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Storia e Cultura

Le cinque posizioni fondamentali della Danza Classica

La danza classica è una disciplina che unisce tecnica, grazia e rigore, costruita su fondamenta precise che ne definiscono l’estetica e il movimento. Alla base di questa arte troviamo le cinque posizioni fondamentali dei piedi, codificate nel XVII secolo alla corte del Re Sole, Luigi XIV, e ancora oggi immutate nei metodi delle principali scuole di balletto del mondo. Queste posizioni non sono semplici pose, ma rappresentano il punto di partenza di ogni passo, salto o rotazione. Vediamole una per una. Prima posizione: la prima posizione è l’essenza della danza classica: i talloni si toccano e le punte dei piedi si aprono verso l’esterno, idealmente formando una linea retta. Il peso è distribuito equamente su entrambi i piedi e il corpo si eleva verso l’alto con leggerezza. È una posizione di stabilità e controllo, ma anche di apertura verso il movimento. Seconda posizione: a partire dalla prima posizione, i piedi si allontanano lateralmente mantenendo le punte rivolte all’esterno. La distanza tra i talloni è di circa una lunghezza di piede. Questa posizione offre maggiore stabilità e prepara il corpo ai movimenti ampi, come plié o port de bras, favorendo una postura ben radicata ma fluida. Terza posizione: un piede si ...

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La salvaguardia dello “stile” nella danza classica

Nel silenzio di una sala prove, interrotto solo dal cigolio del legno e dal fruscio lieve delle punte, la danza classica continua a raccontare storie senza tempo. Quando un gesto diventa solo un’esecuzione, e non più un’evocazione, qualcosa si perde. Non è la tecnica a svanire — quella oggi è affinata, analizzata, potenziata — ma lo spirito che ne guidava la forma. Parlare di stile nella danza classica significa interrogarsi sulla sua identità profonda. Non basta replicare le posizioni, rispettare le linee, contare i tempi. Lo stile è ciò che trasforma un passo corretto in un passo vivo. È quel dettaglio invisibile che collega il danzatore alla sua Scuola, alla sua epoca, e soprattutto alla sua intenzione. Senza stile, la danza classica diventa una lingua morta: comprensibile, ma muta. Ogni scuola porta con sé una visione del mondo. L’eleganza sobria della Scuola francese, la teatralità ampia di quella russa, il virtuosismo dell’italiana: sono varianti di uno stesso alfabeto, ma nessuna è intercambiabile. Salvaguardare lo stile significa quindi proteggere questa pluralità, non uniformarla. Lo stile si trasmette da corpo a corpo, da uno sguardo ad un gesto corretto in silenzio. Non basta guardare un video d’archivio per comprendere cosa fosse davvero ...

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La danza nel film “Moulin Rouge!” con Nicole Kidman

Nel cuore pulsante di Montmartre, sotto il tetto rosso del cabaret più celebre di Parigi, tutto si muove. Tutto danza. Il regista Baz Luhrmann apre Moulin Rouge! come si apre una bottiglia di champagne: con un’esplosione di ritmo, di luci, di vita. Ogni scena di danza è una storia a sé, un piccolo vortice in cui la passione si fa carne, colore, vertigine. La prima danza non è solo spettacolo — è un colpo di tamburo che annuncia la follia. La macchina da presa precipita dentro il Moulin Rouge: gonne che volano, gambe che si intrecciano, lustrini che accecano. Le ballerine urlano, ridono, saltano come in una tempesta di desiderio. Il ritmo è travolgente, quasi impossibile da seguire. Tutto è eccesso: il suono, il colore, l’energia. In pochi minuti Luhrmann ci trascina dentro l’anima del luogo — un santuario della libertà dove la danza è un urlo di gioia, di fame, di vita. È un Can-Can che non obbedisce a nessuna regola: selvaggio, vitale, ubriaco. Poi, come un respiro improvviso, arriva lei: Satine. Dall’alto del soffitto, avvolta in una nuvola di piume e luce, scende lentamente, come un sogno che prende forma. La musica cambia, il tempo si ferma. Nicole ...

