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Storia e Cultura

Rita Sangalli: dall’Accademia della Scala alle ribalte del mondo

Nel cuore dell’Ottocento emerse una figura destinata a lasciare un’impronta profonda nella storia del balletto: Rita Sangalli. Nata il 20 agosto 1849 ad Antegnate, nella bergamasca, Rita fu molto più di una semplice ballerina: fu pioniera, innovatrice e musa in un’epoca in cui la danza era in trasformazione. La passione per la danza la portò giovanissima alla Scuola del Teatro alla Scala di Milano, dove si formò sotto la guida del coreografo Auguste Hus. A tredici anni era già in scena, dimostrando un talento che non poteva restare confinato ai teatri di provincia. Il debutto ufficiale arrivò nel 1865 con il balletto Flik e Flok, ma era solo l’inizio di un percorso straordinario. Nel 1866 Rita fece una scelta audace: salpò verso gli Stati Uniti. A New York, collaborò con Maria Bonfanti nello spettacolo The Black Crook, considerato da molti il primo musical della storia. Non si limitò a esibirsi: fondò una sua compagnia, portando il balletto classico in luoghi allora periferici alla scena culturale, come la California e l’Oregon. Dopo aver conquistato il Nuovo Mondo, Rita tornò in Europa e si stabilì a Parigi, dove nel 1872 entrò nel corpo di ballo dell’Opéra de Paris, all’epoca il palcoscenico più ambito ...

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Odette e Odile: il doppio volto dell’anima

In un regno sospeso tra sogno e destino, dove la musica non è solo suono ma respiro, vivono due nomi – Odette e Odile – specchio e ombra dello stesso battito d’ali. Odette, candore che danza nella luce dell’alba, cigno bianco di un’anima prigioniera, è la promessa dell’amore puro, l’innocenza che resiste al sortilegio del tempo. Odile, nera come la notte che seduce, è la scintilla del desiderio travestita da verità, il volto che mente con grazia e sorriso, l’incanto dell’illusione fatta carne e pirouette. Due corpi, un solo danzare. Un’unica ballerina che li incarna entrambi: non come scelta, ma come necessità. Perché dentro ogni essere umano coabitano la grazia e la tentazione, la verità che implora fedeltà e la maschera che vuole essere vista. Il principe, in mezzo, non sa vedere. Non sa distinguere tra ciò che luccica e ciò che brilla. E come spesso accade, l’inganno ha la voce più forte. Ma la verità, anche trafitta, non svanisce. Odette non muore: si trasfigura. Va oltre la carne, oltre la danza. E così, Il Lago dei Cigni non è solo una favola tragica, ma una meditazione sull’identità. Chi siamo, davvero? Siamo Odette quando amiamo senza difese. Siamo Odile quando ...

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Da riscoprire il balletto “L’Angelo Azzurro” di Roland Petit

C’è un angelo che non ha ali, ma gambe lunghissime e uno sguardo che brucia. Non scende dal cielo, ma da un cabaret fumoso. Non salva, ma distrugge. È L’Angelo azzurro, balletto firmato da Roland Petit (libretto di Marius Constant, Gert Reinholm, Roland Petit) che nel 1985 trasformò una delle figure più ambigue del Novecento in una creatura coreografica ammaliante. Donna sensuale e misteriosa, una vamp che conquistava il pubblico con la sua aura enigmatica e il suo incanto peccaminoso.  L’opera prese le mosse da Professor Unrat, romanzo del 1905 di Heinrich Mann, reso immortale dalla versione cinematografica diretta da Josef von Sternberg nel 1930, Der blaue Engel, intriso di un erotismo simile alla pittura di Henri de Toulouse-Lautrec, con interprete la magnetica Marlene Dietrich nei panni di Lola-Lola, femme fatale da palcoscenico, dove la diva tedesca canta la celeberrima canzone di Friedrich Hollaender Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt. Roland Petit raccoglie il testimone di questa storia e ne fa un balletto dai sentori oscuri, carico di desiderio, dissoluzione, decadenza e rottura morale. La sua è una trasfigurazione. Lola non è più solo un simbolo erotico, ma diventa l’incarnazione del potere distruttivo della fascinazione. Petit racconta non solo la caduta ...

