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Storia e Cultura

Angelina Fioretti: la danzatrice milanese che incantò Parigi

In un’epoca in cui la danza classica stava attraversando una delle sue trasformazioni più affascinanti, tra romanticismo e virtuosismo tecnico, una giovane ballerina italiana si fece largo con grazia e determinazione: il suo nome era Angelina Fioretti. Nata probabilmente a Milano intorno al 1843, Angelina crebbe nella capitale lombarda, dove si formò artisticamente sotto la guida di uno dei maestri più influenti dell’epoca: Carlo Blasis, noto per il suo approccio rigoroso e quasi scientifico alla tecnica della danza. Fu proprio grazie a questa solida base che Fioretti riuscì a entrare giovanissima nel prestigioso corpo di ballo del Teatro alla Scala, tempio della musica e della danza. Il talento non tardò a farsi notare, e ben presto varcò i confini nazionali. Parigi, con la sua Opéra, l’attendeva. Il debutto parigino avvenne il 28 dicembre 1863, quando Angelina si esibì in un divertissement ispirato al Mosè di Rossini, con coreografie curate da Lucien Petipa, fratello del celebre Marius. In breve tempo, Fioretti divenne una presenza fissa sulle scene dell’Opéra, interpretando ruoli da protagonista in balletti firmati dai coreografi più in voga del momento. Tra le sue interpretazioni più acclamate si ricordano Gloriette in Marché des Innocents (1864), Néméa nel balletto Néméa ou ...

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L’estetica è la grammatica della danza classica

Ogni gesto, ogni posa, ogni equilibrio nella danza classica accademica è il frutto di un processo di stilizzazione che ha come scopo non la semplice bellezza, ma l’ideale. Qui l’estetica non è ornamento: è fondamento. È la grammatica invisibile che guida l’occhio e l’emozione. Dietro la leggerezza apparente si cela un corpo che ha imparato a dominarsi e a farsi forma pura. Sul palco, la danza classica costruisce un mondo coerente: i costumi amplificano la geometria del corpo, la musica lo guida con rigore e passione, la scenografia crea lo sfondo di un altrove immaginario. Tutto concorre a generare una dimensione estetica totale, in cui nulla è lasciato al caso. Il balletto, in questo senso, è un rituale visivo: eleganza, controllo e armonia si fondono per produrre un’esperienza quasi spirituale. L’estetica della danza classica resiste come un gesto nitido: l’en dehors e la simmetria delle linee non sono scelte stilistiche. Sono uno spazio di perfezione in cui il tempo si ferma e il corpo sogna. Michele Olivieri www.giornaledelladanza.com ©️ Riproduzione riservata

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La danza classica torna utile in ogni ambito della crescita

Ci sono passioni che nascono presto, a volte già davanti a uno specchio o osservando un passo di danza in televisione. La danza classica è una di quelle magie che cattura i bambini per la sua eleganza, la musica e la sensazione di libertà che nasce dal movimento. Ma dietro il fascino del tutù e delle scarpette di raso, c’è molto di più: un percorso educativo completo che accompagna i piccoli nella crescita fisica ed emotiva. Fin dai primi anni, la danza classica aiuta i bambini a conoscere il proprio corpo e a comunicare attraverso di esso. Imparano che un gesto, un passo o una semplice posizione possono raccontare emozioni. In un mondo in cui i bambini trascorrono sempre più tempo seduti o davanti agli schermi, la danza rappresenta un’occasione preziosa per riscoprire il piacere del movimento e della presenza fisica. La danza classica è una scuola di vita. Insegna la disciplina, la concentrazione e la costanza — qualità che torneranno utili in ogni ambito della crescita. Allo stesso tempo, per i più piccoli la lezione è anche un momento di gioco, fantasia e scoperta. Attraverso esercizi semplici e divertenti, i bambini apprendono le basi della tecnica senza perdere il ...

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I regali lussuosi alle ballerine romantiche dell’Ottocento

