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Biagio Tambone: i sogni li realizzo in sala ballo

BIAGIO TAMBONE

Biagio Tambone nato a Milano, si è diplomato alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, divenendo in seguito Solista e poi Primo Ballerino del Corpo di Ballo scaligero. Tra i suoi ruoli ricordiamo: Franz in Coppelia (Martinez), La della delle acque (Ailey), L’idolo d’oro (Makarova), il matto nella Strada (Pistoni), Petrushka (Fokine-Poliakov), James nella Silphide (Flindt), Rothbart nel Lago dei Cigni (Nureyev), il maestro delle danze nella Vedova Allegra (Hynd), Tirrenio in Ondine (Ashton), Lescaut in Manon (McMillan), Mercuzio in Romeo e Giulietta (McMillan/Cranko) e tanti altri prestigiosi ruoli. Biagio Tambone ha creato numerose coreografie tra le quali: Cari Colleghi, Salomè, Women, La danza delle ore, Excelsior Suite, Kodò, Fiori, Gades, Speaking in tongues.

 

Carissimo Biagio, sapevi fin dall’inizio che volevi diventare un ballerino?

Assolutamente sì, e ti dirò di più, volevo essere il ballerino di Raffaella Carrà, poi le cose hanno preso una piega diversa e sono entrato nel fantastico mondo della danza classica e me ne sono innamorato.

 

Qual è stato il tuo percorso didattico e formativo?

Ho frequentato per otto anni la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala poi in seguito tre anni di perfezionamento presso la scuola coreografica del teatro Bolshoi di Mosca (era ancora l’epoca degli scambi culturali).

 

Come descriveresti la tua esperienza presso la Scuola di ballo del teatro alla Scala di Milano, dove ti sei brillantemente diplomato?

Una bellissima esperienza, la scuola era diretta da Annamaria Prina con rigore e disciplina, essenziale per quest’arte.

 

Cosa conservi del periodo a Mosca e quali insegnamenti hai tratto dall’esperienza russa?

Ho un ricordo magnifico, Mosca è una bellissima città, specialmente d’inverno e la scuola ti forniva tutta la didattica possibile per l’epoca. Ho visto in sala prove e in scena i più grandi artisti del momento: Plissetskaja, Ulanova, Vassiliev, Maximova, Besmertnova, Gardiev, Pavlova, Messerer ed altri ancora.

 

Vuoi ricordare in particolare qualche maestro di quell’epoca e perché?

L’insegnante che ricordo con più affetto è sicuramente la mia insegnante di carattere e moderno, Alla Boguslavskaja: era una donna fantastica, splendida docente, assai moderna per il periodo. Il livello di tutti gli altri insegnanti era comunque altissimo, quasi tutti ex solisti o primi ballerini del Teatro Bolshoi.

 

In seguito diventi Solista e poi Primo ballerino scaligero. Come e quando sono arrivate le prestigiose nomine e per mezzo di chi?

Le nomine sono state decise sotto la direzione di Patricia Neary, una direttrice e una donna “speciale”, nel senso buono del termine. È successo tutto molto in fretta, tutto in una stagione… a metà stagione Solista e a fine stagione Primo ballerino.

 

Lo spettacolo di danza che ricordi come il più emozionante al quale hai assistito?

Non ne ho uno in particolare, ogni spettacolo mi trasporta in un mondo fantastico.

 

Mentre tra tutti quelli che hai interpretato da protagonista?

“Il lago dei cigni” di Rudolf Nureyev dove interpretavo Rothbart, “Coppelia”, “Five Tangos”, “La dea delle acque” (una creazione di Alvin Ailey), “L’idolo d’oro” nella Bayadere.

 

In quale ti sei rispecchiato di più?

“Lo zingaro” nel Don Chisciotte, “Abderakman” in Raymonda.

 

Quali sono stati i coreografi che hai amato maggiormente?

Roland Petit, Alvin Ailey, Balanchine, Forsythe. Amo quasi tutti i coreografi dell’Ottocento.

 

Mentre qual è stata la danzatrice, tra le tante che hai avuto in scena, con la quale l’alchimia artistica è risultata perfetta?

