviamente può nascere anche qualche tensione, soprattutto quando siamo via da casa per molti mesi. Ma niente di particolarmente importante, il giorno dopo si torna già con il sorriso. C’è un grande spirito di solidarietà come se fossimo tutti i membri di una grande squadra che gioca insieme.

Mi fai un ritratto dei vertici direttivi e tecnici della Compagnia: Tory Dobrin, di Isabel Martinez Rivera e di Paul Ghiselin?

Tory Dobrin è stato il direttore artistico della compagnia dai primi anni ’90. Le decisioni più importanti spettano a lui, come la distribuzione degli artisti nei vari spettacoli. Tory è molto temuto dai suoi ballerini per il suo fare autoritario grazie al quale riesce a mantenere l’ordine in compagnia. A lui oltre alle decisioni artistiche si devono anche quelle di lato economico e amministrativo. Avendo i Trockadero pochissime persone che lavorano nel lato amministrativo (una compagnia itinerante non può permettersi molte spese) la mole di lavoro viene divisa tra Tory e Isabel. Isabel Martinez è la persona responsabile per i dettagli tecnici degli spettacoli, sovrintende all’illuminazione, costumi, assiste il regista e ha la totale responsabilità della rappresentazione. Conosco poche persone così professionali e preparate come Isabel, la quale svolge il suo lavoro con completa passione ed impegno. Paul Ghiselin è il nostro ballet master (insieme a Raffaele Morra). Molti si ricorderanno di lui per la favolosa interpretazione ne La Morte del Cigno. Paul è un artista a tutto campo, una persona meravigliosa che sa trasmettere moltissimo ai suoi ballerini soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione di un ruolo. Paul prepara anche le lezioni giornaliere e si preoccupa di assistere e spesso dirigere le prove.

Quali sono stati i sacrifici più grandi che hai fatto in nome della disciplina coreutica?

Moltissimi i sacrifici che ho fatto e che continuo a fare in nome della danza. Direi il più grande è stato quello di rinunciare ad uno stile di vita “normale”, di dire addio alla famiglia e alle amicizie per andare a vivere lontano in età ancora giovane. Il trovarsi ad accettare la mancanza di un affetto stabile nella propria vita. Spesso vivere con uno stipendio non da milionari. Ma i sacrifici che mi hanno pesato di più non sono quelli materiali, bensì quando si è trattato di cambiare la mia personalità, di dover scendere a compromessi per farsi accettare dal direttore-coreografo del momento. Sono decisioni difficili che pesano molto, ma alla fine dopo qualche lotta la danza ha sempre la meglio e finisco per fare quello che mi è richiesto. E non ho nessun rimpianto, perché rifarei ogni singolo sacrificio in quanto mi ha portato dove sono ora.

Alberto, qual è il balletto che non hai ancora danzato ma del quale vorresti esserne protagonista?

Indubbiamente “Giselle”, il mio grande sogno di sempre. I Trockadero stanno preparando il ritorno di questo grande balletto, e mi è stato chiesto di imparare il ruolo della protagonista. Non vedo l’ora di poter finalmente coronare il mio sogno e danzare questo splendido ruolo sulla scena.

Se non avessi scelto di fare il danzatore quale altra professione avresti conseguito?

Avrei sicuramente continuato l’università specializzandomi sul campo della moda e sarei diventato probabilmente stilista.

Il maggiore ostacolo che hai incontrato nel corso della tua carriera?

Gli infortuni ricorrenti e il dover accomodare il proprio corpo a ballare con il dolore. Oltre a capire come comportarsi nell’ambito professionale in un mondo dove la concorrenza e l’invidia sono senza dubbio presenti.

Lo specchio è uno strumento fondamentale per un danzatore. Per te cosa rappresenta?

Non amo osservarmi allo specchio. Penso che usato troppo possa diventare una cattiva abitudine. Lo specchio c’è e deve servire a correggersi quando non c’è l’insegnante, ma cerco di non dipendere da esso. Il rapporto di un essere umano con lo specchio è un altro discorso, troppo complicato da affrontare in poche righe.