Nel velo sottile della danza romantica dell’Ottocento, oltre ai passi leggeri e alle luci soffuse dei palcoscenici, si nascondeva un universo di passioni e simboli segreti. Tra le pieghe dei tutù vaporosi e le frange delicate dei veli, fiorivano anche i regali preziosi, offerti dagli ammiratori alle loro muse eteree: le ballerine. Quei doni erano più di semplici oggetti: erano messaggi d’amore sussurrati in segreto, promesse di devozione, simboli tangibili di un sentimento spesso proibito o inaccessibile. Gli ammiratori dell’epoca non badavano a spese. Collane di perle, fili di diamanti, orecchini scintillanti, bracciali d’oro finemente lavorati, tutti pensati per illuminare il viso delle stelle del balletto. Le perle, con la loro purezza e la loro lucentezza discreta, erano il regalo più ambito, simbolo di innocenza e mistero, proprio come le figure eteree che queste ballerine incarnavano sul palco. C’erano anche i ventagli intarsiati d’avorio e dipinti a mano, oggetti di rara eleganza, usati non solo come accessori, ma come strumenti di una conversazione segreta fatta di sguardi e movimenti leggeri. Un ventaglio poteva racchiudere un messaggio, una dichiarazione d’amore, un invito sottile. Non mancavano, naturalmente, i fiori: mazzi di rose, gigli e orchidee, ma non semplici fiori. Venivano spesso portati ...

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Petipa e Ivanov: architettura e respiro del Balletto Classico

C’era un tempo in cui il balletto non aveva la pretesa di essere eterno. Ogni gesto, ogni passo, ogni arabesque svaniva nell’aria appena tracciato. Le coreografie non si scrivevano, si trasmettevano. Vivevano nel corpo di chi danzava e scomparivano con lui. Eppure, proprio in quell’epoca effimera, tra il marmo dei teatri imperiali e la polvere delle tavole di scena, due uomini hanno scolpito la forma stessa di ciò che oggi chiamiamo balletto classico: Marius Petipa e Lev Ivanov. Marius Petipa, nato a Marsiglia nel 1818, non era destinato alla Russia, ma fu la Russia a destinarlo al mito. Figlio di un maestro di danza, assorbì il vocabolario teatrale fin dalla culla. Ma fu nel gelo pietroburghese che la sua vocazione trovò forma: la coreografia come architettura. I suoi balletti – da La Bayadère a Raymonda, da Don Quixote a Le Corsaire – non erano solo danze, ma cattedrali costruite con corpi. Petipa era un compositore di spazi, un regolatore della geometria scenica. In lui, la danza diventava ordine, disciplina, narrazione mitica. I suoi celebri pas d’action, la simmetria delle formazioni, il modo in cui coreografava le masse e la narrazione, trasformavano ogni balletto in una macchina teatrale perfettamente oliata. La ...

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L’amore per la danza classica è per tutta la vita

L’amore per la danza classica non esplode come un colpo di fulmine. È una fiamma lenta che si accende nelle aule con il pavimento in legno, davanti a specchi sinceri che riflettono ogni sbaglio, ogni progresso, ogni emozione. Si insinua nei muscoli che tremano alle prime posizioni, nelle mani che cercano equilibrio e negli occhi che imparano a parlare senza voce. Chi ama la danza classica, sa che essa non concede nulla con facilità. È una maestra esigente, a volte severa, che richiede disciplina, costanza e sacrificio. Ma è proprio in questa lotta quotidiana — contro il limite, la stanchezza, il tempo — che nasce l’amore vero. La passione per la danza classica è fedele, anche quando il corpo non segue più come prima. Rimane anche quando le luci del palcoscenico si spengono, perché vive nei gesti, nella postura, nel modo di camminare. Si trasforma in insegnamento, in memoria, in rispetto profondo per un’arte che ha parlato con il linguaggio del corpo. Chi ha amato — e ama — la danza classica, porta dentro di sé una forma di bellezza che non invecchia. È la bellezza dell’impegno, dell’eleganza, della grazia nascosta dietro ogni gesto studiato per anni. È l’amore per ...

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Anna Pavlova a Milano rafforzò le ali della sua leggenda

Milano, agli inizi del Novecento, era ben più che la capitale economica d’Italia: era una tappa d’obbligo per chi aspirava all’eccellenza artistica. E tra i suoi allievi più illustri c’è una figura che ancora oggi incarna la quintessenza della grazia nel balletto: Anna Pavlova. Nata a San Pietroburgo nel 1881 e formatasi nella rigorosa Scuola Imperiale di Danza, Pavlova trovò nella capitale lombarda un fondamentale punto di svolta. La sua tecnica, pur già raffinata, doveva ancora trovare quella solidità che le avrebbe permesso di danzare leggera come un pensiero e precisa come un metronomo. Fu proprio a Milano, sotto la guida della celebre Caterina Beretta, che Anna Pavlova ricevette la lezione più preziosa della sua carriera. Beretta, direttrice della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, era conosciuta per il suo approccio severo e meticoloso. Aveva formato étoile come Pierina Legnani e lasciava in ogni allieva un’impronta di rigore tecnico che faceva la differenza sul palcoscenico. “La mia tecnica migliorò enormemente dopo il periodo di studio a Milano,” avrebbe affermato Anna Pavlova in più occasioni, secondo fonti storiche del balletto europeo. Non è un caso che il maestro Enrico Cecchetti, simbolo della scuola italiana di danza, sia stato successivamente uno ...

