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Carlo Di Dio: “I ballerini devono essere versatili” [ESCLUSIVA]

Carlo-Di-Dio

Carlo Di Dio ha studiato presso la Scuola di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli e ha concluso il suo percorso formativo presso la Scuola di Danza Classica “Harmony” diretta dal Maestro Arnaldo Angelini, suo maestro di vita, oltre che di danza. Dopo aver collaborato, tra gli altri teatri, con il Teatro San Carlo di Napoli, il Teatro Massimo di Palermo, è approdato al San Diego Ballet e poi al California Ballet sotto la direzione di Maxine Mahon, compagnia dove ha lavorato a lungo come Principal. In questa intervista esclusiva si racconta al Giornale della Danza.

Quando e come hai deciso di diventare un danzatore?

Sicuramente devo ringraziare mia madre per aver intuito la mia passione quando ancora ero molto piccolo. Mi raccontava che mi vedeva ballare davanti la TV e ha colto l’opportunità di iscrivermi al primo anno di danza quando Enzo Gadaleta ha fatto nascere la prima scuola di danza di Procida. Avevo 8 anni quando ho iniziato, e da quel momento ho intrapreso un percorso importante che mi ha permesso di andare avanti e seguire la mia passione. Poi, negli anni successivi, ho avuto la possibilità di entrare a far parte della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli ed essere selezionato per lavorare in molte produzioni della Compagnia quando ancora ero nella scuola. Esperienze gratificanti.

I tuoi principali Maestri?

Negli anni, girando l’Europa e gli Stati Uniti, ho avuto la fortuna di lavorare e migliorarmi tecnicamente con molti Maestri come per esempio Elisabetta Terabust, Willy Burmann, Giuseppe Della Monica, Luciano Cannito, Ricardo Nunez, Frederic Olivieri, Thor Sutowski, per menzionarne alcuni. Poi secondo me è importante distinguere il lavoro tecnico di base, quindi quel lavoro tecnico fondamentale che ti dà la possibilità di iniziare ed affermarti come professionista, e il lavoro artistico che si apprende lavorando in sala con i coaches, con l’esperienza di palcoscenico e con il circondarsi di persone che sanno guidarti nel modo giusto. Per esempio, il grande lavoro che ho fatto con il Maestro Angelini quando ero alla Scuola “Harmony” di Napoli dire che è stato fondamentale per me è poco. Credo non sarei qui a parlare di queste cose se non fosse stato per le conoscenze tecniche del Maestro Angelini, ma anche per la costanza e la determinazione di entrambi. Il Maestro mi diceva sempre: “50 per cento io e 50 per cento tu. Io senza di te non posso far niente e tu senza di me non puoi far niente”. Si riferiva alle conoscenze tecniche e all’etica del lavoro che ci vuole per andare avanti in questo campo difficile. In quei due anni siamo andati avanti per la nostra strada senza pensare a niente e a nessuno. Tutti e due guidavamo nella stessa direzione. Poi, quando da diplomato ho firmato il mio primo contratto da professionista, ho avuto la fortuna di proseguire quel percorso artistico con il Maestro Cannito. D’altra parte, i passi di danza sono solo un mezzo per esprimere emozioni, quindi la tecnica è importantissima, ma danzare è un’altra cosa.

Ad un certo hai deciso di lasciare il tuo Paese per intraprendere la tua carriera in USA, un cambiamento radicale, quando e come è maturata in te questa scelta?

Sì, ho deciso di lasciare l’Italia in un momento anche molto favorevole per me. Stavo lavorando molto in quel periodo, ma mi hanno insegnato a guardare lontano e quindi anche se il momento era positivo ho deciso di provare a fare una nuova esperienza, anche di vita. Purtroppo, i teatri in Italia continuavano a chiudere i Corpi di Ballo e questa cosa mi faceva soffrire molto. Per esempio, uno dei Corpi di Ballo dove mi sarebbe piaciuto lavorare era quello del Maggio Fiorentino, oppure quello all’Arena di Verona, entrambi chiusi quando ero nel momento migliore della mia carriera. Mi è difficile credere che non si faccia niente per riaprire le compagnie di balletto in Italia. Negli States, con un po’ di fortuna e tanta passione e tenacia, devo dire che mi è andata bene.

Quali sono state le difficoltà incontrate nel tuo percorso?