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La danza dei 4 cignetti: eleganza, simmetria e precisione

Nel cuore del balletto Il Lago dei Cigni, composto da Pëtr Il’ič Čajkovskij nel 1875-76, si trova uno dei momenti più iconici della danza classica: la Danza dei Piccoli Cigni (Pas de Quatre), conosciuta anche come la Danza dei Quattro Cigni. Questa breve ma intensissima coreografia appare nel secondo atto del balletto. È interpretata da quattro ballerine che rappresentano giovani cigni. Legate fisicamente — spesso incrociando le braccia o tenendosi per mano — eseguono una serie di passi piccoli, rapidi e sincronizzati, chiamati pas de bourrée. Il fascino di questo pezzo non è solo nella bellezza del movimento, ma nella sua straordinaria richiesta tecnica: ogni ballerina deve essere perfettamente coordinata con le altre. Anche un solo errore di tempo o posizione può rompere l’illusione dell’unità del gruppo. Dal punto di vista narrativo, la danza raffigura la tenerezza, l’innocenza e la vulnerabilità delle giovani donne trasformate in cigni dal maleficio del perfido Rothbart. I loro movimenti all’unisono ricordano un’unica creatura con più ali, che cerca rifugio e protezione. Visivamente, l’effetto è magnetico: quattro figure bianche che si muovono come se fossero una sola, in una danza leggera ma intensa. Il pubblico resta spesso ipnotizzato da questo momento, tanto che la Danza dei ...

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Amina Boschetti: la stella dimenticata del balletto romantico

Nel cuore dell’Ottocento una giovane ballerina italiana incantava i teatri con la sola forza del suo movimento. Il suo nome era Amina Boschetti: figura luminosa del balletto romantico, oggi avvolta da un velo di ingiusto oblio. Nata a Milano nel 1836 con il nome di Giacomina, fu ribattezzata artisticamente Amina, quasi a evocare quell’aura eterea che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Fin da bambina, il suo destino apparve segnato: fu ammessa alla scuola di Carlo Blasis, il più influente maestro di danza del suo tempo. Il suo talento fu così precoce che a soli dodici anni debuttò come prima ballerina al Teatro Re, affiancando icone del calibro di Fanny Cerrito e Marie Taglioni. La sua danza non era solo tecnica: era emozione, teatralità, presenza. Il pubblico non vedeva una bambina sul palco, ma uno spirito danzante capace di trasformare il movimento in poesia. Giovanissima, fu scritturata dall’impresario Domenico Ronzani e intraprese una tournée internazionale che la portò a Barcellona, Vienna, Firenze, Trieste. Ovunque andasse, lasciava dietro di sé un’eco di entusiasmo e lacrime di commozione. Ogni città diventava un altare dove il pubblico adorava la sua leggerezza come un dono divino. Nel 1852 approdò alla Scala di Milano, consacrandosi definitivamente ...

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I fouetté: virtuosismo, tecnica e potenza femminile

Nel vasto universo della danza classica, pochi passi riescono a catturare l’immaginazione del pubblico quanto i fouetté. Iconici, vertiginosi e carichi di tensione scenica, i fouetté non sono solo un’esibizione di abilità tecnica: rappresentano la sfida tra forza e grazia, tra rigore accademico e spettacolarità. Originari della tecnica accademica russa, i fouetté hanno conquistato un posto d’onore nel repertorio ballettistico, diventando una sorta di “firma” del grande assolo femminile. Il termine fouetté in francese significa “frustato” o “frustata” e descrive perfettamente la dinamica del movimento. L’effetto visivo è quello di una ballerina che gira vorticosamente su sé stessa, mantenendo il perfetto equilibrio mentre la gamba esterna “frusta” l’aria ad ogni rotazione. Il più celebre esempio di fouetté è senza dubbio quello contenuto nel Grand Pas de Deux del Lago dei Cigni, atto III, in cui Odile esegue 32 fouetté consecutivi — un vero e proprio banco di prova per ogni ballerina professionista. Un fouetté corretto non è soltanto questione di rotazione. Esso richiede: Solida forza del centro per mantenere l’asse del corpo dritto e stabile; Precisione della gamba di supporto, che deve restare perfettamente tesa e forte per sostenere il peso e la forza centrifuga; Coordinazione tra braccia e gamba ...

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L’ultima esibizione di Vaslav Nijinsky a Sankt Moritz

Era il 19 gennaio 1919. In una stanza d’albergo a Sankt Moritz, tra le montagne innevate dell’Engadina, Vaslav Nijinsky, il più grande danzatore della sua epoca, danzò per l’ultima volta. Ma non su un palcoscenico, non in costume, non davanti a un pubblico teatrale. Il suo corpo, che aveva stregato l’Europa con salti impossibili e uno sguardo che toccava il divino, si muoveva ora davanti a pochi intimi, mentre scivolava inesorabilmente verso la follia. Quella non fu una performance nel senso convenzionale. Fu un rituale tragico, un grido corporeo che preannunciava la fine della sua carriera, e forse anche la fine del confine tra arte e delirio. Nel 1917, Nijinsky si era ritirato dalle scene. Dopo anni di gloria con i Balletti Russi di Sergej Djagilev, una tormentata relazione personale e artistica con il mecenate russo, e un matrimonio improvviso con Romola de Pulszky, il danzatore era caduto in un lento crollo psichico. La guerra, l’esilio, l’isolamento, la fine del sodalizio con Djagilev, le pressioni della celebrità si intrecciarono in un quadro fragile. Sankt Moritz, scelto come rifugio per la salute mentale, divenne invece lo scenario del suo addio. Quella sera di gennaio, invitato da amici e pochi ospiti, Nijinsky ...

