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Rubriche

Il Danseur Étoile Gil Isoart “allo specchio”

Balletto classico preferito? Il Lago dei Cigni. Balletto contemporaneo preferito? Le Sacre di Pina Bausch. Il Teatro del cuore? L’Opéra de Paris. Un romanzo da trasformare in un balletto? La pitié dangereuse di Stefan Zweig. Un film da cui trarre uno spettacolo di balletto? Mission. Il costume di scena che hai indossato e che hai preferito? Golden Idole nella versione di Rudolf Nureyev. Quale colore associ alla danza? La luce. Che odore ha la danza? La colofonia. La musica più bella scritta per il balletto? Il lago dei cigni. Il film di danza imperdibile? Due vite, una svolta di Herbert Ross. Due miti della danza del passato, maschile e femminile? Louis XIV e Isadora Duncan. Il tuo “passo di danza” preferito? La pirouette. Chi avresti voluto essere nella vita reale tra i personaggi del grande repertorio del balletto classico? Non troppo tragico ha ha ha …al limite Basilio! Chi è stato il genio per eccellenza dell’arte coreografica? Marius Petipa. Ripensandoci, se incontrassi Tersicore, cosa le diresti? Grazie! Tre parole per descrivere la disciplina della danza? Bellezza, Emozione, Disciplina. Come ti vedi oggi allo specchio? Soddisfatto! Michele Olivieri www.giornaledelladanza.com © Riproduzione riservata

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Rudolf Nureyev: perché veniva chiamato “il tartaro volante”?

Quando Rudolf Nureyev si lanciava in aria, sembrava che la gravità perdesse validità. Il pubblico tratteneva il respiro, sospeso con lui in una frazione di eternità. Non era solo un salto: era una dichiarazione d’indipendenza. Da uomo. Da artista. Da figlio dell’Asia e simbolo dell’Occidente. E fu proprio per questo che il mondo iniziò a chiamarlo Il tartaro volante. La stampa europea lo coniò con romanticismo quasi orientaleggiante. Tartaro evocava qualcosa di primitivo, fiero, indomabile. Una parola che funzionava come etichetta poetica per una figura fuori dai canoni. Nato in un treno transiberiano, cresciuto nella steppa e addestrato con rigore sovietico, Nureyev non era solo un ballerino: era un uragano. Il termine “volante” era, al contrario, perfettamente esatto. Il suo corpo non danzava: si librava. Chiunque abbia visto i suoi salti — che sfidavano le leggi della fisica con una sospensione surreale — capisce che non si trattava di semplice tecnica. C’era qualcosa di più. Come se ogni battito d’ali danzante fosse un atto di fede nella possibilità di elevarsi oltre il corpo e il tempo. Nureyev non fu mai addomesticabile. Nel 1961, quando decise di disertare durante una tournée del Kirov a Parigi, la sua fuga non fu solo ...

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Il Sujet Antonio Conforti “allo specchio”

Il balletto classico preferito? Giselle. Il balletto contemporaneo prediletto? La sagra della primavera di Pina Bausch. Il Teatro del cuore? Palais Garnier. Un romanzo da trasformare in balletto? L’idiota di Dostojevski. Mentre un film da cui ricavare uno spettacolo di balletto? La dolce vita di Federico Fellini. Il costume di scena indossato che hai preferito? Il grande mantello di Rothbart, difficile da manipolare ma ti fa sentire potente, dando grande peso e autorità al personaggio. Quale colore associ alla danza? Il bianco, lo spazio infinito e puro da cui nasce ogni gesto. Che profumo ha la danza? Profumo di libertà. La musica più bella scritta per balletto? I balletti di Tchaikovsky. Il film di danza irrinunciabile? Billy Elliot. Due miti della danza del passato, uomo e donna? Rudolf Nureyev e Carla Fracci. Il tuo “passo di danza” preferito? I manège. Chi ti sarebbe piaciuto essere nella vita tra i ruoli del grande repertorio di balletto classico? Armand Duval nella Signora delle Camelie. Chi è stato il genio per eccellenza nell’arte coreografica? Adoro l’emozione e la delicatezza delle coreografie di Jérôme Robbins. L’atmosfera intima e il suo modo di mettere in scena le relazioni umane. Tornando indietro, se incontrassi Tersicore, cosa ...