Hai danzato in tanti Paesi del mondo, le Vostre tournée vi portano da ogni parte dell’emisfero. Il pubblico è differente, dal palcoscenico si percepisce? E qual è quello più caloroso?

Ho danzato in palcoscenici di tutto il mondo e toccato diversi continenti. Australia, Cina, Europa, Giappone. La reazione del pubblico è sicuramente diversa, ma solamente nel modo in cui percepisce uno scherzo o trova una parte dello spettacolo più divertente di un’altra. Dipende dalla cultura del pubblico che ci guarda e dalla loro ironia. Di solito i pubblici dei paesi latini sono quelli più calorosi, con le dovute eccezioni. Ma una cosa è certa: i Trockadero riescono a far sorridere chiunque!

Qual è la serata che ti è rimasta maggiormente nel cuore?

Probabilmente il mio debutto in “Esmeralda” al Teatro Regio di Torino.

Chi ha creduto di più nelle tue doti?

Lavorare insieme ad Elena Kunikova ha sicuramente aumentato la fiducia in me stesso. La nostra intesa professionale mi ha permesso di lasciarmi andare e scoprire un lato interpretativo che non sapevo di possedere. È importante che un artista si senta apprezzato al fine di potersi esprimere a tutto tondo.

A tuo avviso qual è la differenza tra la danza in Italia e all’estero? Tu che hai scelto di studiare a Montecarlo…

Penso che in Italia sia molto difficile trovare lavoro in una compagnia statale se non hai prima frequentato la scuola di ballo affiliata alla compagnia. I danzatori sono tanti, le compagnie poche ed è normale che gli allievi della scuola abbiano la precedenza su danzatori esterni. All’estero è diverso, i direttori cercano talento proveniente da altri paesi, quindi è più facile ottenere lavoro grazie alle proprie doti e non a raccomandazioni che sfortunatamente in Italia sono ancora molto importanti. Senza menzionare la regola degli “aventi diritto” e delle famose graduatorie che vige nelle compagnie italiane. Ballerini in etá pensionabile passano prima di giovani danzatori pieni di talento appena usciti dalla scuola di ballo. La situazione è molto complicata. Ci sono più possibilità di lavoro all’estero dove si viene valutati in base alla propria bravura e non a leggi di anzianità.

Qual è il balletto che più adori del Grande Repertorio?

“La Bella Addormentata” e “Giselle” sono i miei due balletti preferiti.

La differenza tra l’essere un bravo interprete e un bravo insegnante?

Non è detto che un bravo ballerino sia necessariamente un bravo insegnante. La capacità di trasmettere le proprie conoscenze e di saperle comunicare all’allievo sono le doti che contano in un bravo maestro. Se poi a quello ci unisce anche un’esperienza sul palcoscenico come artista allora si ottiene il ritratto dell’insegnante ideale.

Qual è l’arte che ami maggiormente dopo la danza?

Il disegno e il cucito. Sono due passioni che mantengo vive di fianco alla danza. Adoro disegnare e dipingere, l’ho sempre fatto fin da bambino e lo trovo un mezzo per esprimere la mia creatività. Un altro è il cucito, un’arte che mi ha sempre affascinato ma che sono riuscito ad scoprire solo qualche anno fa. Da quando ho iniziato però ho imparato molto in fretta e quest’arte mi sta dando grandi soddisfazioni. Mi sono recentemente specializzato in abbigliamento per la danza e ho finalmente creato la mia linea di body, che riesco anche a vendere online sotto lo pseudonimo Albypretty. È importante per me avere altri interessi e mantenermi sempre impegnato e attivo nel campo artistico.

Alberto, quali saranno le prossime date degli spettacoli con i Trockadero in Italia?

Il 16 febbraio al Teatro Duse di Bologna, il 18 e 19 al Teatro Nuovo di Torino, il 21 al Teatro Alighieri di Ravenna e il 27 e 28 al Teatro Regio di Parma.

Per concludere, un tuo pensiero sull’essenza della “Danza”?

 

Penso che la danza sia emozione e gioia del movimento. È un’arte che unisce molti cuori, e come tutte le forme d’arte non è razionalità ma passione.

Michele Olivieri

 

Foto di Zoran Jelenic / Marcello Orselli

www.giornaledelladanza.com

 

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