L’incontro dello Speciale “Uomini della Danza” per DANZA IN FIERA 2012 organizzato dal Giornaledelladanza.com e moderato dal Direttore Sara Zuccari si concluderà Sabato 25 Febbraio, ore 16.30 presso l’area press – Fortezza da Basso – Firenze.
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La danza, quando ha iniziato Lei, non era cosa da uomini: come l’hanno presa i Suoi genitori quando ha deciso di iniziare a studiare e soprattutto a danzare?
Sono stato molto fortunato perché, al contrario di tanti miei coetanei, non ho dovuto lottare per andare a danza! È stato mio papà a spronarmi ad entrare alla Scuola del Teatro dell’Opera: lui, infatti, era un grande appassionato di danza ed è stato anche un buon ballerino…pensi che mio nonno, invece, si faceva insegnare i passi dalle sue sorelle che, ogni sera al rientro della lezione, gli spiegavano i passi imparati durante il giorno. Papà aveva già visto delle doti in me, io forse no, visto che non ero avvezzo alla danza classica, anzi! Entrato, però, alla Scuola del Teatro è stato subito amore e già dopo quindici giorni ero follemente innamorato di questa bellissima disciplina.
Ha dovuto affrontare dei pregiudizi?
Tantissimi! E ho detto anche molte bugie ai numerosi amichetti del mio quartiere che hanno saputo della danza soltanto quando mi videro in televisione. Io, da piccolo, avevo una gran paura di fare danza. Vivevo a Cinecittà, un quartiere popolare, e si giocava a pallone. Mio padre mi incoraggiava a fare danza ma io mi vergognavo: avevo paura della reazione dei miei coetanei, compagni di giochi. Ma mio padre, quasi si impose e mi portò alla scuola di ballo. Mi ricordo che avevo una borsa con scritto “Scuola di ballo Opera di Roma”. Io cancellai tutto e scrissi “Scuola Calcio Roma”, per essere lasciato in pace… ed eccomi qua. Rinunciare alla passione della danza a causa di ostacoli familiari è stato forse il destino di tanti ragazzi di talento, ma sono felice di avere avuto quella chance che ha aperto la strada del mio successo artistico. Di pregiudizi, oggi, ce ne sono, ma molti meno rispetto ad alcuni anni fa.
Quale figura maschile nella danza crede sia stata in grado di “rompere il ghiaccio”?
Io! Per quello che ho fatto credo di poter essere stato in grado di “rompere il ghiaccio” nella danza: molti ragazzi mi prendono come punto di riferimento proprio per la mia carriera, per il fatto che mi sono anche sposato molto presto, ho avuto dei figli e che continuo a trasmettere i miei valori a chi lavoro con me. E non è cosa facile!
Lei dà qualche consiglio ai danzatori, maschi, che lavorano con Lei?
Non mi permetto di dare alcun tipo di consiglio ma, molto semplicemente, mi limito a dire loro di fare il possibile per portare avanti la loro passione e l’amore per la danza. Chi ha talento deve andare avanti, esprimersi al meglio, senza pregiudizi di qualsivoglia genere.
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La danza, quando ha iniziato Lei, non era cosa da uomini: come l’hanno presa i Suoi genitori quando ha deciso di iniziare a studiare e soprattutto a danzare?
Per studiare danza seriamente…sono andato via di casa! Ebbene sì! Quando dissi a mio padre che volevo fare il danzatore e che quella sarebbe stata veramente la mia vita, lui mi disse che soltanto al compimento dei 21 anni me ne sarei potuto andare a studiare ovunque, ma uscendo definitivamente da casa. Io all’epoca avevo 18 anni e in America soltanto a 21 si è maggiorenni. Talmente tanta era la voglia, il desiderio di iniziare gli studi della danza e di intraprendere questa carriera, decisi di andarmene. Fu la scelta più giusta da fare in quel preciso momento e, a posteriori, sicuramente la miglior cosa che sono riuscito a fare per me e per la mia carriera. Nonostante mia mamma fosse una ballerina al Radio City Music Hall a New York, io ho iniziato a fare i miei prima “passetti” di danza a scuola, durante il corso di teatro. Io facevo nuoto come sport ma frequentavo anche il gruppo di teatro. Una mia amica, Denise, che in quel periodo studiava al New York City Ballet, mi chiese di ballare con lei una parte del musical “Oklahoma”: una meraviglia di balletto! Da quel momento in poi non mi sono più fermato. E tutto è magnifico!
