Fare i conti con la pandemia a passo di danza
Chi scrive è Nicoletta Severino, direttrice della Scuola di danza Attitude sita in Napoli.
Non è di certo l’emergenza attuale che ha messo di fronte agli occhi di chi fa parte del settore il vuoto istituzionale che da sempre è legato alla danza, considerata alla stregua di qualcosa di accessorio. Se teatri e corpi di ballo, anche tra i più rinomati, erano costantemente a rischio chiusura già prima della crisi attuale, facile comprendere che nessuno si sia assunto l’onere di salvaguardare le scuole di danza nella situazione in cui ci troviamo.
Eppure le scuole di danza su tutto il territorio nazionale sono tantissime e spesso lavorano al limite della sopravvivenza, seppur con l’orgoglio di chi sa darsi completamente, con una forza che solo la passione conosce.
Questo settore ignorato e dimenticato, bistrattato e relegato ad accessorio si pregia di fare un lavoro di sensibilizzazione nei confronti dell’arte, di fare cultura su territori non sempre facili, svolgendo una funzione educativa e sociale oltre che artistica.
Ed eccoci ora, ignorati come di sovente, con affitti, bollette, utenze da pagare, assicurazioni di cui non possiamo usufruire, caparre versate per spettacoli di fine anno che non potremmo fare, senza un minimo di sussidio economico, in balia del nulla, senza mezzi per garantire la sopravvivenza di quelle stesse scuole che con fatica abbiamo costruito, creando piccole comunità, luoghi di aggregazione e di crescita artistica e personale.
Forse si pensa che quello della danza non sia un vero lavoro, che non abbia bisogno di garanzie, ed invece ci troviamo di fronte agli occhi la triste prospettiva di tante e tante scuole che senza alcun introito dovranno chiudere e gettare al vento il lavoro di anni, abbandonare allievi con i quali si è intrapreso un percorso, recidere sogni, speranze, aspettative, mostrare agli stessi allievi cui abbiamo insegnato la forza della caparbietà e della determinazione che non sempre il lavoro paga e che l’arte è sempre collocata in una posizione subalterna.
Eccoci, a fare i conti con un decreto dopo l’altro, in cui si cerca di salvaguardare più o meno tutti. Tutti fuorché la danza.
Travolti dalla baraonda non sappiamo come regolarci.. Siamo stati tra i primi a chiudere le attività, e lo reputiamo doveroso, beninteso, ma per questo non solo siamo senza stipendio a tempo indeterminato, ma come se non bastasse, nonostante le attività siano sospese, le spese restano.
Il nostro mestiere, quello che abbiamo scelto come una missione, sembra non esistere. Dobbiamo lasciare che cali il sipario sui nostri sforzi, su quelli dei nostri allievi e delle loro famiglie anche se abbiamo passato la vita nella convinzione che the show must go on ed in nome di questo abbiamo investito tutto, economicamente ed emotivamente?
Le scuole di danza sono una risorsa importante per il paese, non solo perché consentono a tutti, anche a chi non ha le doti fisiche necessarie per intraprendere un percorso accademico, di avvicinarsi ad una disciplina bella e nobile, ed anzi anche la maggior parte di coloro che hanno avviate carriere tersicoree ha mosso i suoi primi passi nelle scuole di danza, ma sono anche una risorsa economica importante perché attorno ad esse gira il lavoro di costumisti, teatri, tecnici, negozi di accessori e abbigliamento specializzati, siae, collaboratori e ancora e ancora e ancora.
Cosa dovremmo fare? Accumulare debiti su debiti pur di far sopravvivere le nostre scuole, per poi continuare a lavorare, non si sa quando e non si sa come, solo in perdita? Come se non avessimo bisogno di sostentamento. O dovremmo perdere il lavoro? Quel lavoro che ci siamo costruiti e che amiamo. I meno romantici chiuderanno e chiederanno il reddito di cittadinanza. E a conti fatti, come dargli torto? Il paradosso è evidente.
Anche nella più nera delle notti bisognerebbe aver cura della sopravvivenza della danza, della musica, della cultura, dell’arte. Bisognerebbe preservarle.
Adesso che siamo chiusi nelle nostre case e la danza è diventata quasi un esercizio artistico, adesso che passiamo il tempo chiederci se ne valeva la pena di affidare tutta la nostra vita ad un castello di carta ed a risponderci sempre e comunque di sì con tutta l’incoscienza e la follia del caso, dove dovremmo trovare la forza per resistere?
Nicoletta Severino
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