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Trattati di danza: quando il corpo scrive la storia

Oggi, i trattati di danza storici sono strumenti imprescindibili per studiosi, danzatori e coreografi che si occupano di ricostruzione filologica e interpretazione del repertorio antico. Essi testimoniano come il corpo, attraverso il gesto danzato, sia stato plasmato da ideali estetici, morali e sociali. Ogni passo, ogni posa, non è solo tecnica, ma rappresenta un’idea di mondo, una visione dell’uomo e del suo posto nella società. La danza è stata, per secoli, il linguaggio invisibile del potere, della grazia e dell’educazione. E i trattati di danza? I suoi archivi segreti. Non solo manuali di passi, ma veri e propri codici del corpo, capaci di raccontare epoche intere attraverso il movimento. Nel Quattrocento, le corti italiane trasformano la danza in arte codificata. Domenico da Piacenza, con il suo De arte saltandi, scrive il primo trattato noto. Più che passi, insegna comportamento: come muoversi con grazia in società. I suoi allievi – Guglielmo Ebreo e Cornazzano – ne ampliano il messaggio, creando una vera grammatica coreutica rinascimentale. Nel 1589, in Francia, Thoinot Arbeau pubblica l’Orchésographie. È un trattato, sì, ma anche un dialogo tra maestro e discepolo, dove danze popolari e di corte si intrecciano con musica e ritmo. Una guida che parla ...

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L’origine delle Sbarre nella danza classica

Le sbarre da danza, oggi elemento imprescindibile nelle sale di balletto, nascono da un’esigenza semplice: offrire supporto al corpo durante gli esercizi tecnici. Ma la loro origine affonda le radici nella storia della danza accademica. Nei primi secoli della danza classica – in particolare nel XVII secolo, alla corte di Luigi XIV – i ballerini si esercitavano appoggiandosi a mobili, caminetti o corrimano. Non esistevano ancora sbarre dedicate: si usava ciò che era disponibile nei palazzi. Con l’istituzione delle prime scuole di danza, come l’Académie Royale de Danse di Parigi, si iniziarono a fissare corrimano alle pareti delle sale. Fu questo l’inizio delle sbarre vere e proprie: listelli di legno alla giusta altezza per sostenere il lavoro tecnico. Nel XIX secolo, con la nascita dei metodi accademici (Vaganova, Cecchetti, ecc.), la sbarra divenne parte strutturata dell’allenamento quotidiano. Gli esercizi alla sbarra – plié, tendu, jeté – servono a preparare il corpo al lavoro più complesso senza supporto. Oggi esistono sbarre fisse, portatili, regolabili, in legno o metallo. Sono usate da allievi e professionisti, perché rappresentano più di un semplice strumento: sono il punto di partenza di ogni lezione, il simbolo della disciplina e della costanza nella danza. Michele Olivieri www.giornaledelladanza.com ©️ ...

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Il Museo della Danza a Cuba: un tempio del movimento

Nel cuore pulsante dell’Avana, nel quartiere Vedado, si erge un luogo dove la storia non è fatta di silenzio e polvere, ma di passi, costumi e passioni: il Museo della Danza di Cuba. Non è un semplice contenitore di oggetti, ma un archivio vivo della memoria artistica di un Paese che ha fatto del corpo in movimento un emblema identitario. Fondato nel 1998 per volere di Alicia Alonso, étoile e leggenda del balletto mondiale, il museo nasce con un intento chiaro: conservare, proteggere e raccontare l’evoluzione della danza cubana, dalle sue radici coloniali fino alle più audaci espressioni contemporanee. L’edificio stesso è una dichiarazione d’intenti: un’elegante villa in stile eclettico degli anni Venti, che accoglie il visitatore in un’atmosfera sospesa tra storia e poesia. Varcare la soglia significa entrare in un palcoscenico invisibile, dove ogni sala è una scena. Il percorso espositivo si snoda in diverse sale tematiche, ognuna dedicata a un periodo, a uno stile o a una figura chiave della danza cubana. Si comincia con la Sala del XIX secolo, dove sono esposti abiti, litografie e documenti d’epoca che testimoniano l’influenza europea sulla danza a Cuba, per poi passare al periodo romantico e all’irrompere della tradizione russa con ...

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