Ha dovuto affrontare dei pregiudizi?
Sì, moltissimi pregiudizi. Tante persone, all’inizio della mia carriera, mi chiedevano che lavoro facessi. Io, ovviamente, dicevo “il ballerino”. Loro, attonite, mi facevano immediatamente sempre la stessa domanda, ovvero: si, ma di lavoro che fai?! Credo che questa sia stata un’umiliazione molto forte, per il semplice fatto che la professione di danzatore non veniva riconosciuta come un lavoro ordinario. Mi ricordo, inoltre, che al termine di una lezione di Sanasardo, tornando a casa, incrociai proprio sotto la sala prove, davanti ad un bar molto frequentato, un marinaio che mi tirò un pugno nello stomaco, proprio perché ero un ballerino. Me lo ricorderò per sempre: è stata un’umiliazione fortissima perché, almeno in quel periodo, un maschio non poteva danzare. Assurdo! Purtroppo i pregiudizi ci sono stati, ci sono e probabilmente ci saranno visto che la danza esalta l’amore del proprio corpo e la società, troppo frequentemente, sottolinea l’opposto ovvero: la vergogna del proprio corpo. Sarebbe bello se ciascuno di noi riuscisse a migliorare, nel proprio piccolo, la situazione.
Quale figura maschile nella danza crede sia stata in grado di “rompere il ghiaccio”?
Vaslav Nijinsky che, con Sergei Pavlovich Diaghilev, ha fatto delle cose straordinarie. Se la danza è a questi livelli, è anche e soprattutto grazie a loro. Sono stati dei veri e propri “apripista”.
I maschi cosa riescono a dare in più durante gli spettacoli che Lei crea?
Di figure maschili, nella danza, ce ne sono ovviamente poche in confronto a quelle femminili. Ai miei allievi dico sempre che anche l’ultimo dei ballerini maschi riuscirà sempre a trovare lavoro, la concorrenza è inferiore! Quello che è veramente molto importante è che riescano sempre a dare il meglio, a portare la loro vera essenza senza mai dimenticare chi sono.
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La danza, quando ha iniziato Lei, non era cosa da uomini: come l’hanno presa i Suoi genitori quando ha deciso di iniziare a studiare e soprattutto a danzare?
La mia storia di studente alla Scuola della Scala è molto bella e soprattutto molto particolare: accompagnai i miei genitori e la mia sorellina che doveva proprio sostenere le selezioni per poter essere ammessa alla stessa scuola. Rimasi a dir poco affascinato dall’ambiente. Mamma e papà mi dissero che come regalo per la promozione dalla Quinta elementare alla prima media avrebbero portato anche me alle selezioni…Io, in quel periodo, ero più propenso ad iniziare un corso di karate che, però, alla fine, non ho mai iniziato perché sono entrato alla Scala! Un virus, quello della danza, che mi ha veramente colpito e di cui non mi sono più liberato!Nella mia classe, composta all’inizio da più di venti allievi (anche se alla fine ci siamo diplomati in cinque soltanto), c’erano anche molti maschi. È stata una scuola molto importante e con molta franchezza, non ho avuto nessun tipo di problema.
Ha dovuto affrontare dei pregiudizi?
Io, nel mio piccolo, nessuno. Forse la mia famiglia stava un po’ più attenta nel dire che facevo la scuola di danza della Scala ma nel complesso non ci sono state difficoltà importanti, anzi. Purtroppo, come spesso accade, di pregiudizi ce ne sono sempre troppi e probabilmente nella danza si abbonda. Si deve smettere di dire che un ballerino maschio è necessariamente omosessuale, perché non è così, anzi! Ricordiamoci che l’arte della danza esalta sia la sensibilità sia la fisicità di un danzatore, maschio e femmina che sia: i ruoli che si costruiscono sono ben definiti, maschi e femmine, durante gli spettacoli, raccontano una storia, non la loro storia. La loro bravura si vede in scena e non dipende dagli orientamenti sessuali, anzi!
Quale figura maschile nella danza crede sia stata in grado di “rompere il ghiaccio”?
