Direttore Artistico dei Complexions, una delle compagnie americane più affermate in tutto il mondo, coreografo pluripremiato, già Principal dancer per l’Alvin Ailey American Dance Theater e molto altro ancora: Dwight Rhoden è uno degli artisti più contesi e geniali degli ultimi vent’anni. Le sue coreografie contemporanee, rese ancora più speciali dalla forte fisicità dei ballerini che le interpretano, fanno da sempre il giro del mondo. A Roma in occasione della prima di …And so it is, pièce realizzata per il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma e in scena fino al 16 aprile, il Giornale della Danza ha avuto la possibilità, in un breve intervallo dello spettacolo, di chiacchierare con lui. Pochi minuti ma intensi. Che ci hanno permesso di comprendere al massimo la profondità e la maestosità artistica di questo Maestro “contemporaneo”.
“…And so it is” è la sua ultima creazione, realizzata per il Teatro dell’Opera di Roma. Lei cerca sempre di trasformare le diversità, di renderle “vive”. Ha cercato di fare questo anche con i danzatori dell’Opera di Roma?
Credo proprio di sì. Ritengo che i danzatori abbiano fatto dei giganteschi passi in avanti, dedicandosi moltissimo alle movenze contemporanee. Questo tipo di movimento per loro è differente ma, ad essere sincero, unisce molti elementi: c’è una base classica, ma c’è molto di più. Bisogna anche aggiungere che, alla base di questo balletto, c’è una storia astratta: tra loro e quello che ho creato si è instaurata una bellissima armonia.
Nei Complexions la danza dei ballerini è molto fisica, forte. Crede che i danzatori dell’Opera di Roma abbiano riscontrato difficoltà?
Assolutamente no: tutti i ballerini con cui ho collaborato qui a Roma hanno ottimi fisici. Ritengo che tutti siano in possesso di una forte fisicità e presenza scenica: la questione è soltanto relativa alla possibilità di accedervi. Insomma: il mio è stato per loro un approccio differente…e loro sono stati in grado di affrontarlo al meglio, tirando fuori tutte le loro caratteristiche.
Quando crea una nuova pièce, lavora con i danzatori o arriva in sala già con un’idea?
Solitamente arrivo in sala già con una mia idea ma sono molto influenzato da quello che mi circonda. In prima battuta ovviamente dai danzatori. Che, ricordiamo, sono in grado di fare la differenza. Un aspetto che mi entusiasma del mio lavoro è la possibilità di creare per chi lavora con me. È super!
Le piacerebbe tornare a Roma e lavorare ancora con l’Opera?
Assolutamente sì! Questa mia esperienza è stata bellissima e molto arricchente. Mi auguro ce ne siano altre nel futuro.
Parliamo ora di Lei: la rivedremo ballare?
No, non credo proprio! Oramai il tempo è passato (sorride).
Redazione www.giornaledelladanza.com
Foto di Yasuko Kageyama