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La Principal Dancer Sarah Lamb “allo specchio”

Balletto classico preferito? Il Lago dei Cigni. Balletto contemporaneo preferito? Chroma. Il Teatro del Cuore? La Royal Opera House è casa mia, ma è a Tokyo che ho avuto alcune delle mie performance più memorabili, al Bunka Kaiken. Un romanzo da trasformare in un balletto? La valle dell’Eden di John Steinbeck. Un film da cui trarre uno spettacolo di balletto? Amadeus… almeno la colonna sonora sarebbe fenomenale. Il costume di scena che hai indossato e che hai preferito? Sono molto esigente, ma alla fine Yugen aveva costumi che si muovevano magnificamente ed erano così comodi. Quale colore associ alla danza? Rosso. Deve essere rosso perché è vita, morte e amore, tutti espressi nel balletto. Che odore ha la danza? Piedi sudati. La musica più bella scritta per il balletto? Romeo e Giulietta di Prokoviev Il film di danza imperdibile? Cantando sotto la pioggia e West Side Story con la coreografia di Jerome Robbins. Due miti della danza del passato, maschile e femminile? Scelgo la mia insegnante, Tatiana Nicolaevna Legat, e suo marito, Jurij Vladimirovič Solov’ev. Il tuo “passo di danza” preferito? Chaîné débouillé. Chi avresti voluto essere nella vita reale tra i personaggi del grande repertorio del balletto classico? Non ...

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Giuseppina Bozzacchi: la stella effimera del balletto romantico

Nel firmamento della danza classica dell’Ottocento, alcune stelle brillarono solo per un istante, ma lasciarono un’impronta indelebile nella storia del balletto. Una di queste è Giuseppina Bozzacchi, giovane ballerina italiana che, sebbene vissuta solo diciassette anni, è diventata simbolo della bellezza effimera dell’arte e della vita. Giuseppina Bozzacchi nacque il 23 novembre 1853 a Milano, in una città che all’epoca era già uno dei centri nevralgici della cultura operistica e coreutica europea. Fin da giovanissima mostrò un talento fuori dal comune per la danza. Fu indirizzata verso un’educazione rigorosa, come voleva la prassi dell’epoca, che richiedeva anni di disciplina ferrea e una totale dedizione. Nonostante la brevità della sua carriera, Bozzacchi fu allieva di maestri importanti, tra cui potrebbe essere annoverato anche il coreografo Arthur Saint-Léon, che la notò giovanissima e la volle con sé a Parigi, città in cui si sarebbe svolto il capitolo più importante – e tragico – della sua vita. Il nome di Giuseppina Bozzacchi è indissolubilmente legato al balletto Coppélia, capolavoro del repertorio romantico, con musiche di Léo Delibes e coreografie di Saint-Léon. Il balletto debuttò il 25 maggio 1870 all’Opéra di Parigi. Bozzacchi, allora appena sedicenne, fu scelta per il ruolo principale di Swanilda. ...

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Danza Classica: un atto di bellezza e cura verso sé stessi

C’è una bellezza silenziosa nella danza classica, che non vive solo sul palcoscenico ma si costruisce, giorno dopo giorno, in sala. Non è fatta di applausi né di riflettori, ma di attenzione, disciplina e amore per ogni dettaglio. È una forma d’arte, sì, ma anche un modo profondo e personale di prendersi cura di sé. Quando si entra in sala danza, si lascia fuori il rumore del mondo. Il tempo si dilata, il respiro si fa più lento, il corpo diventa presenza. Ogni movimento – anche il più semplice – è un atto di consapevolezza: una scelta di esserci, di ascoltarsi, di ricercare armonia tra mente e corpo. A differenza di ciò che molti pensano, la danza classica non è solo rigore. È anche gentilezza: verso i propri limiti, verso il corpo che cambia, verso gli errori che insegnano. Si impara a migliorare senza giudicarsi, a cadere senza punirsi, a riprovare con pazienza. Ogni lezione diventa così una forma di dialogo interiore, in cui la disciplina non è una costrizione, ma una cura quotidiana. In un’epoca in cui il corpo è spesso oggetto di confronto o controllo, la danza classica ci invita a riconoscerlo come casa. Un luogo da ascoltare, ...

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L’étoile Giuseppe Picone “allo specchio”

Il balletto classico preferito? Giselle e Romeo e Giulietta. Il balletto contemporaneo prediletto? La Petite Mort di Jiří Kylián. Il Teatro del cuore? Sono quattro: Teatro di San Carlo, Arena di Verona, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro dell’Opera di Vienna. Un romanzo da trasformare in balletto? L’amica geniale di Elena Ferrante. Mentre un film da cui ricavare uno spettacolo di balletto? Ghost di Jerry Zucker. Il costume di scena indossato che hai preferito? I costumi del Principe Desirée nel balletto La Bella Addormentata. Quale colore associ alla danza? Il verde perché rappresenta la vita, la crescita e la speranza di vivere il proprio sogno artistico. Che profumo ha la danza? Di pura passione. La musica più bella scritta per balletto? Il Lago dei Cigni di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Il film di danza irrinunciabile? Due vite, una svolta di Herbert Ross. Due miti della danza del passato, uomo e donna? Rudolf Nureyev e Carla Fracci. Il tuo “passo di danza” preferito? Grand Jeté. Chi ti sarebbe piaciuto essere nella vita tra i ruoli del grande repertorio di balletto classico? Nessuno. Chi è stato il genio per eccellenza nell’arte coreografica? George Balanchine. Tornando indietro, se incontrassi Tersicore, cosa le diresti? Ti amo! ...

