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Eva Yerbabuena si racconta al Gd.com prima del grande ritorno in Italia

Eva Yerbabuena - Daniel Perez

Eva Yerbabuena, nata a Francoforte nel 1970, inizia a studiare flamenco all’età di 11 anni, mentre la sua brillante carriera lavorativa inizia già all’età di 16 anni con una compagnia di Siviglia e con i grandi maestri Manolete e Merche Esmeralda. Nel 1998 forma la sua compagnia e collabora con la grande Pina Bausch. Il suo flamenco  espressivo ed intensivo ha girato il mondo grazie alle tante tournée internazionali e si è conquistato molti premi e riconoscimenti. La tecnica impressionante, i ritmi travolgenti e le interpretazioni profonde e introspettive hanno reso Eva Yerbabuena una delle più grandi “bailaores” del flamenco internazionale.

 

Quando e come nasce per Eva Yerbabuena la passione per il flamenco? 

Il flamenco per me è stato come un principe che con un bacio visuale mi ha trafitto l’anima e mi ha catturata per tutta la vita. Questo bacio mi fu dato all’età di 11 anni. Da quel momento è diventato il mio modo di vivere ed è un amore incondizionatamente ribelle, né con te, né senza di te.

Eva Garrido è il tuo vero nome mentre sei conosciuta da tutti come “La Yerbabuena”. Perché questo nome?

Per il colore e l’odore, la necessità di acqua e di sole che ha la menta piperita, che ha tutte queste qualità e necessità. Suppongo che il mio caro amico Francisco Manuel Díaz, abbia visto alcune similitudini con questa pianta nella mia personalità, però in realtà mi è stato attribuito questo nome in omaggio al cantaor Frasquito Yerbabuena.

Tra le tue numerose collaborazioni spiccano i nomi di due figure colossali della danza internazionale, Carolyn Carlson e Pina Bausch. Ci racconti queste esperienze?

Parlare di queste esperienze sarebbe una storia interminabile: raccontare tutto il vissuto, tutto ciò che mi è stato trasmesso, tutto ciò che ho imparato e provato richiederebbe moltissimo tempo… Posso solo dire che queste due figure appartengono non solo alla sfera artistica ma anche e ancor di più a quella  transcendentale.

Quale maestro è stato determinante per la tua formazione?

Tutti coloro che hanno saputo trasmettermi nel corso degli anni l’importanza della parte umana dell’arte e della vita.

Che cosa è davvero importante per la tua essenza di artista?

Vi sono due aspetti  importanti per i quali allo stesso tempo ho un amore incondizionato: l’immaginazione e la creazione, da un lato, e la capacità di trasmettere basata su questo processo creativo dall’altro. Questi elementi si mantengono attraverso una base molto forte che si chiama pazienza.

Quale “palo”, ovvero stile, del flamenco senti più tuo?

Tutti, grazie a Dio, mi sono familiari. Tralasciare di considerarne qualcuno di essi sarebbe discrimante da parte mia, perché tutti mi sono valsi in determinati momenti del mio percorso artistico.

Oltre che una ballerina talentuosa, sei anche un’eccezionale coreografa. Qual è il segreto delle tue creazioni?

Mi piacerebbe potertelo dire se lo sapessi. Ti posso solo dire che non ci sono segreti,  desidero solo condividere ciò che faccio attraverso questa forma di   linguaggio.

Nella tua brillante carriera c’è spazio anche per il cinema con “Flamenco Women” (1997) e “Hotel” (2001). Cosa ricordi di queste esperienze?

Sono ricordi meravigliosi ed esperienze che mi hanno arricchito moltissimo.

Come si diventa una brava “bailaora”?

Si tratta di qualcosa che non dipende da se stessi ma dal dono che da altre vite ti accompagna e dalla missione che in questa vita bisogna compiere.

Chi è il tuo idolo?

Non mi piace considerare le persone come idoli. Riesco a vederle solo come persone. Ammiro tutti coloro che creano e che sono capaci di commuovere attraverso i propri mezzi espressivi.

Domenica 13 ottobre, avremo modo di poterti ammirare a Roma, presso l’Auditorium Parco della Musica, nell’ambito della V edizione di “Flamenco!”, con il tuo spettacolo “Ay!”. Ce ne parli?

Credo che sia qualcosa che il pubblico inizierà a raccontare a me. Io dico sempre che  ci si inizia a conoscere attraverso gli sconosciuti, perché sono capaci di valutare obiettivamente il lavoro senza alcun preconcetto.

Cosa è per Eva Yerbabuena il flamenco?

Per me è un rifugio, uno specchio, un mezzo per comunicare, una forma di accrescimento personale in grado di dar valore sia al bene che al male.

Leonilde Zuccari 

Foto di Daniel Perez

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