Diciamo pure che sono quasi sempre stato fortunato e sono riuscito ad avere una buona intesa con tutte le mie partner, Oriella Dorella, Luciana Savignano, Isabel Seabra, Anyta Magiari, Anna Razzi, Sabrina Brazzo, Marina Fisso (del Teatro Nuovo di Torino), sono le prime che mi vengono in mente… ma in generale con tutte (almeno da parte mia).

 

A tuo avviso quali sono le maggiori qualità, oltre alla tecnica e all’attitudine, che un giovane danzatore deve possedere per intraprendere il percorso coreutico?

Coraggio, perseveranza, costanza e un pizzico di fortuna.

 

Ci sono stati anche momenti negativi durante la tua carriera?

Alcuni, ma chi non ne ha avuti… Poi si va avanti e ci si ricostruisce fisicamente e a volte moralmente.

 

Quali sono stati i sacrifici più grandi che hai fatto in nome della danza?

La danza è un arte che ti assorbe completamente, ti mangia… ma ne vale sempre la pena.

 

Se dovessi dire un “grazie” a qualcuno a chi lo rivolgeresti?

Ai miei genitori innanzitutto, alla Sig.ra Prina, alla Sig.ra Terabust, a Marisa Caprara, a Frederic Olivieri e al Maestro Vaziev, senza dimenticare i pochi amici che mi sono sempre stati vicini.

 

Negli ultimi anni la tendenza della danza maschile ha avuto una piega molto atletica, quali sono le difficoltà maggiori sul piano tecnico e se vogliamo anche psicologico per un danzatore?

Premetto che non amo particolarmente questa piega atletica spesso a scapito delle emozioni, credo si sia perso di vista il confine tra ginnastica e danza.

 

È difficile conciliare una vita privata con la carriera di danzatore, spesso in giro per il mondo?

No assolutamente. Io ho smesso di viaggiare, ma quando lo facevo non ho mai avuto particolari sensazioni di difficoltà.

 

Nel 1987, hai ricevuto il premio Candy e il premio Positano per la danza. Premi molto prestigiosi a coronamento di una carriera di successo?

Ho ricevuto anche il premio “Delle Muse”. Sono stati premi prestigiosi che mi hanno regalato immenso piacere.

 

Ora sei uno stimato insegnante e coreografo. Quali sono le maggiori difficoltà odierne nell’approccio maestro/allievo?

Ogni allievo è un mondo a sé. Cerco sempre di trovare una strada comune per trasmettere ciò che desidero, il problema è che a volte le strade sono autostrade giapponesi o americane… enormi, contorte piene di svincoli e di ponti!!

Oggi ti dedichi alla formazione e alla didattica. Come si riconosce un buon maestro e una buona scuola di danza?

Ti posso dire ciò che ho imparato sulla mia pelle e su ciò che ho visto: non c’è una regola precisa, credo sia una questione senz’altro di conoscenza della didattica, sensibilità e indole pedagogica.

 

Hai creato numerose coreografie di successo e di eccellente fattura. Da dove trai l’ispirazione?

Dalla musica, da un testo, da un’immagine, dall’emozione che mi regala un artista (qualunque età abbia).

 

Cosa non deve mai mancare in una creazione coreografica per non deludere il pubblico e mettere in luce e in risalto le doti dei danzatori?

Un’idea.

 

Qual è l’emozione più viva di tutta la tua carriera?

Tutta la mia carriera è stata ed è emozionante, prima come danzatore ora come insegnante e coreografo.

 

Che cosa ti piace nel mondo della danza e cosa non sopporti?

Mi piace l’idea della realizzazione dei sogni. Non mi piace l’ipocrisia, l’arroganza, la cattiveria, la falsità.

 

Cosa è cambiato nella danza dai tuoi tempi ai giorni d’oggi?

Credo che prima si badasse molto di più al lato emozionale della danza, ora è il contrario.

 

Hai ancora un sogno “in danza” da realizzare?

Ho tanti sogni grandi difficilmente realizzabili, ma i sogni più belli li realizzo in sala ballo con i miei allievi.

Michele Olivieri

 

www.giornaledelladanza.com

 

 

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