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“Danzare, è forse dire quel che non si dice” afferma Dominique Dupuy nel suo nuovo libro

La Saggezza del Danzatore - copertinaLa Saggezza del Danzatore è un libro di Dominique Dupuy, danzatore, coreografo, pedagogo, studioso e scrittore. Pubblicato dapprima in Francia nel 2011 dall’editore Jean-Claude Béhar all’interno della Collana “Saggezza di un mestiere”, viene riproposto in lingua italiana dalla casa editrice Mimesis, con la traduzione di Eugenia Casini Ropa e con la collaborazione di Cristina Negro, che ne è la curatrice.

Il libro, che si presta ad essere letto tutto d’un fiato, contiene il racconto della vita di un danzatore, oscillando continuamente tra memorie suggestive e riflessioni profonde, in un gioco che facilita la comprensione artistica e umana di un grande nome della danza. D’altronde Dominique Dupuy spiega fin dalle primissime pagine il motivo fondamentale che sta dietro all’impianto che ha voluto dare al suo libro: descrivere la propria arte partendo dal proprio spirito, da sé stesso, perchè: «Non c’è danza se la danza non emana dallo spirito di colui che danza».

Subito dopo, Dupuy dichiara la motivazione che lo ha fatto innamorare della danza, un approccio doloroso con la comunicazione verbale, che lo induceva fin da bambino a piangere prima di ogni recita. Quindi Dominique Dupuy ha scelto con lungimiranza di colmare la mancanza di parola con la danza: «Danzare è la scelta ambiziosa e temeraria di colui che decide d’essere senza parola. […] In questa lacuna, c’è anche l’impossibilità di dire quel che si vorrebbe dire, quel che non può essere detto, quello che non si dice. Danzare, è forse dire quel che non si dice».

Così la lettura prosegue con i ricordi del bambino e le riflessioni dell’adulto che si succedono uno dopo l’altro, senza sosta, con un soffio lungo e ritmato, con silenzi e accelerazioni, con veemenza e con delicatezza. Questo libro diventa l’occasione non solo per conoscere umanamente Dominique Dupuy, il suo essere danzatore, ma anche per accogliere una visione più ampia della danza, la sua trasmissibilità e pedagogia. È possibile, attraverso queste pagine, immaginare Dupuy all’opera. Perché, come egli dice, «si danza per essere guardati».

Leonilde Zuccari

www.giornaledelladanza.com

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