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Répétiteur: il custode della memoria coreutica

In ogni grande spettacolo di danza, tra le luci di scena e gli applausi, si cela una presenza invisibile ma determinante. Non sale sul palco, non indossa tutù né scarpe da punta, eppure la sua impronta è in ogni gesto, in ogni pausa carica di significato, in ogni respiro condiviso sul palcoscenico. È il ripetitore, custode di un sapere che non si legge nei libri, ma si trasmette con il corpo, la voce e la pazienza. Il ripetitore è, per molti versi, un traduttore del tempo. Traduce la visione del coreografo in linguaggio vivo, plasmato sul corpo dei danzatori di oggi. Il suo compito va oltre l’insegnamento tecnico: egli ricostruisce atmosfere, intenzioni, silenzi, tensioni emotive. Dove il coreografo ha lasciato un’impronta, il répétiteur la rianima, passo dopo passo. Non si limita a correggere posizioni sbagliate o a contare i tempi musicali: scava nella memoria del balletto per riportare alla luce ciò che rischia di sbiadire — un accento, uno sguardo, un’ombra che attraversa la scena. Questa figura professionale non si improvvisa: spesso si tratta di ex ballerini che hanno vissuto in prima persona le opere che ora trasmettono. Alcuni hanno lavorato a stretto contatto con i coreografi originali. Altri sono ...

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La Direttrice Artistica Amanda Bennett “allo specchio”

Balletto classico preferito? Tra i balletti classici tradizionali: La Bella Addormentata. Inoltre, le opere di Balanchine, come Serenade, Concerto Barocco, Duo Concertant e molte altre. Balletto contemporaneo preferito? Le opere di William Forsythe. Mi è piaciuto anche Grand Finale di Hofesh Shechter. Il teatro del cuore? I miei teatri preferiti sono il Koch Theater al Lincoln Center di New York (ex State Theater), il palcoscenico della Semper Oper di Dresda è fantastico e ho un debole e bellissimi ricordi del palcoscenico del Theater Basel. Un romanzo da trasformare in un balletto? Non sono una coreografa, ma forse Via col vento di Margaret Mitchell. Un film da cui trarre uno spettacolo di balletto? Di nuovo, forse Via col vento, prodotto da David O. Selznik e diretto da Victor Fleming. Il costume di scena che hai indossato e che hai preferito? Il mio secondo costume da La fille mal gardée di Heinz Spoerli e il mio costume “russo” dal terzo atto del Lago dei cigni di Spoerli. Quale colore associ alla danza? Bianco, soprattutto la luce bianca, poiché comprende tutti i colori dello spettro visibile. Che odore ha la danza? Come la somma di tutte le emozioni e l’intelletto umano. La musica più bella scritta per ...

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La rigorosa e nobile disciplina della danza classica

Dietro la leggerezza di un arabesque e la grazia di un fouetté, la danza classica cela un sistema di disciplina ferreo, quasi ascetico. Nulla in questo universo è lasciato al caso: ogni movimento, ogni gesto, ogni respiro nasce da anni di studio, ripetizione e controllo assoluto del corpo. Sin da piccoli, gli allievi delle accademie più prestigiose — come la Vaganova, l’Opéra o la Scala — imparano che la libertà si conquista attraverso la regola. Le giornate iniziano con ore alla sbarra, dove il corpo viene scolpito con una precisione chirurgica. La postura, la rotazione delle anche, l’equilibrio: tutto deve essere perfetto. Ma non si tratta solo di forma. La disciplina diventa una mentalità, un modo di stare nel mondo. Il dolore è parte del percorso. Le punte feriscono, i muscoli cedono, ma la resilienza del danzatore è silenziosa. Nessun lamento, solo lavoro. E l’insegnante, figura severa ma fondamentale, osserva ogni progresso con occhio critico: guida e specchio, esempio e confine. In questo ambiente, la disciplina non è una gabbia, ma una chiave: permette al danzatore di trasformare la tecnica in espressione, la fatica in leggerezza. È un linguaggio che si impara con il corpo, ma che cambia anche la ...

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