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Esmée Bulnes: la Signora della Danza tra “due mondi”

Nel vasto panorama della danza del Novecento, il nome di Esmée Bulnes brilla come quello di una figura schiva e poco celebrata, ma fondamentale. Non una prima ballerina, non una celebrità da palcoscenico: fu invece una delle più influenti maestre di balletto del secolo scorso, una donna che plasmò generazioni di danzatori con mano ferma e spirito visionario, muovendosi tra l’Europa e l’America Latina con la stessa grazia con cui si attraversa una sala da ballo.

Nata nel 1900 a Rock Ferry, in Inghilterra, Esmée Bulnes crebbe artisticamente in un periodo in cui la danza classica stava ridefinendo se stessa tra rigore accademico e modernità. Studiò con alcuni tra i maestri più rispettati d’Europa, come Enrico Cecchetti e Ljubov Egorova, assorbendo quel sapere tecnico che avrebbe poi trasmesso con instancabile dedizione.

Il suo stile era fortemente radicato nella scuola francese, ma arricchito da una comprensione profonda del corpo e della musicalità. Non fu mai interessata a mode o stravaganze: per lei la danza era un’arte fatta di disciplina, equilibrio e ascolto interiore. Fu in Argentina, a partire dagli anni ’30, che Esmée Bulnes costruì la prima grande fase della sua carriera. Entrò a far parte della Scuola di Ballo del Teatro Colón di Buenos Aires, dove contribuì a formare i primi nuclei del Ballet Estable.

Non si limitò ad insegnare: contribuì attivamente alla creazione di un’identità coreutica argentina, importando rigore europeo ma adattandolo al contesto culturale locale. Dopo la seconda guerra mondiale, si trasferì a La Plata, dove fu una delle fondatrici della Scuola di Danzas del Teatro Argentino, portando l’arte del balletto anche fuori dalla capitale. Il suo approccio, severo ma umano, la rese un punto di riferimento per centinaia di allievi, molti dei quali avrebbero poi calcato palcoscenici internazionali.

Negli anni ’50, Esmée Bulnes tornò in Europa e assunse la direzione della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano. Fu un passaggio decisivo per il balletto italiano. Con lei, la formazione scaligera entrò in una nuova era, fondata sull’idea che la tecnica senza anima è sterile, ma che l’emozione senza controllo è caos. Accanto a lei studiarono tanti nomi che hanno fatto parte del gotha della danza: artisti diversi, ma tutti plasmati da un metodo che non lasciava spazio all’improvvisazione.

Esmée Bulnes non cercò mai la notorietà. Preferiva il silenzio della sala prove al clamore del sipario. Non ha lasciato manuali né coreografie firmate, ma ha lasciato qualcosa di più duraturo: una linea di trasmissione del sapere, un’eredità invisibile che ancora oggi si respira nei corpi e nei gesti di chi danza.

La sua idea di danza era al tempo stesso classica e profondamente moderna: un linguaggio del corpo, certo, ma anche della mente. Ogni movimento doveva nascere da un’intenzione, ogni passo doveva avere un perché. Oggi, a distanza di decenni dalla sua scomparsa avvenuta nel 1986, il nome di Esmée Bulnes resta ai margini delle grandi narrazioni della danza. Eppure, senza di lei, il volto stesso del balletto in Italia e in Argentina sarebbe stato diverso.

Le sue scelte pedagogiche, il suo sguardo critico e la sua ostinata coerenza hanno contribuito a formare non solo ballerini, ma interpreti consapevoli, capaci di unire tecnica e verità emotiva. In un mondo in cui la danza si consuma spesso nella superficie, Bulnes ci ricorda che il vero lavoro si compie nel profondo: nel dettaglio di un plié, nella concentrazione di uno sguardo, nella fatica silenziosa di ogni giorno.

Quando lasciò la direzione della Scuola di Ballo della Scala, nel 1969, lo fece senza clamori. Non cercò riconoscimenti pubblici, premi, celebrazioni. Esmée Bulnes, fino alla fine, rimase fedele a sé stessa: discreta, severa, coerente. Il metodo Bulnes non è un metodo codificato.

È un sapere incorporato, trasmesso attraverso l’esempio, la postura, la dedizione quotidiana. È il lascito invisibile di una maestra d’arte, di una donna che ha creduto nella potenza del gesto, nella verità del corpo, nella nobiltà silenziosa del lavoro quotidiano.

Alla Scala, Esmée Bulnes non forgiò solo ballerini. Costruì un’etica. La sua figura rappresentò un faro. Un richiamo alla serietà, alla profondità, alla bellezza costruita e non esibita. E forse, proprio per questo, è oggi più che mai necessario ricordarla.

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

© Riproduzione riservata

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