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Il Regno delle Ombre: analisi storica e coreutica

Nel panorama dei balletti classici del XIX secolo, La Bayadère (1877) rappresenta uno degli esempi più emblematici e profondamente simbolici dell’utilizzo del cosiddetto Regno delle Ombre. Questo momento centrale dell’opera non solo evoca un mondo ultraterreno ma rivela anche una stratificazione culturale e coreutica che merita un’analisi filologica e storica attenta, al fine di comprenderne il significato profondo e la sua influenza sullo sviluppo del balletto classico. La Bayadère, coreografato da Marius Petipa su musica di Ludwig Minkus, fu creato nel contesto della grande tradizione del balletto russo di fine Ottocento, un periodo in cui la danza si evolveva sotto l’influenza del Romanticismo e del Neoclassicismo. Sebbene la storia sia ambientata in un’India idealizzata e immaginaria, il balletto rispecchia temi universali di amore, morte e redenzione, riflettendo anche l’ossessione ottocentesca per il soprannaturale e il mondo oltre la vita. Il celebre Atto delle Ombre, spesso considerato il culmine spettacolare e tematico del balletto, si inserisce in questa tradizione culturale che aveva già visto in precedenza esempi celebri come il secondo atto di Giselle. Tuttavia, La Bayadère espande e trasforma questo topos attraverso una coreografia complessa e una rappresentazione scenica altamente stilizzata. L’Atto delle Ombre si configura come un vero e ...

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Dive e Divine: le ballerine romantiche dell’Ottocento

L’Ottocento è stato un secolo di grandi cambiamenti e innovazioni nel mondo della danza. Fu in questo periodo che il Romanticismo si affermò come corrente artistica dominante, orientando profondamente il balletto. Le ballerine romantiche dell’Ottocento furono donne eccezionali che, con la loro bellezza tersicorea riuscirono a conquistare il pubblico e a lasciare un’impronta indelebile nella storia della danza. La vita delle ballerine romantiche dell’Ottocento non era facile. Le ore di allenamento erano lunghe e intense, e le artiste dovevano essere sempre pronte a eseguire i passi più complessi senza errori. Inoltre, le ballerine dovevano anche affrontare le pressioni della fama e della critica, che potevano essere molto severe. La loro tecnica, la loro arte e la loro espressività influenzarono profondamente il balletto e le generazioni future. Oggi, le ballerine romantiche dell’Ottocento sono ancora celebrate come autentiche dive e divine della danza classica. La loro eredità continua a ispirare le generazioni future di ballerine e a omaggiare la magia della disciplina accademica. Nell’Ottocento, il teatro non era solo il tempio dell’arte, ma il centro pulsante dell’immaginario collettivo. Il sipario si apriva, e con esso anche i battiti accelerati di nobili, poeti, ufficiali e sognatori. Le ballerine – eteree, impalpabili, celestiali – ...

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Viaggio nel dizionario francese dei codici accademici

Parlare con i piedi, pensare con il corpo, scrivere nell’aria: questa è l’essenza della danza classica. Ma ogni arte, anche la più eterea, ha bisogno di un linguaggio preciso, condiviso, scolpito nel tempo. E nella danza classica, questo linguaggio ha un nome e una lingua: il dizionario francese dei codici accademici. Non si tratta di un semplice elenco di termini, ma di un alfabeto in movimento, un sistema codificato che unisce generazioni di danzatori in ogni angolo del mondo. È un lessico nato a corte e cresciuto nei teatri, conservato nelle accademie, inciso nella memoria muscolare di chi balla. Nel XVII secolo, mentre l’Europa si agitava fra guerre e rivoluzioni, alla corte di Luigi XIV prendeva forma un’arte silenziosa e potentissima: la danza come disciplina accademica. Il Re Sole, che amava danzare tanto quanto governare, capì il potere del gesto ben ordinato. Nel 1661 fondò l’Académie Royale de Danse, chiamando a sé i migliori maestri per codificare i movimenti che fino ad allora erano stati lasciati all’intuizione. Fu così che nacquero le cinque posizioni dei piedi, l’en dehors, il principio dell’aplomb. Parole francesi, certo, ma che descrivevano idee universali di forma, equilibrio, armonia. Il francese non fu una scelta casuale: ...

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Rudolf Nureyev: perché veniva chiamato “il tartaro volante”?

Quando Rudolf Nureyev si lanciava in aria, sembrava che la gravità perdesse validità. Il pubblico tratteneva il respiro, sospeso con lui in una frazione di eternità. Non era solo un salto: era una dichiarazione d’indipendenza. Da uomo. Da artista. Da figlio dell’Asia e simbolo dell’Occidente. E fu proprio per questo che il mondo iniziò a chiamarlo Il tartaro volante. La stampa europea lo coniò con romanticismo quasi orientaleggiante. Tartaro evocava qualcosa di primitivo, fiero, indomabile. Una parola che funzionava come etichetta poetica per una figura fuori dai canoni. Nato in un treno transiberiano, cresciuto nella steppa e addestrato con rigore sovietico, Nureyev non era solo un ballerino: era un uragano. Il termine “volante” era, al contrario, perfettamente esatto. Il suo corpo non danzava: si librava. Chiunque abbia visto i suoi salti — che sfidavano le leggi della fisica con una sospensione surreale — capisce che non si trattava di semplice tecnica. C’era qualcosa di più. Come se ogni battito d’ali danzante fosse un atto di fede nella possibilità di elevarsi oltre il corpo e il tempo. Nureyev non fu mai addomesticabile. Nel 1961, quando decise di disertare durante una tournée del Kirov a Parigi, la sua fuga non fu solo ...