Uno su tutti: Vaslav Nijinsky . E poi, sicuramente, Rudolf Nureyev, un ballerino, artista magnifico ma soprattutto il primo a fuggire dall’allora Unione Sovietica, fucina di talenti in tantissimi ambiti, ma ovviamente e soprattutto nella danza. È stato un apripista immenso, che tutti ricordiamo non soltanto per la sua magnifica arte, ma anche per la sua personalità, per il sapersi distinguere e per aver, appunto, essere stato in grado di uscire dai confini del suo paese, così chiuso in quel periodo.
I maschi cosa riescono a dare in più durante gli spettacoli che Lei crea?
I maschi hanno una carica di adrenalina pazzesca ed è giusto che abbiano ruoli importanti negli spettacoli, tutto ovviamente relativo a quello che si sta creando. Non mi piacciono i pregiudizi, non mi sono mai piaciuti, e credo che sia giunto il momento di dire basta ad ogni giudizio malsano relativo ai maschi nella danza. Ma anche questo, purtroppo, è uno dei mail tipicamente italiani di cui, mio malgrado, non riusciamo a liberarci. Speriamo che con il tempo la situazione possa migliorare!
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Quando inizia la carriera di Alessandro Macario?
A dir la verità è iniziata molto presto! Mio zio, primo ballerino del Teatro San Carlo, aveva una scuola di danza e a quattro anni iniziai a frequentarla. Io, ad essere sincero, non volevo affatto danzare: desideravo giocare a calcio, come del resto sognano di fare tutti i bambini. Diciamo che alla tenera età di quattro anni è iniziato l’approccio a questo mondo fantastico, approccio che poi si è evoluto sempre di più fino a quando a dieci anni ho fatto l’esame e sono definitivamente entrato alla scuola del Teatro San Carlo di Napoli, la mia città. Posso dire, però che l’ambiente, il profumo del teatro mi hanno sempre affascinato, ne sono sempre stato inebriato: lavorarci ora è veramente un sogno diventato realtà.
È stato difficile iniziare a studiare danza classica che, come tutti sappiamo, è sicuramente una disciplina più vicina al sesso femminile?
Non è stato facile, questo no. Io ho frequentato la scuola del San Carlo circa vent’anni fa e sicuramente non era molto comune che un ragazzo volesse danzare. Spesso non dicevo che studiavo, quasi mi vergognavo! A posteriori, però, ammetto di essere felicissimo di aver perseguito il mio sogno, di aver studiato in un teatro così importante e di essermi fatto trasportare dalla passione, caratteristica che non deve assolutamente mai mancare nell’animo di chi vuole svolgere la professione del danzatore nel migliore dei modi.
Ogni ballerino ha delle caratteristiche che lo distinguono da altri danzatori, questo è certo. È pur vero, però, che ci si deve osservare per migliorare: tu ti ispiri a qualcuno dei tuoi colleghi?
Assolutamente si! Uno su tutti: Massimo Murru, che ancora è uno dei miei punti di riferimento. Per non parlare poi di Roberto Bolle, che è un grande, e Maximiliano Guerra: quand’ero ancora piccolo lui era veramente al massimo della sua carriera, era veramente meraviglioso poterlo guardare da vicino e poter trarre ogni possibile insegnamento dalle sue movenze. Io osservo moltissimo i ballerini più grandi di me, che hanno più esperienza…è fondamentale farlo, non si deve mai smettere di imparare. Io guardo molto, le mie antenne sono sempre pronte ad accogliere qualsiasi tipo di consiglio, di suggerimento. Molto spesso, però, in sala guardo anche chi, magari, ha meno esperienza di me ma magari ha delle qualità naturali che io non ho e che, però, posso migliorare. Apprendere è fondamentale per chi vuole mantenersi ad alti livelli, portare sul palco danza di qualità. Io imparo anche dalle mie partner femminili: le donne hanno delle linee, delle braccia veramente fantastiche…come non potersi ispirare anche a loro?! Caratterialmente sono molto curioso e non mi sento mai arrivato: questo è il mio punto di partenza. Mi sento in continua evoluzione, guardo altri tipi di danza, cerco di confrontarmi il più possibile con altri ballerini…sono in perenne movimento!
Il tuo motto?
Restare sempre con i piedi per terra, mai sentirsi arrivati, mai smettere di imparare! La vita di un danzatore è molto regolata, non si può certo essere “mondani”. La mia professione non è un lavoro: è una vera e propria passione…se fosse stato un vero e proprio lavoro, probabilmente non l’avrei mai fatto. Ma io amo la danza e quello che faccio!
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Valentina Clemente