Già da subito devo dire che fu tutto in salita. Oltre a non conoscere la storia, la mentalità della maggioranza delle persone non è al passo con i tempi. Alle scuole elementari i compagni di scuola mi prendevano in giro perché facevo Danza. Molti ballerini maschi sapranno di cosa sto parlando. Quando poi la storia ci insegna che dall’inizio fino alla metà del ‘700, quando le accademie di danza iniziavano a crearsi, gli unici ad essere ammessi erano i ragazzi. Poi seguiti dalle donne alla fine del ‘700. Ma io sono sempre andato avanti per la mia strada e non ho mai dato peso alle cose che dicevano.  Un’ altra difficoltà che ho avuto all’inizio è stata l’ambientarmi con la cultura americana che è abbastanza diversa dalla nostra, anche per un discorso di conoscenza della lingua. Però sono orgoglioso di quello che ho fatto e continuo a fare. Le difficoltà ci saranno sempre, fa parte della vita. È come rispondiamo alle difficoltà che fa la differenza.

Da europeo trapiantato in America, quali sono le maggiori differenze che hai riscontrato in riferimento alla Danza?

Sicuramente la mentalità, ma anche da un lato fisico ci sono molte differenze. Qui negli States le compagnie fanno contratti fino a 40 settimane, il che vuol dire che non puoi adagiarti sul fatto che hai ricevuto un contratto e che quindi riceverai il contratto per l’anno seguente automaticamente. È sempre uno stare e mantenersi in forma continuo. Qui nessuno ti regala niente. Anche da un lato fisico ci sono differenze, durante l’anno le produzioni sono tante rispetto a quello a cui ero abituato in Italia. Quindi ho dovuto abbinare anche altre discipline come il Pilates e il nuoto, oltre che alla palestra, per riuscire ad essere pronto alle maratone dei vari Dracula e Schiaccianoci.

Le principali tappe del tuo percorso artistico?

Se dovessi fare una breve analisi della mia carriera artistica sceglierei le seguenti tappe: il mio inizio alla Scuola Harmony, il mio primo contratto al Teatro Massimo e l’approdo negli Stati Uniti con conseguente Laurea in Business alla San Diego State University. Queste sono state tappe che mi hanno segnato e fatto maturare come uomo.

Lo stile in cui ti riconosci di più?

Sono un uomo dall’animo gentile. Sicuramente mi riconosco nello stile classico dei balletti romantici come, ad esempio, Giselle e Romeo e Giulietta, ma di questi tempi i ballerini devono essere versatili, devono saper passare dal balletto classico al contemporaneo molto velocemente.

Hai mai pensato di ritornare in Italia?

In questo periodo di pandemia ci ho pensato molto spesso. Questa situazione mi ha fatto riflettere molto e rivalutare tante cose. Non posso nascondere che è un periodo molto pesante. Ora come ora mi sarebbe piaciuto molto poter star vicino alla mia famiglia. Dovrebbero comunque andarsi a creare delle condizioni affinché io possa ritornare in Italia. Non escludo di ritornare in Europa magari per qualche anno, per quanto riguarda l’Italia vedremo.

Come stai affrontando questo difficile momento generato dalla pandemia COVID-19?

Credo come lo stanno affrontando un po’ tutti. Difficile da credere che da un anno siamo in questa situazione. Dal lato emotivo, come ho già affermato, è stato e sta continuando ad essere un periodo molto pesante. Qui negli States non siamo in lockdown in questo momento, ma ci sono molte limitazioni quindi la voglia di fare qualcosa c’è, ma poi non lo fai perché devi stare attento a tante cose. Lavorativamente parlando invece molto bene. Poiché molte scuole sono in stand-by a causa della pandemia ho ricevuto molte proposte da genitori per seguire i figli a livello privato. La tecnologia qui negli States non manca e quindi si è lavorato tanto.

Progetti futuri?

Moltissimi. Gli studenti che avevano iniziato a seguire lezioni private con me e mia moglie Bernadette Torres, all’inizio del lockdown, hanno accettato la nostra proposta di far parte di un programma di danza tutto nostro, il Torres Di Dio Ballet Program. Questo programma di danza nasce come un programma che vuole insegnare non solo la tecnica, quella di qualità, ma vuole insegnare i veri valori della danza. Vogliamo insegnare quei valori che gli studenti possono ritrovare utili nella loro vita, sia se vorranno far parte del mondo della danza sia se decideranno di fare qualcos’altro. Inoltre, questo programma si propone come obiettivo dare un’educazione della danza a 360 gradi, includendo la storia e altre discipline come il Pilates. Tutto sta procedendo secondo i piani, vedremo se riusciamo a creare qualcosa di importante a San Diego. Lavoreremo duramente per farlo.

 

 Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

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