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Giuseppina Bozzacchi: la stella effimera del balletto romantico

Nel firmamento della danza classica dell’Ottocento, alcune stelle brillarono solo per un istante, ma lasciarono un’impronta indelebile nella storia del balletto. Una di queste è Giuseppina Bozzacchi, giovane ballerina italiana che, sebbene vissuta solo diciassette anni, è diventata simbolo della bellezza effimera dell’arte e della vita. Giuseppina Bozzacchi nacque il 23 novembre 1853 a Milano, in una città che all’epoca era già uno dei centri nevralgici della cultura operistica e coreutica europea. Fin da giovanissima mostrò un talento fuori dal comune per la danza. Fu indirizzata verso un’educazione rigorosa, come voleva la prassi dell’epoca, che richiedeva anni di disciplina ferrea e una totale dedizione. Nonostante la brevità della sua carriera, Bozzacchi fu allieva di maestri importanti, tra cui potrebbe essere annoverato anche il coreografo Arthur Saint-Léon, che la notò giovanissima e la volle con sé a Parigi, città in cui si sarebbe svolto il capitolo più importante – e tragico – della sua vita. Il nome di Giuseppina Bozzacchi è indissolubilmente legato al balletto Coppélia, capolavoro del repertorio romantico, con musiche di Léo Delibes e coreografie di Saint-Léon. Il balletto debuttò il 25 maggio 1870 all’Opéra di Parigi. Bozzacchi, allora appena sedicenne, fu scelta per il ruolo principale di Swanilda. ...

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Danza Classica: un atto di bellezza e cura verso sé stessi

C’è una bellezza silenziosa nella danza classica, che non vive solo sul palcoscenico ma si costruisce, giorno dopo giorno, in sala. Non è fatta di applausi né di riflettori, ma di attenzione, disciplina e amore per ogni dettaglio. È una forma d’arte, sì, ma anche un modo profondo e personale di prendersi cura di sé. Quando si entra in sala danza, si lascia fuori il rumore del mondo. Il tempo si dilata, il respiro si fa più lento, il corpo diventa presenza. Ogni movimento – anche il più semplice – è un atto di consapevolezza: una scelta di esserci, di ascoltarsi, di ricercare armonia tra mente e corpo. A differenza di ciò che molti pensano, la danza classica non è solo rigore. È anche gentilezza: verso i propri limiti, verso il corpo che cambia, verso gli errori che insegnano. Si impara a migliorare senza giudicarsi, a cadere senza punirsi, a riprovare con pazienza. Ogni lezione diventa così una forma di dialogo interiore, in cui la disciplina non è una costrizione, ma una cura quotidiana. In un’epoca in cui il corpo è spesso oggetto di confronto o controllo, la danza classica ci invita a riconoscerlo come casa. Un luogo da ascoltare, ...

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Répétiteur: il custode della memoria coreutica

In ogni grande spettacolo di danza, tra le luci di scena e gli applausi, si cela una presenza invisibile ma determinante. Non sale sul palco, non indossa tutù né scarpe da punta, eppure la sua impronta è in ogni gesto, in ogni pausa carica di significato, in ogni respiro condiviso sul palcoscenico. È il ripetitore, custode di un sapere che non si legge nei libri, ma si trasmette con il corpo, la voce e la pazienza. Il ripetitore è, per molti versi, un traduttore del tempo. Traduce la visione del coreografo in linguaggio vivo, plasmato sul corpo dei danzatori di oggi. Il suo compito va oltre l’insegnamento tecnico: egli ricostruisce atmosfere, intenzioni, silenzi, tensioni emotive. Dove il coreografo ha lasciato un’impronta, il répétiteur la rianima, passo dopo passo. Non si limita a correggere posizioni sbagliate o a contare i tempi musicali: scava nella memoria del balletto per riportare alla luce ciò che rischia di sbiadire — un accento, uno sguardo, un’ombra che attraversa la scena. Questa figura professionale non si improvvisa: spesso si tratta di ex ballerini che hanno vissuto in prima persona le opere che ora trasmettono. Alcuni hanno lavorato a stretto contatto con i coreografi originali. Altri sono ...

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