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Serge Lifar e la sua straordinaria eredità editoriale

Serge Lifar (1905-1986) è senza dubbio una delle figure più influenti e rivoluzionarie della danza del XX secolo. Non solo un danzatore eccezionale, ma anche un coreografo innovativo, Lifar ha lasciato un segno indelebile nel mondo della danza classica e moderna. Oltre alla sua attività sul palcoscenico, Lifar ha avuto un’intensa produzione letteraria che testimonia la sua profonda riflessione sull’arte del movimento, la tecnica e la storia della danza. Nato a Kiev, Lifar si trasferì a Parigi per unirsi ai Ballets Russes di Serge Diaghilev, dove divenne rapidamente una stella di prima grandezza. Dopo la morte di Diaghilev, Lifar assunse la direzione dell’Opéra di Parigi, rinnovando repertori e stili. La sua danza si caratterizzava per un’eleganza rigorosa e un virtuosismo che fondava tradizione e innovazione. Oltre a danzare e coreografare, Lifar ha scritto numerosi libri, che spaziano da trattati tecnici a memorie personali e saggi storici. Le sue opere riflettono non solo la sua maestria tecnica, ma anche una riflessione profonda sull’essenza della danza. Tra le sue opere più importanti si annoverano: Le manifeste du chorégraphe (1935), dove Lifar espone la sua visione innovativa del coreografo come artista totale; Traité de danse académique (1949), un testo fondamentale per chi vuole ...

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“Settima posizione” nel neoclassicismo francese di Lifar

La settima posizione nella danza è un argomento interessante, perché non fa parte del sistema canonico di posizioni dei piedi definito nel balletto classico accademico moderno (quello codificato da Pierre Beauchamp e poi sistematizzato da Feuillet e da Carlo Blasis). Tuttavia, il termine settima posizione è esistito storicamente e compare in alcuni contesti specifici. Nel XVII secolo, durante il periodo di Luigi XIV (quando nacque la danza accademica francese), furono formalizzate le cinque posizioni dei piedi che conosciamo oggi. Tuttavia, alcuni trattati antichi di danza (in particolare quelli di Beauchamp e Rameau) menzionano una sesta e talvolta una settima posizione, che però non sono sopravvissute nella codificazione moderna. Nel XVIII e XIX secolo, la settima posizione indicava: una posizione derivata dalla quinta, ma con una gamba davanti e l’altra dietro in punta o demi-pointe, come una posizione di transizione. In alcuni casi, una posizione “en croix”, ovvero con un piede puntato lateralmente (una variante più ampia della quarta o della quinta). In altre scuole (soprattutto in quella italiana ottocentesca, come nel metodo Cecchetti), si parlava di sette posizioni, includendo la sesta (piedi paralleli, posizione naturale) e la settima come una posizione derivata dal movimento o dall’en dehors estremo. Oggi il ...

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Storia della “sesta posizione” nell’arte della danza

Le posizioni dei piedi nella danza classica nascono alla corte di Luigi XIV, ma la loro base risale ai maestri di danza del Rinascimento italiano e francese (come Domenico da Piacenza, Guglielmo Ebreo e Fabritio Caroso). Questi maestri insegnavano danze di corte che prevedevano l’en dehors. Con Pierre Beauchamp, maître de ballet alla corte di Luigi XIV, si codificano cinque posizioni fondamentali dei piedi, divenute la base della tecnica accademica. Raoul-Auger Feuillet, nel suo trattato Chorégraphie (1700), le descrive e le fissa per iscritto. Da quel momento, le cinque posizioni canoniche — tutte basate sulla rotazione esterna delle gambe — divennero il fondamento universale della tecnica del balletto. In questa fase, una sesta posizione non esisteva: l’ideale estetico era quello della simmetria, dell’apertura e dell’equilibrio. Nonostante la codificazione in cinque, alcuni trattati antichi e ottocenteschi citano una sesta posizione per motivi pratici o didattici. Carlo Blasis, teorico e maestro italiano dell’Ottocento, nelle sue opere (Traité élémentaire, théorique et pratique de l’art de la danse, 1820; The Code of Terpsichore, 1828), menziona occasionalmente una posizione neutra o di riposo, con i piedi paralleli e uniti, definendola sixth position. (Tuttavia, egli stesso la considerava non fondamentale, ma utile per la preparazione o il riposo). ...

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